Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32534 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32534 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14793-2021 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2422/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2020 R.G.N. 5283/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Lavoro –
demansionamento risarcimento danno
R.G.N. 14793/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 09/10/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale di Roma aveva accolto parzialmente la domanda di NOME COGNOME, dipendente della Banca Nazionale dell’Agricoltura S.p.A. dal 1986 e, dal 1° agosto 2009, della Banca Monte dei Paschi di Siena con la qualifica di QD2 che aveva accertato il danno da demansionamento, subito dal lavoratore, condannando la banca al risarcimento del danno per un importo di € 105.799,50.
La Corte, richiamando i principi stabiliti dalla giurisprudenza della Cassazione in materia di demansionamento, in base ai quali il danno non è automatico (in re ipsa) e richiede una specifica allegazione e prova da parte del lavoratore, ha ritenuto che il lavoratore non avesse adeguatamente allegato il danno, indicando quali capacità lavorative fossero venute meno, né avesse specificato gli effetti concreti del demansionamento sulla propria immagine e dignità professionale. Ha perciò rigettato la domanda del lavoratore e lo ha condannato l’appellato alla restituzione dell’importo di € 116.961,70.
per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso il lavoratore con due motivi, cui il datore di lavoro ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe formulato una motivazione apodittica, inesistente e apparente in relazione al presunto difetto di allegazione del danno subito. La Corte territoriale, senza confutare il percorso logico-giuridico seguito in primo grado, avrebbe escluso il danno professionale basandosi esclusivamente sul mero esame del ricorso introduttivo, senza tenere conto dell’istruttoria documentale ed orale svolta.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi e controversi già accertati dal giudice di primo grado. Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare i fatti e le circostanze poste a fondamento dell’accertamento in primo grado, quali il demansionamento e la perdita di professionalità, ignorando gli accertamenti compiuti e le risultanze istruttorie raccolte in primo grado, che avevano evidenziato la perdita di capacità professionali e la lesione del diritto alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro, e non facendo ricorso al ragionamento presuntivo per accertare il danno in contrasto con la giurisprudenza.
3. Il ricorso è infondato
3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Non ricorre la dedotta motivazione apparente poiché la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente la propria decisione, applicando i principi sviluppati da questa corte in materia di danno alla professionalità.
E’ stato infatti affermato come, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale,
non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (Sez. L – , Ordinanza n. 21527 del 31/07/2024, in senso conforme a sent. n. 29047 del 2017, n. 25743 del 2018, n. 4232 del 2016, n. 4652 del 26 febbraio 2009).
Nel caso di specie, la Corte di appello, dopo aver illustrato i corretti principi sopra richiamati, ha evidenziato la omessa specifica allegazione di circostanze (cfr pag. 4 della sentenza impugnata), relativi al tipo di professionalità colpita, alle capacità lavorative che sarebbero venute meno e agli effettivi risvolti del demansionamento sulla propria immagine e dignità in ambito lavorativo e personale
3.2.- Il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi, quali quelli accertati dal Tribunale e non esaminati, è inammissibile.
Ed infatti, come questa Corte ha in più occasioni evidenziato, con la censura di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., occorre
dedurre l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Non integra tale vizio il semplice omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie. La parte ricorrente ha, pertanto, l’onere di indicare -nel rigoroso rispetto degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. -il ‘fatto storico’ il cui esame sarebbe stato omesso, il ‘dato’ testuale o extratestuale da cui ne risulti l’esistenza, nonché il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la ‘decisività’ del fatto stesso (cfr. Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014).
Nella specie, il motivo risulta carente del necessario livello di specificità, non consentendo di individuare un effettivo fatto storico decisivo e omesso che sia stato oggetto di discussione tra le parti, traducendosi piuttosto in una diversa lettura delle risultanze probatorie rispetto a quella operata dal giudice di merito, non consentita in sede di legittimità
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 9 ottobre