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Danno da demansionamento: onere della prova e risarcimento

Un lavoratore, dequalificato da responsabile informatico a semplici mansioni esecutive, ha ottenuto il risarcimento del danno da demansionamento. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 48/2024, ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando che l’onere di provare la legittimità del cambio di mansioni spetta al datore di lavoro. La Corte ha inoltre ribadito che il danno alla professionalità può essere provato anche tramite presunzioni, come la durata della dequalificazione e l’impoverimento delle competenze acquisite.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da demansionamento: la Cassazione chiarisce onere della prova e risarcimento

Con la recente ordinanza n. 48/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto del lavoro: il danno da demansionamento. La pronuncia offre importanti chiarimenti sulla ripartizione dell’onere della prova tra lavoratore e datore di lavoro e sui criteri per la liquidazione del risarcimento, confermando un orientamento consolidato a tutela della professionalità del dipendente. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti: Dalla Gestione IT allo Scanning

Il caso riguarda un dipendente che, dopo aver ricoperto per anni il ruolo di responsabile informatico di un ufficio CED (Centro Elaborazione Dati) con un inquadramento di terzo livello, si è visto progressivamente dequalificato. In seguito alla chiusura dell’ufficio CED, era stato inizialmente trasferito al reparto di assistenza post-vendita, con mansioni meno qualificanti ma ancora rientranti nel suo livello.

La situazione è precipitata quando, a partire dal gennaio 2014, è stato assegnato a un ‘Team Scanning’, dove gli sono state affidate mansioni ‘meramente esecutive e standardizzate’, palesemente inferiori al suo bagaglio professionale e al livello contrattuale. Di fronte a questa dequalificazione, il lavoratore ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del demansionamento e il conseguente risarcimento dei danni.

La Decisione della Corte: Il ricorso dell’azienda respinto

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, accertando il demansionamento e condannando la società a riassegnarlo a mansioni compatibili e a risarcirgli il danno patrimoniale e non patrimoniale. L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali: l’errata ripartizione dell’onere della prova, vizi procedurali nella quantificazione del danno biologico e l’erronea valutazione del danno alla professionalità.

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la sentenza d’appello e condannando la società al pagamento delle spese legali.

Le Motivazioni della Sentenza: Analisi del danno da demansionamento

La decisione della Suprema Corte si fonda su principi giuridici consolidati, che vale la pena approfondire.

L’Onere della Prova grava sul Datore di Lavoro

Il primo e più importante punto chiarito dalla Corte riguarda l’onere della prova. L’azienda sosteneva che spettasse al lavoratore dimostrare in dettaglio l’inadempimento datoriale. La Cassazione ha ribadito con forza il principio opposto: una volta che il lavoratore allega di aver subito un demansionamento, spetta al datore di lavoro provare l’esatto adempimento del proprio obbligo.

Questo significa che l’azienda deve dimostrare, alternativamente:
1. Che non vi è stato alcun demansionamento e le nuove mansioni sono equivalenti alle precedenti.
2. Che l’adibizione a mansioni inferiori era giustificata da un legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali (ad esempio, per esigenze di riorganizzazione aziendale).
3. Che la prestazione originaria era diventata impossibile per cause non imputabili all’azienda.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la società non avesse fornito tale prova, e che la decisione dei giudici di merito si basasse correttamente sulla valutazione delle testimonianze raccolte, che confermavano la natura dequalificante delle nuove mansioni.

La Prova del Danno alla Professionalità

Il secondo aspetto rilevante è la prova del danno alla professionalità. L’azienda lamentava che il danno fosse stato riconosciuto sulla base del solo demansionamento, senza prove specifiche. La Cassazione ha respinto anche questa censura, qualificandola come un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

I giudici di legittimità hanno confermato che il danno alla professionalità, di natura patrimoniale, può essere provato anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 2729 c.c. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente valorizzato indici presuntivi quali:
* La notevole durata del demansionamento.
* Il conseguente e perdurante impoverimento della capacità professionale del lavoratore.
* La mortificazione dell’immagine professionale.

La Corte ha specificato che questo tipo di danno è distinto e ulteriore rispetto al danno biologico, in quanto colpisce la sfera patrimoniale del lavoratore legata alla sua spendibilità nel mercato del lavoro.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

L’ordinanza n. 48/2024 rafforza un importante principio a tutela della dignità e della professionalità dei lavoratori. Per le aziende, emerge la chiara necessità di gestire con estrema cautela i processi di riorganizzazione e le modifiche delle mansioni, documentando attentamente le ragioni che giustificano tali cambiamenti. Il mero richiamo a generiche esigenze aziendali non è sufficiente a legittimare l’assegnazione di un dipendente a compiti inferiori.

Per i lavoratori, questa sentenza conferma che, di fronte a un’evidente dequalificazione, il percorso giudiziario offre tutele concrete. È fondamentale allegare in modo preciso i fatti costitutivi del demansionamento, ma l’onere di giustificare le proprie scelte ricade inequivocabilmente sul datore di lavoro.

In un causa per demansionamento, a chi spetta l’onere della prova?
Secondo la Corte di Cassazione, una volta che il lavoratore ha allegato i fatti che costituiscono il demansionamento, spetta al datore di lavoro l’onere di provare che le nuove mansioni sono equivalenti a quelle precedenti o che il cambiamento era giustificato da un legittimo esercizio dei suoi poteri imprenditoriali.

Come può essere dimostrato in giudizio il danno alla professionalità?
Il danno alla professionalità può essere provato non solo con prove dirette, ma anche attraverso elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. La sentenza indica come indici rilevanti la notevole durata del demansionamento, l’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e la mortificazione della sua immagine professionale.

Il danno alla professionalità è considerato parte del danno biologico?
No, la Corte ha chiarito che il danno alla professionalità è distinto e autonomo rispetto al danno biologico. Mentre quest’ultimo attiene alla lesione dell’integrità psicofisica, il primo ha natura patrimoniale e riguarda l’impoverimento delle competenze e della spendibilità del lavoratore nel mercato del lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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