Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22636 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22636 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20650-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 61/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/01/2021 R.G.N. 301/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Danni da dequalificazione
R.G.N.20650/2021
COGNOME
Rep.
Ud.08/04/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 171/2019 il Tribunale di Lanciano così provvedeva: a) accertava e dichiarava l’illegittimità dl demansionamento posto in essere dalla convenuta Sevel s.p.a. nei confronti dell’attore COGNOME NOME; b) condannava la società resistente al pagamento in favore del ricorrente, a titolo di danno biologico, della somma pari ad € 7.417,30, oltre rivalutazione ed interessi; c) condannava la società resistente al pagamento in favore del ricorrente, a titolo di risarcimento dei danni da dequalificazione professionale, di una somma pari alla quota del 20% delle retribuzioni dovute per l’effettivo periodo di demansionamento (pari a 6 anni e 6 mesi) con riferimento alla retribuzione globale di fatto percepita all’epoca, oltre interessi legali dalla data della pronuncia al saldo; d) condannava, inoltre, la società resistente al risarcimento del danno patrimoniale patito dal ricorrente, pari ad € 116.410,40, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria, dal dovuto fino all’effettivo soddisfo.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado e in correlativa parziale riforma della stessa, confermata nel resto, rigettava la domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE, proposta dal COGNOME, al risarcimento del danno patrimoniale da perdita dell’indennità per lavoro notturno.
Per quanto qui interessa, alla Corte territoriale appariva non sorretto da adeguato fondamento fattuale e giuridico il primo motivo d’appello della società, con il quale lamentava l’insussistenza della dequalificazione professionale del COGNOME
alla luce delle risultanze processuali, siccome erroneamente valutate dal primo giudice.
La stessa Corte giudicava privo di pregio anche il secondo motivo d’appello, a mezzo del quale l’appellante lamentava l’insussistenza e comunque l’errata quantificazione del danno biologico riconosciuto al COGNOME.
Riteneva che non coglieva nel segno il terzo motivo, in cui si lamentava l’erroneità della quantificazione operata dal primo giudice del danno alla professionalità subito dal COGNOME, nella misura del 20% delle retribuzioni dovute per il periodo di demansionamento.
Infine, la Corte considerava sorretto da giuridico fondamento il quarto motivo d’appello, con il quale la Sevel adduceva l’erroneità della sentenza di primo grado nel riconoscimento del danno patrimoniale subito dal COGNOME, ravvisato nel mancato guadagno dovuto alla perdita delle maggiorazioni retributive spettanti per il lavoro notturno, corrispondente alla cospicua somma di € 116.410,40, oltre accessori di legge.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
8 . L’intimata resiste con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di cinque motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia ‘Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2103 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Deduce che la Corte
territoriale è incorsa nell’errore dedotto in rubrica quando ha affermato che ‘non può ritenersi che l’indennità per il lavoro notturno costituisca un diritto acquisito dal lavoratore, piuttosto che il mero compenso del disagio effettivamente subito dallo stesso, ben potendo il datore di lavoro assegnare il dipendente ad un turno diverso da quello notturno’.
Con il secondo motivo denuncia: ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.’. Deduce che era chiaramente emerso, ed era stato oggetto di discussione tra le p arti, che il ricorrente dall’anno 2003 aveva sempre operato sul turno notturno osservando l’orario dalle ore 22.15. alle 05.45, mentre lo stesso, a far data dal 15 ottobre 2008 era stato assegnato ad operare sul turno centrale dalle ore 8.00 alle ore 17.00, sicché, stante la perdita economica da lui subita (pari ad € 1.455,13 mensili), ne conseguiva che ove la Corte territoriale avesse effettivamente valutato il fatto emerso non avrebbe potuto statuire così come aveva fatto.
