Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32536 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32536 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22968-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
CERTO NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 766/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/03/2021 R.G.N. 1140/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Lavoro demansionamento risarcimento danno
R.G.N. 22968/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 09/10/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 766 del 2021 ha riformato, per quanto qui rileva, la sentenza del Tribunale di Roma n. 8735/2017 che aveva rigettato le domande di NOME COGNOME COGNOME che -deducendo di essere stato trasferito il 7.3.2016,dalla sede aziendale di INDIRIZZO a quella di Tor INDIRIZZO e adibito a differenti mansioni, asseritamente di livello inferiore e non confacenti al livello di inquadramento (attività di tipo ‘Call center’), che il trasferimento gli fosse stato comunicato oralmente, senza tenere conto del fatto che il Certo sia familiare che assiste un soggetto disabile -aveva chiesto il risarcimento del danno da demansionamento.
2.La Corte d’Appello ha ritenuto fondato l’appello e ha dichiarato l’illegittimità del trasferimento nonché la sussistenza del demansionamento, condannando la società ad assegnare il lavoratore alle precedenti mansioni e al risarcimento del danno derivante dalla dequalificazione.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso RAGIONE_SOCIALE con 6 motivi, cui resiste con controricorso NOME NOMECOGNOME al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, sostiene che la Corte d’Ap pello abbia errato nel ritenere sussistente la violazione dell’art. 2103 c.c. per l’assegnazione del ricorrente a mansioni
diverse da quelle svolte presso il settore RAGIONE_SOCIALE, dal 7 marzo 2016. Nella prospettiva della ricorrente, la valutazione della Corte si baserebbe su una erronea interpretazione delle testimonianze raccolte in primo grado, in particolare poiché la corte avrebbe omesso, tra le altre, di valutare la rilevante deposizione del teste COGNOME il quale aveva dichiarato che le mansioni svolte dal lavoratore erano basate su procedure standardizzate e predefinite, giungendo, in forza di tale omissione, ad un a un’erronea conclusione circa il demansionamento del lavoratore.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. In particolare, sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe fornito alcuna argomentazione logica e coerente circa la diversa valutazione delle prove orali raccolte in primo grado, e pervenendo a conclusioni opposte rispetto a quelle del Tribunale, senza indicare una concreta e logica motivazione.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 23 del CCNL delle Telecomunicazioni. In particolare, sostiene che il nuovo te sto dell’art. 2103 c.c. (modificato dall’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015) consente il mutamento di mansioni purché rientrino nello stesso livello di inquadramento, senza richiedere che rispettino il pregresso bagaglio di competenze del lavoratore. Di conseguenza, il giudizio di equivalenza si basa unicamente sulle previsioni astratte del sistema di classificazione del contratto collettivo, non sul concreto contenuto delle precedenti mansioni.
In base all’art. 23 del CCNL Telecomunicazioni, il IV livello comprende lavoratori con qualifiche specialistiche che
svolgono attività tecnico-operative di complessità adeguata, con autonomia e responsabilità, oltre ad eventuali attività di coordinamento o supporto professionale. Tra i profili esemplificativi è incluso l’operatore di call center/customer care, che esegue attività complesse e relazionali con professionalità acquisita, autonomia esecutiva e l’uso di strumenti tecnologici avanzati.
Pertanto, il sig. NOME non sarebbe stato demansionato, in quanto le nuove mansioni assegnate rientrano nel medesimo livello di inquadramento previsto dal contratto collettivo.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 2103 e 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 432 c.p.c., per non avere la corte rilevato la carenza di allegazioni sul danno da demansionamento. In particolare, il lavoratore non avrebbe allegato specifiche circostanze fattuali dalle quali si potesse evincere un concreto pregiudizio alla professionalità e che la Corte avrebbe riconosciuto il risarcimento del danno in assenza di prova dell’ an e del nesso eziologico tra il pregiudizio e la condotta del datore.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. In particolare, contesta il fatto che la Corte d’Appello abbia condannato Telecom Italia al risarcimento del danno da dequalificazione professionale dalla data del 7 marzo 2016 fino alla data di deposito della sentenza di secondo grado (10 marzo 2021), senza limitarsi al momento di proposizione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado (12 ottobre 2016), determinando un’estensione indebita dell’accertamento giudiziale oltre i limiti della domanda proposta.
Con il sesto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 25 del CCNL delle Telecomunicazioni e dell’art. 33 della L. n. 104/1992. In pa rticolare, sostiene che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto sussistere un trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c. senza considerare che lo spostamento fosse avvenuto all’interno dello stesso Comune (Roma) e che pertanto non potesse configurarsi come trasferimento in senso tecnico. Inoltre, contesta l’interpretazione della tutela prevista dall’art. 33 comma 5 della L. n. 104/1992, evidenziando che la stessa non si applica agli spostamenti che avvengono all’interno di un comprensorio.
Il ricorso è infondato, in quanto mira ad ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione quando la sentenza d’appello sia correttamente motivata ed esente da vizi.
10.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto la doglianza si riferisce a una valutazione delle risultanze istruttorie, e non ad un fatto storico. La ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’assenza di una giustificazione logica e completa nella valutazione delle prove orali. Tuttavia, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), il sindacato della Corte di legittimità non può estendersi alla valutazione delle prove effettuata dal giudice di merito, poiché tale valutazione costituisce un giudizio di fatto riservato esclusivamente al giudice di merito. Pertanto, non essendo stato allegato un fatto storico specifico suscettibile di esame diretto, il motivo è inammissibile.
