Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34490 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34490 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20367-2022 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALESocietà con socio unico, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1061/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/12/2021 R.G.N. 1353/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 20367/2022
COGNOME
Rep.
Ud.30/10/2024
CC
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Locri, con sentenza n. 2670/2012, rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME, dipendente di Trenitalia spa, con il quale questi chiedeva accertarsi il demansionamento subito dal gennaio 1993 in relazione al passaggio da mansioni di titolare della stazione di Gioiosa Ionica, proprie della qualifica posseduta di ‘Capo Stazione Superiore’ alle mansioni di bigliettaio presso la medesima stazione, e condannarsi Trenitalia al risarcimento del danno patito.
Con sentenza n. 1195/2015 la Corte d’appello di Reggio Calabria in riforma dell’impugnata sentenza, accoglieva la domanda relativa al risarcimento del danno da illegittimo demansionamento, rigettando le altre domande originariamente proposte dal ricorrente, e condannava Trenitalia spa al risarcimento dei danni quantificati nella misura del 30% di 1/12 della retribuzione percepita nel 2004 moltiplicata per il numero di mesi trascorsi dal febbraio 1993 alla data del ricorso introduttivo, il tutto oltre interessi e rivalutazione.
Con ordinanza n. 31778/2018 depositata il 7 dicembre 2018, la Corte di Cassazione, respinto il motivo di ricorso relativo all’accertamento del demansionamento, cassava con rinvio detta ultima pronuncia accogliendo il ricorso proposto da Trenitalia avendo la corte territoriale ‘ proceduto alla liquidazione equitativa del risarcimento senza avere neppure preventivamente individuato quale danno, tra quelli allegati dal lavoratore, riteneva essere stato prodotto dall’inadempimento e senza rapportare il quantum del risarcimento all’effettiva entità di tale pregiudizio ‘.
La Corte di appello di Catanzaro, in sede di rinvio dalla Cassazione, con sentenza n. 1061/2021 pubblicata il 21/12/2021, in parziale accoglimento dell’appello proposto e in riforma della sentenza impugnata, ha condannato Trenitalia spa al risarcimento del danno in favore del Salomone liquidato nella misura del 20% della retribuzione mensile percepita nell’anno 2004 moltiplicata per il numero di mesi
trascorsi dal febbraio 1993 al 29 luglio 2004, oltre interessi e rivalutazione.
4.1. In particolare, la Corte d’Appello -premesso che ‘ l’accertamento dei modi e dei termini del demansionamento subito dal Salomone è divenuto incontestabile avendo la Cassazione disatteso i relativi motivi di censura ed avendo annullato la decisione della Corte d’appello di Reggio limitatamente all’an e al quantum del danno risarcibile ‘ -in base alle allegazioni del ricorrente ed alle prove raccolte in primo grado negava la sussistenza di ‘a) danno prettamente economico, consistente nella ridotta percezione dell’indennità di utilizzazione e delle indennità notturna, per assoluta mancanza di prova al riguardo non avendo il ricorrente neanche prodotto i prospetti paga da cui poter desumere se e in che misura di tali emolumenti abbia mai goduto; b) danno all’immagine e alla vita di relazione, alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro tutelato dagli artt. 1 e 2 Cost., per assoluto difetto di specifiche allegazioni e comunque per totale assenza di riscontri probatori ‘ e affermava la sussistenza di un danno professionale atteso che ‘ l’adibizione dal 1993 alle mansioni di bigliettaio ha, per un verso impedito al lavoratore di perfezionare e accrescere le proprie competenze perché da quell’epoca non ha più potuto partecipare ai corsi di formazione organizzati per la figura professionale del capo stazione superiore; per altro verso ha comportato il progressivo depauperamento del bagaglio professionale acquisito, essendo stato il Salomone relegato per un periodo di oltre 10 anni all’espletamento del solo servizio di biglietteria a fronte delle complesse attività, di natura tecnico gestionale, svolte quale capo stazione superiore; il tutto con frustrazione delle comprovate ragionevoli aspettative di progressione professionale (accesso all’area quadri) ‘. In relazione alla quantificazione di detto danno, la Corte territoriale, procedendo in via equitativa teneva conto della durata del demansionamento (oltre dieci anni), dell’anzianità di servizio del
lavoratore e delle dimensioni dell’impresa, determinando così il danno nella misura sopra indicata.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a due motivi.