Con il primo motivo del suo ricorso incidentale la RAGIONE_SOCIALE denuncia: ‘Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) Insussistenza di alcuna dequalificazione professionale in danno del signor COGNOME alla luce delle risultanze istr uttorie’.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia ‘Violazione dell’art. 2103 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.). Inesistenza di alcuna dequalificazione professionale in danno del signor COGNOME.
Con il terzo motivo dello stesso ricorso si denuncia ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, sulle (contestate) conclusioni della CTU (art. 360, n. 5), c.p.c.’.
Con il quarto motivo dello stesso ricorso si denuncia: ‘violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. (artt. 360, n. 3, c.p.c.), sul risarcimento degli asseriti danni derivati al signor COGNOME.
Con il quinto motivo dello stesso ricorso si denuncia ‘violazione dell’art. 2103 c.c. e 1 226 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.). Sulla quantificazione operata del danno alla professionalità asseritamente subito dal signor COGNOME.
8 . Occorre muovere dall’esame del ricorso incidentale della Sevel s.p.a., che rimette in discussione anzitutto l’ an del riconosciuto danno da demansionamento, vale a dire, lo stesso demansionamento.
8.1. Ebbene, il primo ed il secondo motivo di tale ricorso, esaminabili congiuntamente per evidente connessione, sono inammissibili.
Più nello specifico, nel primo motivo si assume che le ‘conclusioni rassegnate dalla sentenza ivi gravata’, in punto di ‘dequalificazione professionale asseritamente subita dal signor COGNOME, ‘non possono essere condivise in quanto basate … su di una err ata valutazione delle risultanze processuali’ (così a pag. 38 del controricorso).
E, come meglio emerge dal successivo esteso sviluppo della censura (cfr. pagg. 38-56 del controricorso), essa si fonda interamente su una critica dell’accertamento probatorio operato dalla Corte distrettuale, ad essa riservato quale giudice di merito, e su una completa rivisitazione delle
risultanze processuali; il che non è consentito in questa sede di legittimità.
Le medesime considerazioni valgono per il secondo motivo del ricorso incidentale, assumendosi sullo stesso tema che la sentenza di appello ‘ha ritenuto, sulla base (come si è visto) di una errata e/o incompleta valutazione delle risultanze istruttorie, che la Società abbia posto in essere una violazione dell’art. 2103 c.c.’ (v. tra la pag. 56 e quella 57 del controricorso); ed infatti, è solo in virtù di tanto che si assumono violati i principi di diritto espressi nei precedenti di legittimità richiamati nel seguito della stessa censura.
11. Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
12 . In chiave di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., ossia, l’ipotesi cui si fa riferimento nella rubrica del motivo, quest’ultimo è inammissibile ex art. 348 quater, comma quinto, c.p.c., in caso di c.d. doppia conforme, che ricorre nella specie in ordine al profilo oggetto dello stesso motivo, perché la Corte territoriale, nel pronunciarsi sul secondo motivo d’appello, ha disatteso anche il profilo di quest’ultimo nel quale la datrice di lavoro adduceva appunto ‘l’acritica recezione della CTU medico legale -in punto di sussistenza del danno alla salute corrispondente al 5% e di riconducibilità dello stesso al demansionamento lavorativo -nonché l’erroneità del riconoscimento della personalizzazione del danno con aumento nella misura del 10%’ (così a pag. 11 dell’impugn ata sentenza).
12.1. In particolare, la Corte di merito, dopo aver riferito testualmente quanto ritenuto nella sentenza di primo grado a
proposito del parere ottenuto dal CTU nominato in quel grado, ha ‘considerato che il primo Giudice ha spiegato chiaramente le condivisibili ragioni di forza delle quali ha aderito alle risultanze della CTU, tenendo peraltro in debito conto la replica forni ta dall’ausiliario a seguito dei rilievi formulati dal consulente di parte della Sevel’ (cfr. in extenso pagg. 11-13 della sua sentenza).
