Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4239 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4239 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
Oggetto:
concorrenza sleale
AC – 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32827/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, Sezione Prima civile, n. 689/2019, depositata il 26/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a pagare in favore della RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 12.000,00, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno derivante dall’accertata concorrenza sleale identificata nell’apertura di un esercizio commerciale in un immobile adiacente a quello preesistente del COGNOME per lo svolgimento di identica attività di noleggio biciclette.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
La Corte di appello, per quanto in questa sede ancora rileva, ha ritenuto: a) che le risultanze della c.t.u. disposta in primo grado, alla quale la RAGIONE_SOCIALE non si era opposta, consentivano di liquidare il danno da illecita concorrenza in via equitativa, nonostante il COGNOME non avesse prodotto documentazione dimostrativa dell’ammontare del pregiudizio sofferto alla propria attività d’impresa; b) che il danno doveva essere quantificato non sulla base degli studi di settore, come aveva fatto il Tribunale, bensì sul concreto accertamento dell ‘a mmontare del fatturato della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel periodo in contestazione – accertata dal consulente tecnico in euro 20.182,52 – somma da decurtare del 40% sul presupposto che essa non potesse rappresentare nella sua totalità lucro cessante, dovendo tenersi conto anche delle spese e degli oneri di esercizio dell’impresa; c) che le spese di lite del doppio grado di merito potevano essere compensate in ragione del 50%, in ragione del
complessivo esito della lite e segnatamente della rilevante riduzione dell’ammontare del risarcimento liquidato nella fase di merito, laddove per il resto dovevano seguire il principio della soccombenza.
Con nota depositata in data 23 ottobre 2023, gli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME hanno dichiarato di aver rinunciato al mandato difensivo conferito loro dal ricorrente.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
Primo motivo: «Art. 360, n. 3) c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., e/o 195 c.p.c. e/o 184 c.p.c..», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver preso a riferimento i ricavi contabilizzati anziché quelli presunti, nonostante il metodo di calcolo dei ricavi stessi fosse stato in primo grado oggetto sia di specifico quesito da parte del giudice che di espressa accettazione delle parti durante l’effettuazione delle operazioni, le quali riconobbero persino la correttezza dei risultati acquisiti all’indagine e nonostante il dato non credibile degli scarsissimi ricavi contabilizzati.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui deduce una ‘acquiescenza processuale ‘ , asseritamente verificatasi in primo grado tra le parti allora costituite, su uno dei metodi di calcolo del danno contenuto nella c.t.u., giacché, in violazione dei canoni di specificità del motivo di ricorso per cassazione, di cui al combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6) cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), non indica a questa Corte (trascrivendoli nel motivo o dandone specifica evidenza nei documenti allegati al ricorso) da quali elementi sia possibile evincere il presunto accordo sul metodo di
calcolo del danno. La mera allegazione degli atti del processo al ricorso per cassazione non è infatti idonea a soddisfare il requisito di necessaria specificità del motivo di ricorso, non potendo certo essere questa Corte di legittimità a scrutinare gli atti del processo alla ricerca della conferma dell’allegazione della parte ricorrente.
Sotto diverso e concorrente profilo va rilevato, con riferimento in realtà a tutto il complessivo ricorso nei suoi vari motivi, che il giudice di appello afferma, senza che tale rilievo sia minimamente censurato dal ricorrente, che quest’ultimo n on aveva fornito alcuna prova dell’ammontare del danno, d i cui era onerato, e che tuttavia, stante l’effettuata consulenza tecnica, da essa era possibile trarre elementi per una liquidazione equitativa del danno.
Nella specie, non vi è contestazione del ricorso all’equità da parte del ricorrente.
Tanto premesso, certo è che il giudice, peritus peritorum , è libero di scegliere quale tra le soluzioni tecniche proposte dal consulente tecnico sia più corretta al fine di pervenire a una liquidazione del danno equa, con il solo limite di non superare la quantificazione eventualmente indicata dall’attore in sede di formulazione della domanda giudiziale (da ultimo, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12159 del 07/05/2021).