Trenitalia s.p.a. replica con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso il Salomone lamenta ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. ‘ per avere la Corte di appello di Catanzaro quantificato il danno professionale, limitandone illegittimamente l’ammontare, in base ad ‘una valutazione superficiale che ha tenuto conto semplicemente della durata del demansionamento in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore, ma non del parametro più rilevante relativo alla ‘gravità’ ed alla ‘qualità’ del demansionamento’. Deduce che il giudice di merito al fine di quantificare il danno patito in misura corrispondente ai principi della effettività e della integrità del risarcimento, avrebbe dovuto tener conto di tutte le circostanze del caso concreto tra cui: a) la qualità della mansione esercitata dal Salomone prima del demansionamento; b) il tipo di professionalità dallo stesso acquisita alla luce delle mansioni svolte; c) la qualità e quantità delle mansioni svolte nel profilo di nuova (ed illegittima) assegnazione ad opera del datore di lavoro; d) il divario esistente tra la mansione di appartenenza e quella cui il ricorrente è stato adibito in termini di gravità del demansionamento subito; e) l’esito finale del demansionamento, valutando se in esito al demansionamento sia residuata per il ricorrente la possibilità di conservare o recuperare la professionalità lesa o perduta. Al riguardo deduceva di aver evidenziato in sede di ricorso in riassunzione che era stato ‘costretto ad un cambio assoluto di prospettiva lavorativa, passando da una mansione molto complessa, caratterizzata dall’assunzione di forti responsabilità, la quale
prevedeva la responsabilità della conduzione di una intera stazione ferroviaria, a quella, semplice e priva di responsabilità, di addetto alla biglietteria’ e che dalla semplice lettura della declaratoria contrattuale si potesse facilmente apprezzare la complessità dei compiti che venivano normalmente e incontestatamente svolti dal Sig. COGNOME prima del demansionamento, come Capo Stazione Superiore e che avrebbero dovuto essere svolte come Capo Gestione Superiore.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. ‘ avendo la corte territoriale ‘omesso di considerare fatti decisivi, che hanno formato oggetto della discussione in giudizio, in quanto ampiamente segnalati dal ricorrente, quali quelli illustrati nel motivo precedente (qualità della mansione ricoperta dal Salomone prima del demansionamento, qualità della mansione illegittimamente attribuita, differenza di contenuto tra le diverse mansioni, conseguente gravità del demansionamento, esito del demansionamento sia in termini di perdita di professionalità, sia in termini di perdita di chance di guadagno o di miglioramento della professionalità, sia in termini di capacità di riacquisire la professionalità perduta in esito al demansionamento)’. La mancata considerazione di tali fatti ha determinato conseguentemente un vizio relativo alla assenza di motivazione che dovrà determinare la cassazione del provvedimento impugnato, oltre che sotto il profilo della violazione di legge, anche sotto quello previsto dall’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c..
Si difende con controricorso RAGIONE_SOCIALE
I due motivi, che per logica connessione possono essere scrutinati congiuntamente, sono inammissibili.
4.1. L’inammissibilità discende anzitutto dal complessivo difetto di autosufficienza. Perché il principio di autosufficienza, con la «specifica indicazione» richiesta dall’articolo 366, n. 6, c.p.c., possa dirsi osservato, occorre, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte
che il ricorso per cassazione esponga tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. 28 dicembre 2017, n. 31082; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926; Cass. 4 aprile 2006, n. 7825; da ult. tra le tante Cass. 22 giugno 2020, n. 12191; Cass. 28 maggio 2020, n. 10143), sicché il ricorrente per cassazione deve esplicitare quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti che pone a fondamento del ricorso, riassumendoli o trascrivendoli.
4.2. Nel caso di specie il ricorso risulta assolutamente carente sotto il profilo delle circostanze di fatto che in tesi avrebbero dovuto essere considerate dalla Corte territoriale al fine di una corretta ed equa liquidazione del danno da demansionamento per come accertato. In primo luogo, infatti, il Salomone omette del tutto di riportare puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente, le allegazioni in fatto, rilevanti ai fini di una corretta liquidazione del danno, svolte nel ricorso introduttivo e nei due atti di appello ed anche di allegare e/o indicare specificamente ove tali atti sono reperibili.