La ricorrente incidentale torna ora a sostenere, questa volta rispetto alla sentenza di secondo grado, che -‘come già in precedenza il giudice di primo grado -si è limitata a fare proprie acriticamente le conclusioni rassegnate dalla CTU, senza nulla replicare rispetto ai rilievi critici esposti dalla difesa della Società’ (così a pag. 62 del controricorso).
13.1. Osserva il Collegio che la Corte territoriale, come si è visto, si è piuttosto argomentatamente pronunciata su profilo di censura che riguardava lo stesso assunto vizio motivazionale attribuito allora dall’appellante alla sentenza di primo grado.
13.2. In ogni caso, la censura ora in esame è inammissibile anche in chiave di anomalia motivazionale ascritta, questa volta, alla sentenza d’appello, per difetto di autosufficienza.
La ricorrente incidentale, infatti, si limita a ‘reiterare le critiche alle conclusioni della CTU, già evidenziate nel procedente grado di giudizio, che la sentenza gravata ha totalmente tralasciato di considerare’.
Ma, come emerge dallo sviluppo di questa parte della censura (v. pagg. 63-64 del controricorso), non trascrive, né
richiama i passi salienti, di tali critiche, né specifica l’atto processuale in cui erano contenute.
14 . E’ ancora inammissibile il quarto motivo dello stesso ricorso, che attinge la parte di motivazione in cui la Corte di merito ha confermato la valutazione operata dal primo giudice, con riferimento alla ‘personalizzazione del valore di punto di riferimento de l danno non patrimoniale nella misura del 10%’.
La Corte di merito, infatti, ha attentamente motivato a riguardo, ponendo in luce che tale statuizione si collocava ‘nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa’ (v. in extenso l’apposito § tra la pag. 13 e la pag. 14 della sua sentenza).
Osserva allora il Collegio che tali passaggi argomentativi non sono in questa sede di legittimità aggrediti in chiave di anomalie motivazionali.
La ricorrente incidentale, piuttosto, in chiave assertiva, assume che ‘il ricorrente aveva preteso un aumento a titolo di ‘personalizzazione’ del danno biologico in via automatica e scontata e senza alcuna allegazione di un pregiudizio ‘esistenziale’ di eccezionale’, e che ‘nemmeno ha offerto di provare (e sul punto era decaduta) -come detto -quelle circostanze che (in astratto) avrebbero potuto far teorizzare la voce (suppletiva ed ulteriore) di danno in parola’.
16 .1. Di là dall’assertività e dalla genericità di tali rilievi, la ricorrente incidentale trascura di tener conto che la Corte distrettuale aveva ‘considerato che le risultanze istruttorie depongono chiaramente nel senso che la situazione avversativa in ambito lavorativa subita dal COGNOME nel periodo in questione abbia prodotto conseguenze negative sulla vita
relazionale del medesimo all’interno del contesto lavorativo, familiare e sociale (cfr. deposizioni rese dai testi NOME COGNOME, NOME COGNOME e, seppure de relato, NOME COGNOME)’ (così a pag. 14 dell’impugnata sentenza). Ergo , i giudici di merito hanno reputato allegati dall’attore e poi provati gli elementi idonei a consentire la contestata ‘personalizzazione’ della liquidazione del danno in questione.
17 . E’, infine, inammissibile il quinto motivo del ricorso incidentale.
La censura aggredisce la parte di motivazione, nella quale la Corte di merito ha respinto il terzo motivo di gravame dell’allora appellante COGNOME (v. l’apposito § alle pagg. 14 -15 dell’impugnata sentenza).
Ebbene, in sintesi assume ora la ricorrente incidentale: a) che ‘nel primo grado di giudizio, controparte non aveva individuato i criteri di quantificazione del danno, con conseguente (necessario) rigetto della domanda; b) che ‘i giudici di secondo grado hanno evidentemente tralasciato di considerare che, anche in presenza di un comportamento del datore di lavoro potenzialmente produttivo di un danno -anche biologico -esclude il diritto del lavoratore ad essere risarcito, laddove lo stesso non fornisca validi elementi di prova sul punto’; c) che il dipendente è tenuto a fornire la prova dell’effettiva sussistenza del danno; prova che, viceversa, non è stata data per quanto riguarda sia l’ an che il quantum ; d) che la domanda risarcitoria azionata in primo grado era, quindi, nulla e come tale avrebbe dovuto essere rigettata; e) che la Corte d’appello non aveva sufficientemente dimostrato ed esplicitato i criteri utilizzati per la determinazione del danno
nel 20% delle retribuzioni dovute per il periodo di demansionamento.
19.1. Rileva il Collegio che tutte tali generiche ed assertive affermazioni, che giungono sino a profilare una nullità della domanda ( rectius , del ricorso introduttivo di primo grado) della controparte, a quanto consta, peraltro, mai eccepita nel corso del giudizio, sono senz’altro a -specifiche. Esse non si confrontano, a tacer d’altro, con tutta la parte precedente di motivazione, nella quale la Corte, nel respingere il primo ed il secondo motivo d’appello dell’attuale ricorrente incidentale, aveva già confermato la sentenza di primo grado, anzitutto circa il notevole demansionamento subito dal lavoratore per il prolungato periodo di ben 6 anni e 6 mesi e quindi in ordine ai danni biologici che erano conseguiti, la cui liquidazione era stata anche personalizzata nei termini già visti. La Corte di merito, quindi, solo all’esito della conferma di tali statuizioni, nel disattendere il terzo motivo che riguardava esclusivamente la ‘quantificazione operata dal primo giudice del danno alla professionalità subito dal COGNOME, nella misura del 20% delle retribuzioni dovute per il periodo di demansionamento’, ha anzitutto rilevato che già ‘il primo giudice ha correttamente premesso -richiamando al riguardo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte -che a causa dell’illegittimo demansionamento è configurabile a carico del lavoratore un danno costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell’esperienza lavorativa pregressa, al tipo di
professionalità colpita ed alle altre circostanze del caso concreto (cfr. per tutte Cass. n. 19778/2014 e Cass. n. 12253/2015)’.
20. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
20.1. In ordine al secondo motivo dello stesso ricorso mette conto premettere che non opera rispetto ad esso la preclusione ex art. 348 quater, comma quinto, c.p.c. (applicabile ratione temporis al ricorso in esame, poi comunque riprodotta nel vigente comma quarto dell’art. 360 c.p.c.), perché in parte qua la sentenza di primo grado e quella di secondo grado non sono per nulla conformi: il secondo motivo, infatti, come il primo, attinge una statuizione dei giudici di appello -l’unica nel senso della riforma della decisione del Tribunale. Detto motivo, come tale, è piuttosto da giudicare assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
Tanto precisato, la Corte di merito aveva dato conto già in narrativa che la sentenza appellata aveva accolto il ricorso del lavoratore nel quale, per quello che qui ora rileva, egli aveva, tra l’altro, dedotto: ‘d) di aver sempre operato fin dall’anno 2003 sul turno notturno, osservando l’orario dalle ore 22,15 alle 5,45’; nel quale ricorso aveva chiesto anche il risarcimento del danno ‘patrimoniale’, ‘causatogli dall’illegittimo comportamento datoriale’ (v. pag. 2 dell’impugnata sentenza).
E il fatto ab origine così dedotto dal lavoratore era rimasto senz’altro controverso in secondo grado, perché, come riferisce la stessa Corte distrettuale, l’impugnante società, con il suo quarto motivo d’appello, aveva censurato il capo della sentenza del Tribunale, in cui si affermava in fatto che: ‘ Il
ricorrente ha dedotto e dimostrato in giudizio che dall’anno 2003 ha sempre operato sul turno notturno osservando l’orario dalle ore 22.15 alle ore 05.45 mentre a far data dal 15 ottobre 2008 è stato assegnato ad operare sul turno centrale dalle ore 8.00 alle ore 17.00 (cfr. testimonianze di NOME COGNOME e NOME COGNOME) con una perdita economica pari ad € 1.453,13 mensili lordi, per complessivi € 116.410,10 ‘ (cfr. pag. 16 dell’impugnata sentenza).