Ne deriva, quindi, che la Corte territoriale, laddove ha scelto il criterio di calcolo basato sui ricavi indicati nelle scritture contabili della RAGIONE_SOCIALE del ricorrente, piuttosto che quello degli studi di settore, ha ritenuto che esso fosse più aderente all’equità giudiziale rispetto ai diversi parametri scelti dal primo giudice, senza incorrere in alcuna falsa applicazione dei canoni normativi indicati nell’epigrafe del motivo in esame.
Secondo motivo: «Art. 360, n. 5) c.p.c. Omesso esame di fatto decisivo», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver omesso di considerare quali fatti pacifici i costi e i ricavi determinati con il consenso delle parti in primo grado dal consulente tecnico di ufficio e per aver liquidato il danno senza tener conto che il dato contabile sui ricavi era assolutamente inattendibile e, soprattutto, che sulla suddetta inattendibilità si era già formata espressa acquiescenza di controparte.
Il motivo è inammissibile sia per difetto di specificità, in relazione alla presunta ‘acquiescenza’ di controparte al metodo di calcolo del c.t.u., per le medesime ragioni illustrate in relazione al primo motivo di ricorso, sia perché la valutazione sull’acquiescenza non costituisce un fatto naturalistico omesso (nel paradigma del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), ma è all’evidenza un giudizio che, come tale, non è deducibile nell’ambito della censura sul vizio motivazionale.
Terzo motivo: «Art. 360, n. 4) c.p.c. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e/o dell’art. 132 c.p.c. », deducendo l’apparenza della motivazione per avere il giudice di appello omesso di fare alcun riferimento al processo e ai fatti di causa allorquando ha determinato il danno in via equitativa prendendo a base di calcolo i ricavi realizzati dalla ricorrente nel periodo in considerazione.
Il motivo è infondato atteso che la sentenza impugnata, ben lungi che fornire una motivazione apparente, dà espressamente atto (a pag. 5) delle ragioni del proprio convincimento, con specifico riferimento al parametro da prendere in considerazione ai fini della liquidazione equitativa del danno, con ciò assolvendo all’obbligo motivazionale con esiti ben al di sopra del minimo costituzionale e del tutto comprensibili.
Quarto motivo: «Art. 360, n. 3) c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 1226 c.c. », deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per avere il giudice di appello usato in maniera scorretta i propri poteri discrezionali in fase di liquidazione del danno secondo equità nel momento in cui si è discostato dai dati contabili oggetto di specifica analisi da parte del consulente tecnico.
Il motivo è infondato per quanto già detto a confutazione dei precedenti motivi di ricorso, dovendo ribadirsi la legittimità del ricorso da parte del giudice, in sede di liquidazione equitativa del danno, a uno dei possibili concorrenti metodi di calcolo, con il solo onere della logicità del parametro prescelto e della relativa spiegazione delle ragioni della scelta in motivazione: entrambi elementi, come già detto, presenti nella fattispecie.
Quinto motivo: «Art. 360, n. 4) c.p.c. Nullità della pronuncia di condanna ex art. 91 c.p.c. anche in relazione all’art. 132, comma II n. 4», deducendo la nullità della sentenza impugnata per avere erroneamente compensato nella misura del 50% le spese di lite allorquando, quantomeno in relazione alla fase cautelare, il ricorrente era da considerarsi totalmente vittorioso.
Sesto motivo: «Art. 360, n. 5) c.p.c. Omesso esame di fatto decisivo ai fini della condanna alle spese», deducendo l’errore della Corte di appello consistente nell’avere completamente ignorato l’esito della fase cautelare del giudizio e la totale soccombenza di controparte in ordine alla domanda di inibitoria ai fini della regolazione delle spese di lite.
I due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili perché, pur formalmente lamentando la violazione della disciplina normativa
applicabile, in effetti criticano la decisione del giudice di compensare le spese con censure di puro merito.
Il ricorso va, quindi, complessivamente respinto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite di fase, stante la mancanza di attività difensiva dell’intimata.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 gennaio