4.3. In secondo luogo, nonostante il ricorrente faccia ripetuto riferimento alla ‘qualità delle mansioni’ esercitate dal lavoratore prima del demansionamento -lamentando che esse non siano state valutate ‘sotto il profilo della loro complessità, della professionalità richiesta per esercitarle, del tipo di professionalità acquisita attraverso l’esercizio delle stesse’ né comparate con ‘l’elementarità di quelle cui lo stesso è stato illegittimamente adibito’ al fine di apprezzare la gravità del demansionamento – non specifica quali fossero, in concreto, le mansioni svolte quale Capo stazione superiore, limitandosi a rinviare alla ‘lettura della declaratoria contrattuale’ che, tuttavia, non risulta né riprodotta in ricorso né allegata nemmeno per estratto.
5. I motivi di ricorso sono, poi, inammissibili in quanto, essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si esclude che l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito possa di per sé essere soggetto a controllo in sede di legittimità, se non in presenza di totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr. Cass. n. 12918 del 2010; Cass. n. 1529 del 2010; conforme, più di recente, Cass. n. 18778 del 2014). Va, dunque, ribadito che la liquidazione equitativa del danno può ritenersi sufficientemente motivata -ed è pertanto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità -allorquando il giudice dia congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico seguito; e che essa è invece censurabile se sia stato liquidato un importo manifestamente simbolico o non correlato alla effettiva natura od entità del danno (Si veda Cass. n. 18795 del 02/07/2021, Rv. 661913 -01; Cass. n. 22272 del 13/09/2018, Rv. 650596 – 01; Cass. n. 24070 del 13/10/2017, Rv. 645831 -01). L’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa diviene, dunque, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito. In particolare, in tema di liquidazione equitativa del danno da demansionamento si è di recente (Cass. n. 16595 del 20/06/2019 (Rv. 654240 -01) sottolineato che è sindacabile in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 c.c. e, nel contempo, come ipotesi di assenza di motivazione, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, solo la valutazione del giudice di merito che non abbia indicato, nemmeno sommariamente, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”. Il giudice del merito,
con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico -giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19778 del 2014; Cass. n. 4652 del 2009; Cass. n. 28274 del 2008; Cass. SS.UU.. n. 6572 del 2006).
6. Valutata nell’ambito di questo quadro concettuale la motivazione della sentenza impugnata non merita censura in quanto esplicita un percorso motivazionale che, senza discostarsi da dati di comune esperienza e non palesando radicale contraddittorietà delle argomentazioni, sorregge a sufficienza l’esercizio del potere discrezionale di valutazione equitativa, idoneo a precludere la cassazione della sentenza impugnata sulla base delle censure che parte ricorrente muove. Nella specie la sentenza impugnata, seppur sinteticamente, indica gli elementi di fatto in base ai quali ha ritenuto accertato un danno alla professionalità, avuto riguardo alle modalità del demansionamento ed al suo perdurare nel tempo. Già questa Corte ha giudicato non privo di concretezza il ricorso in via parametrica alla retribuzione per la determinazione in termini quantitativi del danno da violazione dell’art. 2103 c.c., posto che, indubbiamente, non può negarsi che elemento di massimo rilievo nella determinazione della retribuzione è il contenuto professionale delle mansioni sicché essa costituisce, in linea di massima, espressione (per qualità e quantità, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione) anche del contenuto professionale della prestazione; l’entità della retribuzione ben può, dunque, essere assunta, nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, a parametro del danno da impoverimento professionale derivato dall’annientamento delle prestazioni proprie della qualifica (Cass, n.
9228 del 2001; cfr. pure Cass. n. 7967 del 2002 e Cass. n. 835 del 2001).
Quanto, in particolare, al secondo motivo, la censura è altresì inammissibile giacchè con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, si è introdotto un vizio specifico, denunciabile per cassazione solo ove relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, e quindi ad una precisa circostanza da intendersi in senso storico -naturalistico, ad un dato materiale la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), da denunciare nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. Orbene la ‘qualità delle mansioni svolte’, la ‘gravità del demansionamento’ non costituiscono “fatti” di cui sia stato omesso l’esame da parte della Corte di appello, ma elementi palesemente valutativi peraltro rispetto a circostanze prese in considerazione dalla sentenza impugnata in sede di accertamento dell’an del danno lamentato e semmai non ‘valutate’ nel senso auspicato dal ricorrente.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente NOME Sergio al pagamento in favore di Trenitalia s.p.a. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione