Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5747 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5747 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28176/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, domiciliati ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 2274/2021 depositata il 25/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- COGNOME NOME propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi nei confronti di COGNOME NOME e della RAGIONE_SOCIALE, per la cassazione della sentenza n. 22742021, pubblicata dalla Corte d’appello di Bologna in data 25.8.2021, non notificata.
– Resiste NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
– Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale. Entrambe le parti hanno depositato memoria. All’esito della discussione il collegio ha riservato la decisione nei successivi 60 giorni.
– Questi i fatti da cui trae origine la vicenda:
NOME COGNOME era stato nominato consulente del p.m. come esperto di auto d’epoca, per verificare l’intervenuta contraffazione o meno di alcune vetture d’epoca sottoposte a sequestro penale, tra le quali una Maserati di proprietà di NOME COGNOME. L’COGNOME nella sua perizia espresse il convincimento che si trattasse di una copia di un veicolo originale. Il g.i.p., pur dichiarando che il procedimento penale a carico del COGNOME doveva dichiararsi estinto per prescrizione, dispose la confisca e poi la distruzione del veicolo;
nel 2011 NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE convennero in giudizio il COGNOME per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti alla pubblicazione di alcuni articoli di contenuto diffamatorio, a firma dello stesso, su un sito internet dedicato alle
auto d’epoca, in cui si diceva che l’COGNOME, perito della procura, avesse svolto infedelmente il suo incarico indicando che la vettura intestata al COGNOME, una Maserati d’epoca, era in realtà un falso. Chiedevano anche la rimozione dal sito internet di ogni riferimento all’COGNOME e la pubblicazione della sentenza;
-il COGNOME, oltre a resistere in giudizio, chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell’COGNOME al risarcimento dei danni per aver causato la confisca e la distruzione della vettura.
– Il tribunale adito accoglieva la domanda principale dell’COGNOME, condannando il COGNOME a corrispondergli l’importo di euro 20.000 a titolo di risarcimento del danno, e rigettava la riconvenzionale del convenuto.
– Il COGNOME proponeva appello; l’COGNOME e la società proponevano a loro volta appello incidentale con il quale ribadivano la domanda di pubblicazione della sentenza favorevole sullo stesso sito internet che aveva pubblicato gli articoli a contenuto diffamatorio.
– la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, rigettava l’appello principale del COGNOME confermandone la condanna al risarcimento dei danni; accoglieva solo in parte l’appello incidentale dell’COGNOME, disponendo la pubblicazione della sentenza per estratto e solo una volta nel sito internet in questione. La corte d’appello, condividendo la linea motivazionale del primo giudice, affermava che in tutti gli articoli pubblicati dal COGNOME che contenevano un riferimento alla vicenda penale che aveva portato alla distruzione della vettura di sua proprietà erano inserite allusioni inequivocabili alla persona dell’COGNOME, e che tutti eccedevano i limiti della continenza, adombrando condotte disoneste e gravemente scorrette da parte dello stesso. Il COGNOME nei suoi articoli aveva intenzionalmente accusato l’COGNOME non soltanto di aver compiuto svariati errori nell’ambito del suo incarico di ausiliario del P.M., ma anche di aver intenzionalmente, in mala fede, dichiarato nella perizia
che la vettura del COGNOME fosse contraffatta, sottacendo svariati elementi a sua conoscenza in favore dell’autenticità della vettura.
Il giudice dell’impugnazione rigettava anche il secondo motivo di appello del COGNOME, relativo alla quantificazione del danno, affermando che, lungi dall’aver riconosciuto il diritto al risarcimento di un danno in re ipsa, il primo giudice era giunto ad una quantificazione, equitativa ma appropriata rispetto agli elementi connotanti la fattispecie: notorietà della persona offesa, diffusione delle dichiarazioni diffamatorie, pluralità degli articoli pubblicati.