10.2. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile, poiché la ricorrente denuncia una violazione dell’art. 116
c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe omesso una valutazione delle prove di primo grado, senza fornire una motivazione logica e coerente. Tuttavia, la valutazione delle prove è un’attività discrezionale del giudice di merito, e come tale non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei casi di manifesta illogicità o evidente contraddittorietà, nel caso di specie non ricorrente. L’apprezzamento del giudice circa la prudenza nella valutazione delle prove è infatti espressione della sua autonomia (Cass. S.U. n. 20867/2020; Cass. n. 34786/2021).
10.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La società ricorrente lamenta una violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c. e 23 del CCNL Telecomunicazioni, sostenendo che il lavoratore non sarebbe stato demansionato, poiché le mansioni a lui assegnate dal 7 marzo 2016 rientrano nel IV livello previsto dal CCNL. Pur essendo ammissibile in via teorica, in quanto fondato sulla produzione integrale del CCNL, il motivo si risolve in una critica all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale, congruamente argomentato sulla base delle risultanze istruttorie (ultimo capoverso di p. 6 della sentenza). La Corte ha correttamente accertato che le mansioni svolte dal lavoratore non corrispondevano al livello di autonomia e specializzazione richiesto per il IV livello, trattandosi di attività di call center e back office standardizzate, prive di autonomia decisionale. In particolare, procedendo alla rilettura del materiale probatorio, ha evidenziato come dalle deposizioni testimoniali emergesse la differenza tra le mansioni precedenti (caratterizzata da una grande autonomia esecutiva, poiché il teste COGNOME ha ricordato che occorreva valutare l’affidabilità del cliente al fine di decidere se lasciare la linea in blocco ed avviare un iter di frode, ovvero avvisare il cliente del traffico anomali; nonché
eseguire analisi finalizzate ad individuare frodi su linee concatenate, ai danni dell’intera azienda, tutto senza il supporto di un sistema predefinito bensì sulla scorta di linee guida periodicamente aggiornate’) e le nuove mansioni (relativamente alle qu ali, tra l’altro, il teste COGNOME ‘che ha seguito il Certo nella nuova attività, ha riferito che si tratta di sostanziale attività di call center e back office del c.d. 187, basata sull’interazione con dei menu informatici ‘a tendina’ predefiniti e la possibilità di flaggare una delle tre possibili opzioni (ok/sblocco porta/cambio porta)’.
Tale accertamento, pertanto, rientra nella valutazione dei fatti di causa riservata al giudice di merito e non può essere oggetto di censura in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017; Cass. S.U. n. 34476/2019; Cass. n. 5987/2021).
10.4. Il quarto motivo di ricorso è infondato. La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 2103 e 2697 c.c., lamentando una mancata specificità delle allegazioni da parte del lavoratore nel ricorso introduttivo in ordine al danno da demansionamento. Tuttavia, la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi di diritto secondo cui, in tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito può desumere l’esistenza del relativo danno -avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore -anche in via presuntiva. Tale determinazione può avvenire sulla base degli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell’esperienza lavorativa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento e alle altre circostanze del caso concreto (Cass. n. 19778/2014; Cass. n. 19923/2019). Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha tratto specifici elementi presuntivi dalle allegazioni del lavoratore, riconoscendone il
diritto al risarcimento né la ricorrente ha fornito elementi, nell’ambito del suo onere di specificazione dei motivi di ricorso, che inducessero a ritenere l’inadempimento da parte del lavoratore del suo onere di allegazione.
10.5. Il quinto motivo di ricorso è infondato. La società ricorrente sostiene la violazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo un vizio di ultrapetizione nella pronuncia di condanna risarcitoria che include anche il periodo successivo alla data di deposito del ricorso fino alla data di deposito della sentenza. Tuttavia, non sussiste alcuna ultrapetizione, poiché la pronuncia della Corte d’Appello è conforme alla domanda come formulata e alla persistenza del demansionamento durante il corso del giudizio, attestata anche in sede di verbale dell’udienza del 14 ottobre 2020 (pp. 16 e 17 del controricorso). Pertanto, la pronuncia della Corte d’Appello rientra pienamente nei limiti della domanda proposta dal lavoratore. Inoltre, come eccepito dal controricorrente la censura pare aspecifica, fondata su atti e documenti del giudizio di merito che la ricorrente si limita a richiamare senza specificare la sede processuale in cui siano reperibili, violando il principio di autosufficienza del ricorso.
10.6. Il sesto motivo di ricorso è infondato. La società denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c., 25 del CCNL Telecomunicazioni e art. 33 della legge n. 104/92, sostenendo l’inesistenza di un trasferimento del lavoratore, poiché l o spostamento all’interno dello stesso Comune di Roma (da INDIRIZZO a INDIRIZZO) non avrebbe arrecato alcuna lesione alla possibilità del lavoratore di assistere il familiare disabile convivente. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento, anche all’interno dello stesso comprensorio territoriale, può configurarsi se comporta una lesione delle possibilità di
assistenza al familiare disabile convivente (Cass. n. 2969/2021). Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha correttamente valutato che il trasferimento contestato violava le tutele previste dalla legge n. 104/92, e ha quindi giustamente accertato l’illegitt imità dello stesso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 9 ottobre