Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1827 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1827 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33571/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1145/2019 depositata il 18/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di appello, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano impugnazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Nocera Inferiore, in accoglimento delle domande proposte da COGNOME NOME e COGNOME NOME, ordinava ai coniugi COGNOME di provvedere a) alla estirpazione degli esemplari di quercus ilex di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 della pagina 16 della relazione del consulente tecnico di ufficio, b) alla riduzione fino all’altezza massima del fabbricato pari a 8,50 mq. delle piante indicate dal consulente tecnico di ufficio alla pagina 17 ed individuate con i nn. 6,13 e 14, c) alla recisione dei rami protesi verso la proprietà COGNOME. Il Tribunale di Nocera Inferiore, inoltre, condannava NOME e COGNOME NOME, in solido tra loro, al pagamento in favore di parte attrice della somma di euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno oltre interessi dalla domanda e sino al soddisfo, rigettava la domanda riconvenzionale dei convenuti per intervenuta prescrizione, con condanna di questi ultimi al pagamento delle spese di lite e delle spese di consulenza tecnica di ufficio.
Per quel che ancora rileva la Corte d’Appello riformava la sentenza con riferimento all’ordine di estirpazione degli alberi di cui ai nn. 1 e 2 impiantati rispettivamente 28 e 26 anni prima e alla recisione in altezza degli stessi. Quanto a tale ultimo aspetto, la Corte d’Appello evidenziava che con la domanda era dedotta la
violazione degli artt. 833, 873 e 890 c.c. e la stessa non poteva rientrare nell’ambito dell’art. 892 c.c. e nemmeno poteva ritenersi configurata l’ipotesi degli atti emulativi di cui all’art. 833 c.c. essendo rimasto del tutto sfornito di prova che i proprietari del fondo vicino avessero mantenuto gli alberi in questione ad una altezza notevole al solo scopo di nuocere o recare molestia ai COGNOME, circostanza peraltro nemmeno allegata dagli attori in primo grado.
La Corte d’Appello , invece, rigettava il motivo relativo alla condanna al risarcimento del danno, derivando questo dalla diminuzione dell’illuminazione che l’altezza considerevole degli alberi (il filare di querce ed i pini) ed il numero di essi (per i quali vigeva l’obbligo di COGNOME COGNOME, proprietari del fondo sin dal 1981, di manutenzione e custodia indipendentemente dal fatto se i pini fossero stati piantati o meno dal precedente proprietario del fondo), divenuti nel tempo un’unica massa quasi impenetrabile, aveva cagionato alla proprietà dei COGNOME.
Tali circostanze descritte dal consulente tecnico di ufficio, agronomo NOME COGNOME così come riscontrate dai testimoni introdotti in primo grado, sostanzialmente conformi sul punto, consentivano di ritenere dimostrato un concreto pregiudizio economico per gli immobili dei COGNOME che, per la diminuzione di luce e soleggiamento, avevano riportato un danno indennizzabile economicamente.
COGNOME NOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di ricorso.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 872, 2043, 2056 cod. civ.
A parere dei ricorrenti nella specie la conferma della condanna al risarcimento del danno sarebbe erronea mancando la condotta illecita.
La sentenza della Corte d’Appello, ha accolto l’appello escludendo la condanna a ridurre in altezza gli alberi, ma ha mantenuto fermo il capo della decisione appellata relativo alla condanna al risarcimento del danno per equivalente (anche con riguardo alla misura di detto risarcimento, sull’assunto che non vi fosse appello sul quantum debeatur ).
In tal modo, la sentenza di appello non avrebbe dato adeguata risposta al motivo di appello relativo al danno con il quale sono state sollevate questioni riguardanti: l’ effettiva esistenza di un danno patrimonialmente apprezzabile; i l carattere ‘ingiusto’ di tale danno; l’esistenza di un adeguato criterio di imputazione di una responsabilità aquiliana.
Il C.T.U. aveva escluso la sussistenza di alcuna apprezzabile diminuzione di valore dell’immobile di proprietà COGNOME mentre la Corte d’Appello avrebbe elevato al rango di danno risarcibile semplici inconvenienti più o meno tollerabili, che incidono sul valore dell’immobile alla stessa stregua di qualsiasi fattore attinente alla posizione dell’edificio o alla sua esposizione agli elementi naturali circostanti.
Pertanto, essendo caduta la premessa relativa alla violazione delle distanze del filare di pini dovrebbe cadere anche il conseguente risarcimento.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato le ragioni del rigetto del motivo di appello riguardante il risarcimento del danno.
Infatti, il giudice del gravame ha accolto solo il motivo di appello riguardante due alberi che erano posti a distanza regolare e l’ordine di recidere in altezza gli alberi. La condanna risarcitoria, invece, aveva ad oggetto la complessiva situazione di fatto anche in relazione alla violazione delle distanze oltre che alla scarsa manutenzione degli alberi che avevano invaso il fondo vicino.