Quanto alla riconvenzionale del COGNOME relativa al danno derivante dalla confisca, riproposta come motivo d’appello, la dichiarava inammissibile in quanto non connessa alla domanda principale, e comunque la rigettava nel merito per difetto del nesso causale, ritenendo che l’eventuale danno conseguente alla distruzione della vettura poteva eventualmente ricondursi all’ordine del giudice, che pur emettendo decreto di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato aveva disposto al contempo la distruzione della vettura (ritenendola contraffatta sulla base delle indicazioni del perito), e non certo dalla condotta dell’COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nonché la falsa applicazione dell’articolo 2059 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. nonché l’omesso esame di fatti decisivi in relazione all’articolo 360 numero 5 c.p.c. là dove la sentenza d’appello ha ritenuto che fosse stato violato il principio della continenza.
Sostiene il ricorrente che la pronuncia impugnata non sia stata rispettosa del suo diritto alla libera manifestazione del pensiero, pur in assenza di una condotta idonea a recare pregiudizio ad altri.
Sostiene che le espressioni utilizzate costituivano libero esercizio del diritto di critica, e indica a supporto delle sue argomentazioni una serie di circostanze di fatto, tratte da risultanze istruttorie di primo grado, tra le quali numerosi stralci delle prove testimoniali.
Sottolinea che lui e l’COGNOME, esperto d’auto d’epoca che lavorava anche per COGNOME, si conoscevano da anni e che questi conosceva anche i proprietari delle altre autovetture Maserati coinvolti nelle indagini, e sostiene che il controricorrente, nel redigere la perizia, vi abbia inserito affermazioni false o comunque inesatte. Aggiunge di non aver violato il limite della continenza, e che comunque, nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti, occorra dare la prevalenza alla libertà di parola.
-Il motivo è inammissibile, in quanto, pur prospettando apparentemente una violazione di legge, intende sollecitare in effetti una nuova valutazione in fatto delle circostanze già esaminate nei due gradi di merito, attività inammissibile in questa sede, sottoponendo peraltro all’attenzione di questa Corte affinché ne consideri la rilevanza, a suo avviso sottovalutata dal giudice d’appello, una serie di circostanze di fatto che neppure fanno parte del contesto motivazionale della sentenza impugnata.
– Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 2059 e 2697 c.c. e 185 c.p. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi, contestando che fosse stata provata l’esistenza stessa del danno. Dà atto che l’COGNOME produsse le proprie dichiarazioni dei redditi degli anni immediatamente successivi agli articoli, dalle quali emergeva una lieve contrazione reddituale, ma sostiene che emergerebbe, per contro, dagli stessi documenti prodotti dall’COGNOME, che questi mantenne inalterate la sua notorietà e la sua reputazione nell’ambiente delle auto d’epoca pur dopo la pubblicazione degli articoli ritenuti a contenuto diffamatorio.
4. – Il motivo è inammissibile, perché nel negare l’esistenza di un danno risarcibile non si confronta con la sentenza impugnata replicando, in diritto, alle considerazioni in base alle quali se ne è ritenuta provata l’esistenza, e non criticando neppure la correttezza dei criteri utilizzati dalla corte per la quantificazione del danno ed il riferimento, nella sentenza impugnata, ad alcuni parametri sulla base dei quali elaborare una non arbitraria valutazione equitativa, ma si limita a contrapporre ad essa il proprio diverso apprezzamento in fatto.
5. – Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione del principio del giusto processo di cui all’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 36 c.p.c. nonché la violazione nell’articolo 2043 c.c. e degli articoli 40 e 41 c.p. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi, attaccando il punto della sentenza impugnata che ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dallo stesso ricorrente fin dal primo grado, volta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla violazione, da parte dell’COGNOME, dei doveri connessi allo svolgimento dell’attività di consulente del P.M.
