Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15814 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22885/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, SEBASTIANO CARUSO;
– controricorrente-
avverso la sentenza n. 5979/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/02/2018 R.G.N. 4221/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza pubblicata in data 22/02/2018 la Corte d’appello di Roma respingeva l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato la sua domanda intesa ad ottenere la conversione dei rapporti di lavoro a termine stipulati con l’RAGIONE_SOCIALE dal 24.5.1986, l’indennità ex art. 32 l. n. 183/2010 e in subordine il risarcimento del danno ex art. 36 d.lgs. n. 165/2001.
La Corte territoriale, evidenziato che non aveva formato oggetto di impugnazione il capo della sentenza di prime cure con cui era stata respinta la domanda di conversione, per quanto ancora rileva, escludeva la possibilità di riconoscere il risarcimento del danno comunitario, avvalendosi delle presunzioni di cui a Cass., Sez. Un., n. 5072/2016, trattandosi di rapporti anteriori alla entrata in vigore della direttiva 1999/70/CE.
Rilevava che nessuna allegazione e prova fosse stata fornita dall’appellante di tale danno.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la COGNOME affidato a tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che :
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, cod. proc civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 5, della legge n. 183/2010 e dell’art. 11 delle preleggi, in relazione alla direttiva comunitaria 1999/70 e all’allegato accordo quadro, clausola 5, punto 1, violazione del principio di interpretazione comunitaria e degli artt. 1, 11, 12 delle preleggi.
Censura la sentenza impugnata per avere la Corte d’appello erroneamente applicato la disciplina nazionale e comunitaria sui contratti a termine e per aver ritenuto che l’interpretazione del giudice di legittimità sulla prova del danno comunitario valga solo per i rapporti sorti dopo l’entrata in vigore della richiamata direttiva.
Il motivo è infondato.
Già nella sentenza Cass., Sez. Un., n. 5072/2016 è stato affermato che solo l’ efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al
lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno.
Prima dell’entrata in vigore di tale clausola non può ragionarsi in termini di agevolazione probatoria.
Quest’ultima, infatti, è stata riconosciuta proprio e solo nei casi in cui viene in rilievo la necessità di adeguare l’ordinamento interno al diritto dell’Unione e, quindi, qualora sia applicabile alla fattispecie dedotta in causa la clausola 5 dell’Accordo quadro, che non può essere invocata per i contratti a tempo determinato conclusi prima del termine concesso agli Stati membri per l’attuazione della direttiva ( cfr. in motivazione, seppure ad altri fini, Cass. n. 22522/2016 punto 66 e, poi, fra le tante Cass. n. 3621/2018 su un unico contratto – ma il ragionamento è il medesimo -).
Proprio perché siamo di fronte ad una agevolazione probatoria e non ad una interpretazione dell’art. 36 orientata al rispetto del diritto dell’Unione non si può predicare l’applicazione dei principi affermati dall e Sez. Un. nella citata Cass. n. 5072/2016.
Diverso è il caso dell’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, riconosciuta anche nell’ipotesi in cui il rapporto a termine sia anteriore all’entrata in vigore della direttiva (v. Cass. n. 15231/2020) perché in quel caso, in assenza di espressa deroga, il diritto dell’Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., subordinatamente al primo motivo, la violazione, sotto altro profilo, dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 11 per omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni illustrate con riguardo al motivo che precede.
La Corte territoriale non ha omesso di pronunciare sulla domanda risarcitoria ma ha ritenuto non applicabile l’agevolazione probatoria ed ha evidenziato che nulla era stato dedotto e provato in punto di risarcimento del danno.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sempre in via subordinata, la violazione, sotto altro profilo, dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 1126 cod. civ. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che il danno era in re ipsa e doveva essere liquidato anche in via equitativa.
Anche tale motivo è infondato per le ragioni già evidenziate ai punti che precedono.
Solo dopo che sia stata fornita la prova del danno si può ottenere dal giudice la liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.
Nello specifico la Corte territoriale, esclusa l’agevolazione probatoria, ha evidenziato che non era stata offerta alcuna prova del danno.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’RAGIONE_SOCIALE delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 marzo 2024.