Infatti, la domanda originaria accolta dal giudice di primo grado e in gran parte confermata anche dal giudice dell’appello ha
riguardato la estirpazione degli esemplari di quercus ilex n. 3 e 4 della pagina 16 della relazione del consulente tecnico di ufficio, e la recisione dei rami protesi verso la proprietà COGNOME. In relazione a tali violazioni la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente il danno derivante dalla diminuzione dell’illuminazione che l’altezza considerevole degli alberi (il filare di querce ed i pini) ed il numero di essi (per i quali vigeva l’obbligo di COGNOME, proprietari del fondo sin dal 1981, di manutenzione e custodia indipendentemente dal fatto se i pini fossero stati piantati o meno dal precedente proprietario del fondo), divenuti nel tempo un’unica massa quasi impenetrabile, aveva cagionato alla proprietà dei COGNOME. Tali circostanze consentivano di ritenere dimostrato un concreto pregiudizio economico per gli immobili dei COGNOME che, per la diminuzione di luce e soleggiamento, avevano riportato un danno indennizzabile economicamente.
Anche la censura di violazione degli art. 872, 2043, 2056 cod. civ. è inammissibile perché parte ricorrente sostiene che da parte sua non vi sia stata alcuna violazione, circostanza non corrispondente a quanto emerge dalla sentenza sopra riportata.
Per la restante parte, invece, la censura tende ad un’inammissibile rivalutazione in fatto delle risultanze istruttorie compresa la CTU, per affermare l’inesistenza del danno che prima il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello hanno accertato. L’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo è rimesso all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali i ricorrenti contrappongono le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Il primo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 892 c.c. per contrasto con la giurisprudenza di legittimità.
Rientrerebbe nell’ambito di applicazione degli articoli 892 e ss. c. c. anche la domanda di recisione in altezza degli alberi. La norma si applicherebbe anche e soprattutto in caso di piante poste a distanza legale dal confine, infatti, negli altri casi il rimedio è quello dell’estirpazione.
2.1 Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
I ricorrenti incidentali richiamano erroneamente un precedente di questa Corte attribuendogli un significato diverso da quello ivi affermato ovvero che l’art. 892 c.c. si applichi anche in relazione all’altezza delle piante poste a regolare distanza dal confine. In particolare la sentenza n. 3232 del 2015 laddove si dice che l’ art. 892 c.c., nulla prescrive in ordine alle siepi formate con alberi di alto e medio fusto e che pertanto, in quest’ultima ipotesi l’altezza degli alberi di alto e medio fusto che formano una siepe può essere stabilita dal Giudice tenuto conto della situazione dei luoghi , si riferisce al criterio da adottare per stabilire a quale distanza dal confine gli alberi devono stare, ovvero se devono considerarsi come di alto fusto da porsi a tre metro o come siepi ma non afferma che gli alberi di alto fusto posti a distanza legale devono essere recisi in altezza..
Nel caso in esame, infatti, gli alberi oggetto della domanda dei ricorrenti incidentali sono stati considerati di alto fusto e quindi la distanza dal confine è stata calcolata nella misura massima di cui all’art. 892, primo comma, c.c. . La tutela accordata al vicino può
consistere in un diritto di veduta, consistente nella fruizione di un piacevole panorama che si pretende leso dalla chioma di un albero piantato a distanza legale ma ciò integra una servitus altius non tollendi , la quale può essere acquistata, oltre che negozialmente, anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di operi visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta (Sez. 2, Sentenza n. 2973 del 27/02/2012, Rv. 621862 – 01).
Il secondo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo per la controversia ex art. 360 co. 1, n. 5, c.p.c. -omesso esame delle risultanze della CTU.
Secondo la Corte d’appello nel caso di specie non era applicabile l’articolo 833 c.c. mancando la prova che il solo scopo della decisione di mantenere gli alberi fosse quello di nuocere o recare molestie, circostanza addirittura nemmeno allegata.
I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare l’atto di citazione nel quale avevano allegato la violazione dell’articolo 833 c.c. e la consulenza tecnica dalla quale emergeva l’assenza di qualsiasi utilità per i coniugi COGNOME e di conseguenza la prova dello scopo emulativo.
3.1 Il secondo motivo del ricorso incidentale è in parte infondato in parte inammissibile.
In primo luogo, sulla insussistenza della violazione dell’art. 833 c.c. la sentenza impugnata è conforme a quella di primo grado il che rende inammissibile la censura di omesso esame di un fatto
decisivo. In secondo luogo, nel caso in esame non ricorre alcun omesso esame della CTU, infatti, secondo quanto riporta lo stesso ricorrente, dalla stessa emerge solo una valutazione dell’ausiliario di mancanza di utilità degli alberi il che certamente non è sufficiente per poter affermare che siano stati piantati a scopo emulativo. Infatti, l’utilità di piantare alberi non deve essere necessariamente da ricercare in una utilità concreta del proprietario, potendo gli stessi soddisfare altri interessi attinenti la sua sfera soggettiva. In ogni caso, l’atto emulativo vietato ex art. 833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario. Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell’art. 833 cod. civ. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri (Sez. 2, Sentenza n. 5421 del 11/04/2001, Rv. 545845 – 01). Sicché non è riconducibile a tale categoria un atto quale quello di avere sul proprio fondo alberi di alto fusto comunque rispondente ad un generico interesse del proprietario, essendo in tal caso precluso al giudice di compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi. Invero, ponendosi il carattere emulativo come limite esterno al diritto di proprietà esercitabile dal confinante, lo stesso deve essere valutato in termini restrittivi (Sez. 2, Sentenza n. 3598 del 07/03/2012, Rv. 621425 – 01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate stante la reciproca soccombenza.
Ric. 2019 n. 33571 sez. S2 – ad. 18/12/2024
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali e di quelli incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa le spese tra le parti;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali e di quelli incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione