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Danno da demansionamento: prova e risarcimento

Un dipendente, dopo aver svolto mansioni dirigenziali, subisce un demansionamento. La Cassazione interviene sul caso, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova e i criteri di liquidazione del danno da demansionamento. Si specifica che spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adibito il lavoratore a mansioni corrette. Viene inoltre affrontata la questione del risarcimento del danno professionale, distinguendolo dalla perdita di chance, e si statuisce sulla necessità di accertare la soggettività giuridica dei fondi di previdenza complementare prima di poter decidere sulla relativa domanda di contribuzione.

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Pubblicato il 5 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da Demansionamento: Prova, Risarcimento e Tutele

Il danno da demansionamento è una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, poiché tocca la dignità e la professionalità del lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su aspetti cruciali come l’onere della prova, la distinzione tra le diverse voci di danno e la tutela previdenziale. Analizziamo questa importante decisione per comprendere i diritti dei lavoratori e gli obblighi dei datori di lavoro.

I Fatti del Caso: Dalla Promozione alla Demozione

Un dipendente di una grande società di servizi, inquadrato come quadro di primo livello, sosteneva di aver svolto per oltre un anno mansioni proprie della categoria dirigenziale. Successivamente, a suo dire, sarebbe stato illegittimamente demansionato e dequalificato, subendo un grave pregiudizio alla sua professionalità, integrità psico-fisica e dignità.

Il lavoratore si è quindi rivolto al Tribunale per ottenere il riconoscimento del corretto inquadramento dirigenziale, le relative differenze retributive e il risarcimento per il danno da demansionamento subito, sia sotto il profilo professionale che non patrimoniale. Mentre il Tribunale rigettava le sue domande, la Corte d’Appello le accoglieva in parte, riconoscendo il diritto all’inquadramento superiore e condannando la società al pagamento di cospicue differenze retributive e di un risarcimento per il danno biologico accertato. Tuttavia, la Corte territoriale aveva escluso il risarcimento per il danno alla professionalità inteso come perdita di chance.

Il Danno da Demansionamento secondo la Cassazione

La controversia è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha esaminato i vari motivi di ricorso. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia.

L’Onere della Prova nel Demansionamento

La Cassazione ha confermato un principio consolidato: in caso di presunto demansionamento, l’onere della prova grava sul datore di lavoro. Non è il dipendente a dover dimostrare di essere stato dequalificato, ma è l’azienda a dover provare di aver adempiuto correttamente all’obbligo, previsto dall’art. 2103 c.c., di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o riconducibili al suo livello di inquadramento. Qualsiasi incertezza probatoria su questo punto ricade sulla società.

La Distinzione tra Danno Professionale e Perdita di Chance

Un punto centrale della decisione riguarda la liquidazione del danno. La Corte ha chiarito la differenza tra il danno da “impoverimento della capacità professionale” e la “perdita di chance”.

1. Impoverimento professionale: rappresenta un danno patrimoniale che deriva dalla mancata acquisizione di nuove competenze e dal deperimento di quelle già possedute. Per essere risarcito, non è sufficiente lamentare il demansionamento (che è il “danno-evento”), ma occorre allegare e provare in che modo tale impoverimento abbia inciso negativamente sulla capacità reddituale del lavoratore (il “danno-conseguenza”).
2. Perdita di chance: si riferisce alla perdita di concrete possibilità di progressione di carriera. Anche in questo caso, il lavoratore deve fornire prove specifiche sulle opportunità mancate e sulle sue concrete possibilità di ottenerle.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il lavoratore non avesse fornito allegazioni sufficientemente specifiche su entrambi i fronti, confermando il rigetto di queste voci di danno.

La Questione della Previdenza Complementare

L’unico motivo di ricorso del lavoratore che è stato accolto riguarda la domanda di versamento dei contributi al fondo di previdenza complementare. La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta per mancanza di interesse e legittimazione ad agire. La Cassazione, invece, ha cassato questa parte della sentenza, stabilendo che il giudice di merito dovrà prima accertare se il fondo pensione abbia una soggettività giuridica autonoma rispetto al datore di lavoro. Se così fosse, il fondo dovrebbe essere chiamato in causa per integrare il contraddittorio. Questo passaggio è fondamentale per garantire la corretta tutela previdenziale del dipendente.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’attenta applicazione dei principi che regolano la responsabilità contrattuale e la ripartizione dell’onere probatorio. In base all’art. 1218 c.c., in caso di inadempimento contrattuale (come il demansionamento), è il debitore (il datore di lavoro) a dover provare che l’inadempimento non è a lui imputabile. Pertanto, l’incertezza sulla qualità delle mansioni svolte dal lavoratore va a svantaggio dell’azienda.
Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, i giudici hanno ritenuto adeguata la liquidazione operata dalla Corte d’Appello, che aveva utilizzato le tabelle del Tribunale di Milano e aveva applicato una personalizzazione del 20% per tenere conto della lunga durata della dequalificazione, tutelando così i valori personali e la dignità del lavoratore. La decisione sul fondo pensione, infine, si allinea alla giurisprudenza delle Sezioni Unite, che richiede un accertamento preliminare sulla natura giuridica di tali enti per stabilire chi debba essere parte del giudizio.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre importanti spunti sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Per i primi, emerge la necessità di allegare e provare in modo specifico e dettagliato ogni singola componente del danno richiesto, specialmente per quanto riguarda l’impoverimento professionale e la perdita di chance. Per le aziende, viene ribadito il rigoroso onere di provare la corretta gestione del personale, documentando che le mansioni assegnate siano sempre coerenti con l’inquadramento del dipendente. Infine, la decisione sottolinea la complessità delle questioni legate alla previdenza complementare, che richiedono un’attenta analisi della struttura giuridica dei fondi per una tutela effettiva.

A chi spetta l’onere della prova in una causa per demansionamento?
L’onere della prova grava sul datore di lavoro. Secondo la Corte, è l’azienda che deve dimostrare di aver rispettato l’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni proprie del suo inquadramento o equivalenti, come previsto dall’art. 2103 c.c. L’incertezza probatoria su questo punto va a svantaggio del datore di lavoro.

Come viene risarcito il danno alla professionalità?
Il danno alla professionalità, inteso come impoverimento delle competenze, è una componente patrimoniale del danno che richiede una prova specifica. Il lavoratore non solo deve allegare il demansionamento (danno-evento), ma deve anche dimostrare come questo abbia concretamente inciso sulla sua capacità reddituale (danno-conseguenza). Lo stesso vale per la perdita di chance, che richiede la prova di concrete opportunità di carriera mancate.

Cosa succede se il datore di lavoro non ha versato i contributi a un fondo di previdenza complementare?
Il lavoratore può agire in giudizio, ma la Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice deve prima verificare se il fondo pensione abbia una propria e autonoma soggettività giuridica. Se il fondo è un soggetto giuridico distinto dal datore di lavoro, deve essere necessariamente coinvolto nel processo per assicurare la corretta integrazione del contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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