Critica, in primo luogo, la valutazione di inammissibilità della sua domanda riconvenzionale da parte della corte d’appello, in quanto ritenuta del tutto autonoma rispetto alla principale e come tale inidonea a sollecitare una trattazione congiunta e una decisione simultanea, osservando che, erroneamente, il giudice d’appello, pur avendo dichiarato l’inammissibilità della riconvenzionale, ha ugualmente giudicato sulla stessa, reputandola infondata.
Nel merito, osserva che l’errata conclusione della perizia, nel senso della contraffazione della vettura (errata perché non teneva conto che nella vettura di proprietà del COGNOME erano presenti molti pezzi di ricambio originali), era stata recepita dal g.i.p., ed aveva operato quanto meno come concausa nella distruzione della vettura, e nel danno riportato dal proprietario derivante dalla distruzione
dell’auto, perché era stata ritenuta attendibile e convincente dal magistrato. Sostiene che la sua vettura non doveva qualificarsi come vettura contraffatta, benchè priva del telaio originale, ma eventualmente come replica, avendo egli assemblato molti pezzi originali fino a farne una perfetta riproduzione, e che il consulente avrebbe dovuto dichiarare il proprio diretto coinvolgimento nella vicenda ed astenersi. Aggiunge di aver separatamente agito in giudizio nei confronti del giudice che ha disposto la distruzione del veicolo, per sentirne dichiarare la responsabilità civile, ma che la sua domanda non ha superato la soglia dell’inammissibilità, e si duole del fatto che, a seguito del rigetto della domanda risarcitoria nei confronti del consulente del P.M. che con le sue errate indicazioni fuorviò il giudice facendogli disporre la distruzione del mezzo, nessuno sia chiamato a rispondere del danno riportato dal ricorrente, consistente nella ingiusta distruzione della sua autovettura.
Il motivo è inammissibile.
Avendo il giudice d’appello dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dall’odierno ricorrente, si era con ciò spogliato del potere di decidere la causa nel merito; ne consegue che le affermazioni successive, relative al rigetto nel merito, non hanno alcun carattere decisorio, conformemente ai principi espressi da Cass. n. 3840 del 2007, condivisi da numerose altre pronunce successive ad essa (v. Cass. n. 29529 del 2022: In tema di impugnazione, allorché il giudice di appello, dopo aver rilevato l’inammissibilità del gravame, così privandosi della “potestas iudicandi”, abbia comunque esaminato il merito dell’impugnazione, poiché queste ultime argomentazioni restano puramente ipotetiche e virtuali deve ritenersi inammissibile il ricorso in cassazione con il quale si pretenda un sindacato in ordine alla motivazione di merito svolta “ad abundantiam”, senza censurare la statuizione di inammissibilità, atteso che su questa unica “ratio decidendi” giuridicamente rilevante della sentenza impugnata si è formato il
giudicato ; v. anche Cass. n. 11675 del 2020, Cass. S.U. n. 2155 del 2021; Cass. n. 27388 del 2022).
Quand’anche poi si volesse ritenere che o ve il giudice, pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile, anche in dispositivo, abbia proceduto al suo esame nel merito, esprimendosi, con motivazione preponderante e diffusa, nel senso della infondatezza, possa ritenersi ammissibile l’impugnazione della motivazione concernente sia l’inammissibilità che il merito, dovendosi riconoscere l’interesse della parte soccombente all’impugnazione di quello che si configura come un provvedimento di rigetto nel merito (come ritenuto da altro minoritario orientamento interno alla Corte, espresso da Cass. n. 29529 del 2022 e Cass. n. 28634 del 2022), il motivo sarebbe comunque inammissibile, perché non si confronta col punto decisivo della motivazione impugnata relativo alla riconvenzionale, ovvero con l’affermazione secondo la quale non esiste alcun nesso causale tra le considerazioni svolte dall’COGNOME nella sua perizia e la distruzione della vettura, essendo quella stata provocata dall’esecuzione dell’ordine emanato dal RAGIONE_SOCIALEp.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 3.000,00
oltre euro 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 29