22. Ora, prescindendo da come il primo giudice aveva ulteriormente motivato, anche in diritto, l’accoglimento della relativa domanda del lavoratore, osserva il Collegio che la Corte di merito, pur avendo riferito tali deduzioni fattuali dell’istante, si è poi soffermata su aspetti diversi, ma in termini astratti e generali.
Più nello specifico, ha considerato anzitutto che: ‘l’indennità per il turno notturno, così come le altre indennità correlate alle particolari modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, va corrisposta al lavoratore solamente in presenza dei presupposti per la sua attribuzione.
Pertanto, l’indennità medesima non può essere considerata quale elemento indefettibile della retribuzione, in modo da costituire una ulteriore voce di danno patrimoniale risarcibile in favore del dipendente che sia stato demansionato, come nella specie’.
22.1. E, in termini appunto teorici, questo rilievo è esatto, ma non tiene conto del dato che, in relazione al periodo anteriore al mutamento di mansioni, secondo la chiara prospettazione dell’istante, non era in discussione la ricorrenza dei presupposti per l’a ttribuzione delle maggiorazioni per il
lavoro notturno, semplicemente perché egli allegava, in via di fatto, di aver costantemente percepito la stessa somma a quel titolo, il che il primo giudice aveva ritenuto provato.
22.2. Parimenti non pertinenti rispetto a quella prospettazione sono, poi, le osservazioni circa la natura dell’indennità per il turno notturno che, secondo la Corte territoriale, costituirebbe un ‘mero compenso correlato alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, particolarmente disagevoli’ (cfr. in extenso pag. 17 dell’impugnata sentenza).
22.3 . Invero, è meramente suggestivo l’argomento dell’allora appellante COGNOME, che la Corte d’appello ha condiviso, secondo cui: ‘una volta venuta meno tale disagevolezza, non è più nemmeno dovuto l’indennizzo per i disagi conseguenti al lavoro notturno, stante che il dipendente non subisce alcun disagio ulteriore, tale da giustificare la corresponsione di un indennizzo economico’.
22.4. In contrario osserva nuovamente il Collegio che non era in discussione per il periodo pregresso al mutamento di mansioni di cui la Corte ha confermato l’illegittimità quale fosse la precisa natura delle maggiorazioni costantemente percepite dal lavoratore per il lavoro notturno.
Del resto, l’istante non deduceva alcunché circa la disagevolezza o meno del suo lavoro prima e dopo il mutamento di mansioni a far tempo dal 15 ottobre 2008, e fondava la sua domanda di declaratoria di illegittimità del dedotto dimensionamento su tutt’alt re ragioni.
Inoltre, neppure sosteneva che, in concomitanza dell’inizio del suo demansionamento, avesse altresì visto
diminuire la sua retribuzione in senso stretto, in quanto magari rapportata appunto ad un livello retributivo inferiore a quello previsto per il suo inquadramento.
22.5. Per quanto riferito dalla stessa Corte di merito, come già notato, anche in merito alla perdita economica costituita dalla mancata percezione delle maggiorazioni prima introitate per il lavoro notturno a far tempo dall’assegnazione delle nuove mansioni, il lavoratore aveva chiesto la condanna al risarcimento del danno (e non al pagamento di differenze retributive non percepite) quale danno sì patrimoniale, ma come ‘perdita subita’, e non come ‘mancato guadagno’, cui invece ha fatto capo la Corte territoriale. E in ogni caso tale pregiudizio, come gli altri allegati, era rappresentato sempre come conseguenza immediata e diretta dell’ ‘illegittimo comportamento datoriale’.
