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Danno da calunnia: onere della prova del danneggiato

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in una causa civile per il risarcimento del danno da calunnia, l’onere della prova grava interamente sul danneggiato. Non è sufficiente l’assoluzione in sede penale; occorre dimostrare che il querelante, al momento della denuncia, fosse consapevole dell’innocenza dell’accusato. Il caso riguardava due commercianti che, dopo essere stati assolti dall’accusa di minacce e calunnia mossa da un vigile urbano, avevano chiesto a quest’ultimo i danni. La loro domanda è stata respinta per mancata prova dell’elemento soggettivo del reato.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da calunnia: a chi spetta l’onere della prova?

Essere accusati ingiustamente di un reato è un’esperienza devastante. Quando si viene assolti, la prima reazione è cercare giustizia contro chi ha mosso l’accusa. Ma ottenere un risarcimento per il danno da calunnia non è così automatico come si potrebbe pensare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’onere di dimostrare la malafede dell’accusatore spetta interamente a chi si ritiene danneggiato. Vediamo nel dettaglio questa importante decisione.

I fatti di causa

La vicenda nasce in un piccolo comune della provincia di Lecce. I titolari di una macelleria segnalano al vigile urbano locale che un concorrente non rispetta i giorni di chiusura. A seguito di una presunta inerzia del vigile, sorgono tensioni: uno dei coniugi lo avrebbe minacciato, mentre l’altra avrebbe inviato una lettera di lamentela al Comune.

Il vigile urbano reagisce sporgendo denuncia-querela per minacce e calunnia nei confronti dei due commercianti. Il procedimento penale che ne consegue si conclude, sia in primo che in secondo grado, con la piena assoluzione dei coniugi.

Ritenendosi vittime di una ingiusta accusa, i due macellai decidono di agire in sede civile contro il vigile, chiedendo il risarcimento del danno da calunnia. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano la loro richiesta. Il motivo? I commercianti non avevano fornito alcuna prova né dell’elemento oggettivo né, soprattutto, di quello soggettivo del reato di calunnia, ovvero la consapevolezza del vigile circa la loro innocenza al momento della denuncia. Contro questa decisione, i coniugi ricorrono in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione sul danno da calunnia

La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini chiariscono che, per ottenere il risarcimento del danno da calunnia, non basta essere stati assolti nel processo penale. È il presunto danneggiato che deve farsi carico di un onere probatorio molto specifico e rigoroso.

In sostanza, chi agisce in giudizio deve dimostrare non solo di non aver commesso il fatto per cui era stato accusato, ma anche che il suo accusatore era pienamente consapevole della sua innocenza fin dall’inizio. Si tratta di provare il dolo specifico del calunniatore.

Le motivazioni

La Corte fonda la sua decisione su principi consolidati in materia di illecito civile e onere della prova. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:

1. Onere della Prova a Carico del Danneggiato: In base all’articolo 2043 del codice civile, chi chiede il risarcimento di un danno ingiusto deve provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito: la condotta, il danno, il nesso causale e l’elemento soggettivo (dolo o colpa). Nel caso del danno da calunnia, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo, cioè la certezza dell’innocenza altrui. I ricorrenti, secondo la Corte, non hanno fornito alcuna prova in tal senso, limitandosi a far valere la loro assoluzione penale, che di per sé non dimostra la malafede della controparte.

2. Valutazione del Dolo ‘Ex Ante’: La consapevolezza dell’innocenza dell’accusato (il dolo della calunnia) deve essere valutata con riferimento al momento in cui la denuncia è stata presentata (ex ante), e non sulla base dell’esito del processo penale (ex post). L’assoluzione può derivare da molteplici fattori, inclusa la mancanza di prove, e non implica automaticamente che l’accusatore fosse in malafede.

3. Mancata Censura della ‘Ratio Decidendi’ Ulteriore: La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda anche sulla base di un’altra argomentazione: quando il reato denunciato è procedibile d’ufficio, l’azione del pubblico ministero si interpone tra la denuncia del privato e il rinvio a giudizio, interrompendo il nesso causale. I ricorrenti non hanno contestato specificamente questo punto nel loro ricorso, rendendolo ulteriormente inammissibile.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: l’assoluzione da un’accusa non apre automaticamente la strada al risarcimento del danno da calunnia. La via per ottenere giustizia in sede civile è complessa e richiede una prova rigorosa della malafede originaria di chi ha sporto denuncia. Chi si ritiene vittima di una denuncia calunniosa deve essere pronto a dimostrare, con elementi concreti, che il suo accusatore non solo ha dichiarato il falso, ma lo ha fatto con la piena e cosciente volontà di incolpare un innocente. Senza questa prova, la domanda di risarcimento è destinata a fallire.

Chi deve provare il danno da calunnia in un processo civile?
Spetta interamente alla persona che si ritiene danneggiata (il calunniato) fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, inclusa la malafede di chi ha sporto la denuncia.

L’assoluzione in un processo penale è sufficiente per ottenere il risarcimento per calunnia?
No, la sola assoluzione in sede penale non è sufficiente. Essa non dimostra automaticamente che il querelante fosse consapevole dell’innocenza dell’accusato al momento della denuncia.

Cosa deve dimostrare chi chiede il risarcimento per danno da calunnia?
Deve dimostrare sia l’elemento oggettivo (la falsità dell’accusa), sia l’elemento soggettivo, ossia il dolo del querelante. Questo significa provare che quest’ultimo, nel momento in cui ha sporto la querela, era consapevole che la persona accusata fosse innocente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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