Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26500 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26500 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28888/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME
COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 541/2022 depositata il 09/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.I coniugi NOME e NOME COGNOME hanno una macelleria nel comune di Neviano, in provincia di Lecce.
In relazione alla loro attività hanno avvisato il vigile urbano NOME COGNOME della circostanza che un altro venditore di carne a dettaglio teneva il locale aperto nei giorni di chiusura.
Poiché il vigile urbano era inerte, il COGNOME lo avrebbe minacciato e l’COGNOME lo ha segnalato con una missiva al RAGIONE_SOCIALE.
1.2- NOME COGNOME ha visto in queste condotte gli estremi di reato nei suoi confronti ed ha sporto denuncia querela nei confronti dei due, che sono stati quindi tratti a giudizio, l’uno, per minacce e, l’altra, per calunnia.
Entrambi sono stati assolti sia in primo che in secondo grado, ma hanno ritenuto di essere stati ingiustamente calunniati dal NOME, ed hanno pertanto convenuto quest’ultimo in giudizio davanti al tribunale di Lecce per ottenere il risarcimento del danno da reato.
1.3.- Il tribunale ha rigettato la domanda con l’argomento che non era stata fornita alcuna prova né dell’elemento oggettivo né di quello soggettivo del reato.
E questa decisione è stata integralmente confermata dalla corte di appello di Lecce.
1.4.- Ricorrono per cassazione i due coniugi con due motivi di censura. L’intimato non si è costituito.
Ragioni della decisione.
2.- Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti prospettano una violazione dell’articolo 2043 del codice civile.
Il motivo contiene una lunga e ripetitiva digressione della regola sull’onere della prova nel caso di illecito da reato di calunnia, onde ricordare che spetta al danneggiato la dimostrazione dei presupposti soggettivi ed oggettivi del reato, per poi passare alla tesi che, essendo la calunnia un reato di pericolo, la dimostrazione di quegli elementi è insita nella denuncia stessa, e che dunque, ai fini della configurazione del reato, è necessario che il calunniato venga condannato per il reato che gli viene attribuito.
Inoltre, si prospetta che la condotta di calunnia può ben integrare altresì una diffamazione, qualora ne abbia gli estremi, e la diffamazione è illecito civile anche nella forma colposa.
2.1.- Il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 368 CP.
Esso costituisce uno svolgimento del primo.
Si ribadisce che la corte ha errato nel non ravvisare gli estremi della calunnia nella denuncia fatta dal vigile urbano, e che poi ha portato al processo nel quale i due ricorrenti sono stati assolti, e ciò in quanto, costituendo la calunnia un reato di pericolo, l’elemento oggettivo e quello soggettivo sono insiti nel processo stesso subito dagli incolpati.
I ricorrenti precisano inoltre che il reato di calunnia è stato consumato ai danni di appartenenti ad una piccola e precisa comunità, in quanto tali agevolmente identificabili e che quindi deve perciò stesso ritenersi sussistente il dolo.
I motivi sono inammissibili.
Lo sono a prescindere dal modo in cui sono esposti, e cioè a prescindere dal fatto che gli stessi ricorrenti ammettono che l’illecito civile, consistente nella calunnia verso terzi, presuppone che il danneggiato dimostri non solo l’elemento oggettivo ma anche quello soggettivo del dolo, ossia della consapevolezza da parte del querelante della innocenza degli incolpati.
Il che avrebbe dovuto spingere i ricorrenti a dare dimostrazione dell’assolvimento di tale onere della prova da parte loro.
Si consideri che la ratio della decisione impugnata è esattamente nel senso che alcuna prova i ricorrenti hanno fornito, non solo dell’elemento oggettivo della calunnia, non essendo mai stati depositati gli atti con cui essi sono stati incolpati, ma altresì dell’elemento soggettivo e dunque della consapevolezza da parte del vigile urbano della innocenza delle persone che stava andando a querelare.
A fronte di tale ratio , che fa corretta applicazione dei principi di questa corte in tema di danno da calunnia, e precisamente del principio per cui l’elemento soggettivo va valutato ex ante al momento in cui la querela è sporta, e non già ex post dopo l’assoluzione, e inoltre del principio per il quale l’assunzione degli incolpati di per sé non dimostra responsabilità per calunnia del querelante; a fronte di tale ratio , ossia del fatto che alcuna prova è stata fornita di tale elemento soggettivo, i ricorrenti non adducono alcun argomento a dimostrazione del contrario, cioè a dimostrazione del fatto che, invece, la prova è stata fornita.
Ciò senza tacere della circostanza che la decisione impugnata contiene una ratio ulteriore a fondamento del rigetto della domanda: quella secondo cui, qualora il reato che viene attribuito ad un soggetto è perseguibile d’ufficio, la condotta del pubblico ministero si sovrappone all’iniziativa del querelante, interrompendo il nesso causale (in ciò citando Cass. 30988/ 2018).
Questa ratio non è stata affatto censurata.
Ne può prendersi in esame l’eventualità che la condotta del vigile, oltre che integrare il reato di calunnia, o comunque a prescindere da tale reato, possa aver comportato una diffamazione: con la conseguenza che costui se non del danno da calunnia deve rispondere del danno della lesione della reputazione.
Non può una tale ipotesi prendersi in considerazione poiché non risulta prospettata nei precedenti gradi di giudizio ma formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione.
Resta evidente che del tutto irrilevante è la circostanza che i due incolpati facciano parte di una piccola comunità e che siano dunque facilmente individuabili- circostanza questa comunque verificatasi a
prescindere dalle dimensioni della comunità: irrilevante è tale circostanza poiché resta sempre la necessità di dimostrare gli elementi costitutivi dell’illecito di calunnia, che ciò che andava comunque a carico dei ricorrenti.
Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 01/07/2024.