22.6. Per le stesse ragioni sin qui illustrate non era conferente il riferimento della Corte territoriale alla categoria dei diritti quesiti, per poi escluderne nella specie la ricorrenza ‘ben potendo il datore di lavoro assegnare il dipendente ad un turno div erso da quello notturno’.
Ancora una volta, infatti, il lavoratore non aveva sostenuto di aver acquisito il diritto di essere sempre impiegato nel turno notturno, onde essere compensato con le correlative maggiorazioni, e neppure quindi che tale suo ipotetico diritto quesito era stato violato. Aveva, piuttosto, allegato il mero fatto di aver sempre percepito quell’emolumento in correlazione con l’effettivo svolgimento del suo lavoro sempre nel turno di notte, vale a dire, nelle ‘ultime mansioni svolte’, cui faceva riferimento anche il previgente testo dell’art. 2103 c.c., pacificamente applicabile ratione temporis alla fattispecie
di cui è causa. E, come più volte evidenziato, rappresentava la perdita di quel compenso come dipeso dal demansionamento. Pertanto, l’ipotesi che ha valorizzato la Corte, per la quale la datrice di lavoro ben avrebbe potuto ‘assegnare il dipendente ad un t urno diverso da quello notturno’, non presenta alcun addentellato anzitutto con la prospettazione fattuale dell’istante: da un lato, egli era stato sempre impiegato nel turno notturno per diversi anni e fino al mutamento di mansioni, così percependo di fat to l’emolumento in questione; dall’altro, e sempre in via di fatto, e non per ipotesi, dopo quel mutamento, era stato sempre impiegato nel turno centrale, senza quindi percepire l’emolumento. Dunque, l’ipotesi che la datrice di lavoro potesse regolarsi div ersamente per l’uno o l’altro periodo non appartiene al thema decidendum anzitutto in fatto della causa sul punto.
22.7. Infine, restano alieni invece dalla questione questa volta di diritto, già devoluta all’attenzione della Corte, tutti i precedenti di legittimità dalla stessa richiamati (alle pagg. 1719 della sua sentenza), in tema d’irriducibilità della retribuzione, peraltro in parte riferiti a casi di assegnazione di un dipendente a mansioni equivalenti (laddove con decisione di merito confermata in questa sede di legittimità nella specie trattasi all’opposto di accertato demansionamento).
22.8. Invero, per quanto sin qui detto, la Corte di merito era chiamata ad un diverso compito, e cioè, tenendo conto che l’attore aveva dedotto di aver sempre lavorato nel turno notturno per il periodo indicato, percependo a tale titolo le somme pure indicate, mentre, a far tempo dall’illegittima adibizione a nuove mansioni, non era più stato impiegato in quel turno, senza quindi percepire mai l’emolumento apposito,
come ritenuto dimostrato in causa dal primo giudice, avrebbe dovuto valutare, una volta verificato l’effettivo accadimento di tali fatti, se il danno patrimoniale allegato a riguardo dal lavoratore fosse conseguenza immediata e diretta (ex art. 1223 c.c.) dell’illegittimo comportamento datoriale.
Stanti i vizi di sussunzione denunciati nel primo motivo del ricorso principale, come anticipato, resta assorbito il secondo motivo dello stesso ricorso.
In definitiva, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo dello stesso ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla medesima Corte territoriale che, in differente composizione, oltre a regolare le spese anche di questo giudizio di cassazione, dovrà riesaminare il caso, circa il danno patrimoniale asseritamente risentito dal lavoratore per la mancata percezione delle maggiorazioni per lavoro notturno in base a quanto sopra statuito in punto di diritto.
La ricorrente incidentale, stante la reiezione della sua impugnazione, è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, in
diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del l’ 8.4.2025.
La Presidente NOME COGNOME