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Danno da diffamazione: come si calcola il risarcimento?

Un ex magistrato ha citato in giudizio un quotidiano per diffamazione. Il tribunale di primo grado ha liquidato un risarcimento di 80.000 euro, ma la Corte d’Appello lo ha ridotto a 25.000 euro. La Corte di Cassazione ha confermato la riduzione, stabilendo che la quantificazione del danno da diffamazione non può essere arbitraria ma deve basarsi su criteri oggettivi e motivati, come la notorietà del diffamante e la diffusione della testata. La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso che mirava a una rivalutazione dei fatti.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da diffamazione: come i giudici calcolano il risarcimento?

Quando la reputazione di una persona viene lesa da articoli di stampa, sorge il diritto a un risarcimento. Ma come si quantifica economicamente un danno così immateriale? La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 3178/2024, offre chiarimenti cruciali sui criteri che i giudici devono seguire per la liquidazione del danno da diffamazione, sottolineando la necessità di una motivazione basata su parametri oggettivi e non su una valutazione puramente discrezionale. Questo caso, che ha visto contrapposti un ex magistrato e una testata giornalistica, illustra perfettamente il percorso che porta alla determinazione del giusto risarcimento.

I fatti: la vicenda processuale

Tutto ha inizio quando un sostituto procuratore cita in giudizio un giornalista e il direttore responsabile di un quotidiano, chiedendo il risarcimento per il danno alla sua reputazione. Il danno sarebbe derivato dalla pubblicazione di due articoli che insinuavano come il magistrato avesse ricevuto favori da una “polizia deviata” in cambio dell’archiviazione di indagini scomode.

Il Tribunale di primo grado accoglie la domanda, condannando i convenuti a pagare 80.000 euro. La decisione si basa sul principio del “pregiudizio in re ipsa”, ritenendo il danno implicito nella gravità delle accuse.

La decisione della Corte d’Appello

Il quotidiano impugna la sentenza. La Corte d’Appello riforma parzialmente la decisione di primo grado, riducendo drasticamente il risarcimento a 25.000 euro. La corte territoriale motiva la sua scelta criticando la liquidazione del primo giudice come carente di motivazione. Per la nuova quantificazione, la Corte d’Appello adotta criteri specifici e oggettivi:

* La media notorietà del diffamante.
* La diffusione solo regionale del giornale.
* La sussistenza di soli due episodi diffamatori.

Inoltre, sottolinea che il danneggiato non aveva dedotto né provato ulteriori pregiudizi di natura personale o professionale.

I motivi del ricorso sul danno da diffamazione

Il magistrato, non soddisfatto della riduzione, ricorre in Cassazione, sollevando due questioni principali.
In primo luogo, lamenta un error in procedendo, sostenendo che la motivazione della Corte d’Appello fosse solo apparente e non spiegasse adeguatamente perché avesse scelto quei parametri, né come avesse applicato i criteri delle tabelle dell’Osservatorio sulla Giustizia di Milano.
In secondo luogo, denuncia un error in iudicandi, affermando che i giudici d’appello avessero omesso di considerare fatti decisivi, come la sua posizione di soggetto leso, la gravità delle accuse e l’impatto sul suo contesto professionale, concentrandosi solo sulle qualità dei diffamanti.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, confermando la sentenza d’appello.

Sul primo motivo, la Corte ha stabilito che la motivazione della Corte d’Appello non era affatto apparente, ma logica e adeguata. I giudici di secondo grado avevano correttamente criticato la liquidazione “pura” e non motivata del primo Tribunale, adottando al suo posto un approccio basato su criteri oggettivi e consolidati in giurisprudenza, come quelli desumibili dalle tabelle milanesi. La motivazione, quindi, rispettava pienamente i requisiti di legge.

Sul secondo motivo, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Ha ricordato che, a seguito della riforma del 2012, il vizio di cui all’art. 360, n. 5 c.p.c. riguarda esclusivamente l'”omesso esame di un fatto storico decisivo”, non la semplice critica alla valutazione delle prove o delle argomentazioni svolta dal giudice di merito. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva esaminato il danno morale; il ricorrente, in sostanza, non lamentava un’omissione, ma contestava il modo in cui il danno era stato valutato, proponendo una lettura alternativa dei fatti non consentita nel giudizio di legittimità.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la liquidazione del danno da diffamazione non patrimoniale, pur essendo di natura equitativa, non deve essere arbitraria. Il giudice deve esplicitare in motivazione i criteri oggettivi utilizzati, evitando quantificazioni generiche. La decisione della Corte d’Appello, che ha ancorato la sua valutazione a parametri concreti come la diffusione del mezzo e la notorietà dell’autore, rappresenta un’applicazione corretta di questo principio. La Suprema Corte chiarisce inoltre che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio nel merito, ma di controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione, senza poter sostituire la propria valutazione a quella dei giudici delle istanze precedenti, se adeguatamente giustificata.

Un giudice può ridurre l’importo di un risarcimento per diffamazione deciso in un grado di giudizio precedente?
Sì, un giudice di grado superiore, come la Corte d’Appello in questo caso, può ridurre un risarcimento se ritiene che la quantificazione precedente sia ingiustificata o priva di una motivazione adeguata. Deve però fornire una nuova valutazione basata su criteri chiari e oggettivi.

Quali criteri usa un giudice per calcolare il danno da diffamazione a mezzo stampa?
Il giudice deve basarsi su parametri oggettivi per garantire una valutazione equa. La sentenza indica come rilevanti: la gravità dell’offesa, la notorietà del diffamante, la diffusione del quotidiano (in questo caso, regionale) e il numero di episodi diffamatori. L’uso di tabelle standardizzate, come quelle dell’Osservatorio di Milano, è considerata una prassi corretta.

È possibile fare ricorso in Cassazione se non si è d’accordo su come il giudice ha valutato i fatti?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il ricorso per “omesso esame di un fatto decisivo” non può essere utilizzato per contestare la valutazione del materiale probatorio o per proporre una propria interpretazione dei fatti. Il ricorso è ammissibile solo se un fatto storico, cruciale per la decisione, non è stato affatto preso in considerazione dal giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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