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Danno da assegno falso: onere della prova sul correntista

Una società chiedeva alla propria banca la restituzione di somme addebitate per l’emissione di assegni circolari con firme false. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che grava sul correntista l’onere della prova non solo della falsità della firma, ma anche del pregiudizio patrimoniale effettivo, dimostrando l’inesistenza di un debito verso il beneficiario degli assegni. In assenza di tale prova, la richiesta di risarcimento non può essere accolta.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da assegno falso: onere della prova sul correntista

Quando la tua banca esegue un’operazione sulla base di una firma falsa, potresti pensare che il rimborso sia automatico. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la realtà è più complessa. La questione centrale riguarda l’onere della prova: non basta dimostrare la falsità della firma, ma è necessario provare di aver subito un danno concreto. Vediamo insieme cosa significa per i correntisti.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Restituzione

Una società immobiliare in liquidazione citava in giudizio il proprio istituto di credito, chiedendo la restituzione di 450.000 euro. Tale somma era stata addebitata sul suo conto corrente per l’emissione di alcuni assegni circolari a favore di una terza società. La società attrice sosteneva che le firme apposte sui moduli di richiesta per l’emissione degli assegni fossero false e non riconducibili al proprio legale rappresentante. Una consulenza tecnica grafologica disposta nel corso del giudizio di primo grado confermava l’apocrifia delle firme.

Nonostante ciò, sia il Tribunale che, in seguito, la Corte d’Appello respingevano la domanda principale di restituzione. La Corte d’Appello, in particolare, motivava la sua decisione sottolineando che la società non aveva fornito alcuna prova del danno effettivo subito. Secondo i giudici di merito, se la società attrice avesse avuto un debito preesistente verso la società beneficiaria degli assegni, il pagamento, seppur avvenuto con modalità non autorizzate, avrebbe estinto tale debito, annullando di fatto qualsiasi pregiudizio patrimoniale.

La Questione dell’Onere della Prova nel Danno Bancario

La vicenda è approdata in Corte di Cassazione, dove il dibattito si è concentrato su un punto cruciale del diritto civile e bancario: l’onere della prova. La società ricorrente sosteneva che il danno fosse implicito nella diminuzione patrimoniale causata dall’addebito non autorizzato. A suo avviso, sarebbe spettato alla banca dimostrare l’esistenza di circostanze che eliminassero o riducessero tale danno, come la presenza di un debito che il pagamento aveva estinto. In pratica, la società riteneva che, una volta provata la falsità della firma, l’obbligo di restituzione da parte della banca dovesse essere automatico.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. La ratio decidendi della Suprema Corte è chiara: la mera emissione di assegni circolari, anche se basata su un errore o su una richiesta con firma falsa, non è di per sé sufficiente a integrare un pregiudizio patrimoniale risarcibile.

Secondo gli Ermellini, la domanda di restituzione del correntista era carente sin dall’origine. La società, infatti, non aveva mai allegato né provato i suoi rapporti con la società beneficiaria degli assegni, e in particolare non aveva dimostrato l’inesistenza di un debito nei suoi confronti. Tale allegazione e prova costituiscono un presupposto necessario della domanda risarcitoria. In altre parole, per ottenere la restituzione, il correntista deve dimostrare non solo che l’operazione non era autorizzata, ma anche che quel pagamento ha causato un’effettiva perdita patrimoniale, cosa che non avviene se il denaro è servito a saldare un debito legittimo. L’onere della prova di tale pregiudizio effettivo ricade interamente sul correntista che agisce in giudizio.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Correntisti

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce un principio rigoroso per le azioni di responsabilità contro gli istituti di credito in caso di operazioni non autorizzate. Non è sufficiente gridare alla ‘firma falsa’ per vedersi restituire le somme. Il correntista che intende agire legalmente deve essere preparato a costruire una difesa completa, che includa la prova positiva del danno subito. Ciò significa dover dimostrare che il pagamento effettuato dalla banca era ‘indebito’ non solo nella forma (l’autorizzazione falsa), ma anche nella sostanza (l’assenza di un debito sottostante). Per i correntisti, questo si traduce nella necessità di documentare e allegare fin da subito tutti gli elementi relativi ai rapporti con il beneficiario del pagamento, per dimostrare che l’uscita di denaro dal conto ha rappresentato una perdita secca e non la semplice estinzione di un’obbligazione preesistente.

È sufficiente dimostrare che la firma su un ordine di pagamento è falsa per ottenere il rimborso dalla banca?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. Oltre a provare la falsità della firma, il correntista deve anche dimostrare di aver subito un effettivo pregiudizio patrimoniale, provando che il pagamento non era dovuto.

Su chi ricade l’onere della prova del danno effettivo in un’azione contro la banca per un pagamento non autorizzato?
L’onere della prova del danno effettivo ricade interamente sul correntista. È lui che, agendo in giudizio, deve allegare e dimostrare che l’addebito non autorizzato ha causato una perdita patrimoniale reale, ad esempio provando l’inesistenza di un debito verso il beneficiario.

Cosa avrebbe dovuto fare il correntista per avere successo nella sua domanda di restituzione?
Il correntista avrebbe dovuto, fin dall’inizio della causa, non solo provare la falsità delle firme, ma anche allegare e dimostrare i profili relativi al suo rapporto con il beneficiario degli assegni, specificando l’inesistenza di un debito che potesse giustificare quel pagamento. In assenza di questa prova, la domanda di restituzione è stata considerata infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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