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Danno conseguenza: la Cassazione nega il risarcimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31794/2024, ha rigettato la richiesta di risarcimento di un dipendente per una sospensione disciplinare di durata illegittima. La Corte ha ribadito il principio del danno conseguenza, secondo cui non è sufficiente dimostrare l’illegittimità dell’atto amministrativo, ma è necessario allegare e provare le specifiche conseguenze negative subite. L’allegazione della sola durata della sospensione o l’irragionevolezza dell’azione della P.A. descrivono l’illecito, non il danno, che non può essere considerato ‘in re ipsa’ se non in casi eccezionali.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Danno conseguenza: perché l’atto illegittimo da solo non basta per il risarcimento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento in materia di risarcimento del danno: l’esistenza di un atto illegittimo, da sola, non è sufficiente a fondare il diritto al ristoro economico. È necessario dimostrare il cosiddetto danno conseguenza, ovvero le specifiche ripercussioni negative che quell’atto ha causato. La pronuncia in esame chiarisce la netta distinzione tra l’illecito e il danno, un aspetto cruciale per chiunque intenda agire in giudizio contro la Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso: Una Sospensione Illegittima

Il caso trae origine dalla vicenda di un dipendente pubblico che aveva subito un procedimento disciplinare culminato in una sospensione dal servizio. La durata di tale sospensione era stata successivamente riconosciuta come illegittima. Di conseguenza, il lavoratore aveva avviato un’azione legale per ottenere il risarcimento dei danni che, a suo dire, derivavano direttamente da questo periodo di sospensione ingiustamente prolungato. La sua tesi si basava sull’idea che il danno fosse insito nella durata stessa della sanzione illegittima.

La Decisione della Corte: La Necessità di Provare il Danno Conseguenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, confermando le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno sottolineato che il ricorrente non aveva fornito alcuna prova di un danno concreto. Sostenere che il danno ‘si concreta nella complessiva durata illegittima del periodo di sospensione’ equivale a descrivere l’illecito commesso dall’amministrazione, non a dimostrare il pregiudizio subito. L’ordinamento italiano, salvo rare eccezioni, non ammette la figura del danno in re ipsa (cioè implicito nell’atto stesso), ma si fonda sul principio del danno conseguenza.

Le Motivazioni: Il Principio del Danno Conseguenza

La Corte ha spiegato in modo dettagliato le ragioni della sua decisione. In primo luogo, ha chiarito che allegare l’illecito (l’atto illegittimo) e allegare il danno (le sue conseguenze negative) sono due attività distinte e necessarie. Il ricorrente si era limitato alla prima, descrivendo l’azione della P.A. come una ‘macroscopica deviazione dall’iter ordinario’ e ‘irragionevole’, ma senza specificare quali effetti o ricadute tangibili questa avesse avuto sulla sua sfera personale, professionale o patrimoniale.

In secondo luogo, la richiesta di una liquidazione del danno in via equitativa non può supplire alla mancata prova della sua esistenza. La valutazione equitativa riguarda la quantificazione di un danno la cui esistenza è già stata accertata, non può servire a dimostrarlo.

La Suprema Corte ha quindi riaffermato che il sistema della responsabilità civile è incentrato sul danno-conseguenza. Chi chiede un risarcimento ha l’onere di allegare e provare non solo il comportamento illecito della controparte, ma anche le specifiche conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate. La semplice violazione di una norma o l’illegittimità di un provvedimento non generano, in automatico, un diritto al risarcimento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito per chiunque si appresti ad intraprendere un’azione di risarcimento danni, specialmente nei confronti della Pubblica Amministrazione. Le implicazioni pratiche sono chiare:

1. Onere della prova rafforzato: Non basta lamentare un’ingiustizia o un’irregolarità. È indispensabile raccogliere e presentare prove concrete del pregiudizio subito. Questo può includere danni alla professionalità, alla reputazione, alla salute (se provato) o perdite economiche dirette.
2. Distinzione tra illecito e danno: È fondamentale che l’atto introduttivo del giudizio distingua nettamente tra la descrizione del comportamento illegittimo e l’elencazione puntuale delle sue conseguenze dannose.
3. Limite al danno in re ipsa: La decisione conferma che il ricorso alla categoria del danno in re ipsa è assolutamente eccezionale e non può essere utilizzato per eludere l’onere di provare il danno effettivo.

In sintesi, la giustizia non risarcisce l’illegittimità in sé, ma le sue conseguenze dannose e provate. Un principio che garantisce certezza e rigore nel sistema della responsabilità civile.

La semplice illegittimità di un atto della Pubblica Amministrazione è sufficiente per ottenere un risarcimento del danno?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’illegittimità dell’atto costituisce l’illecito, ma non prova automaticamente l’esistenza di un danno risarcibile. Il danneggiato deve allegare e dimostrare le specifiche conseguenze negative (danno-conseguenza) che ha subito a causa di quell’atto.

Che cos’è il ‘danno-conseguenza’?
È il pregiudizio effettivo che deriva da un comportamento illecito. A differenza del ‘danno in re ipsa’ (che è presunto nell’atto stesso), il danno-conseguenza deve essere provato da chi chiede il risarcimento, dimostrando quali effetti o ricadute negative ha subito sui propri diritti o sulla propria situazione.

Indicare la ‘durata illegittima di una sospensione’ è una prova del danno?
No. La Corte chiarisce che indicare la durata illegittima della sospensione descrive l’illecito, ovvero l’azione sbagliata della P.A., ma non costituisce di per sé la prova del danno. Il ricorrente avrebbe dovuto specificare quali pregiudizi concreti (ad esempio, professionali, reputazionali, ecc.) sono derivati da quella durata eccessiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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