LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Danno comunitario: tutela anche senza contratto scritto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4075/2024, ha stabilito un principio cruciale per i lavoratori precari del settore pubblico. Ha chiarito che la tutela contro l’abusiva reiterazione di contratti a termine, nota come risarcimento del danno comunitario, spetta al lavoratore anche qualora i contratti siano stati stipulati senza la forma scritta richiesta per legge, e quindi formalmente nulli. La Corte ha ritenuto che la nullità formale, imputabile alla pubblica amministrazione, non può vanificare la protezione sostanziale voluta dal diritto europeo contro l’abuso del lavoro precario.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno comunitario: La Cassazione tutela i precari anche senza contratto scritto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4075/2024) ha rafforzato la posizione dei lavoratori precari nel pubblico impiego, affermando che il diritto al risarcimento del danno comunitario per abuso di contratti a termine sussiste anche quando i contratti sono nulli per mancanza di forma scritta. Si tratta di una decisione di grande importanza, che privilegia la tutela sostanziale del lavoratore rispetto a vizi formali imputabili al datore di lavoro pubblico.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore impiegato da un’amministrazione regionale siciliana attraverso una serie di rapporti di lavoro a termine, reiterati nel tempo. Il lavoratore si era rivolto al giudice chiedendo la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato e il risarcimento dei danni per l’abusiva successione di contratti.

La Corte d’Appello, pur riconoscendo la natura a termine dei rapporti, aveva respinto la domanda del lavoratore. La motivazione dei giudici di secondo grado si basava su un presupposto formale: i contratti stipulati con la pubblica amministrazione devono avere, per legge, la forma scritta a pena di nullità (ad substantiam). Avendo rilevato l’assenza di un contratto scritto, la Corte d’Appello aveva dichiarato la nullità totale dei rapporti di lavoro. Secondo tale interpretazione, questa nullità radicale assorbiva ogni altra questione, inclusa quella sull’abuso dei termini, impedendo di conseguenza il riconoscimento del risarcimento del danno comunitario.

La questione del danno comunitario e la decisione della Cassazione

Il lavoratore ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo la violazione della normativa europea (Direttiva 1999/70/CE) che mira a prevenire e sanzionare l’abuso dei contratti a tempo determinato. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’affermazione di un principio fondamentale: la tutela contro l’abuso del lavoro precario, imposta dal diritto dell’Unione Europea, non può essere annullata da un vizio formale, come la mancanza del contratto scritto, che è peraltro responsabilità del datore di lavoro pubblico.

La Corte ha spiegato che le norme sulla forma scritta nei contratti a termine hanno proprio una funzione anti-abusiva, garantendo trasparenza e certezza. Permettere a una pubblica amministrazione di eludere le proprie responsabilità per l’abuso di precariato, sfruttando una propria stessa inadempienza (la mancata redazione di un contratto scritto), sarebbe contrario al principio di effettività della tutela giuridica voluto dal diritto europeo.

In sostanza, la reiterazione di rapporti di lavoro di fatto, anche se non formalizzati in un contratto scritto, costituisce essa stessa un comportamento che elude le norme di salvaguardia. Pertanto, la violazione delle regole sulla forma si aggiunge, e non sostituisce, l’illegittimità della reiterazione abusiva. Di conseguenza, il lavoratore ha pieno diritto alla tutela agevolata prevista per il danno comunitario, che consiste in un’indennità risarcitoria che non richiede la prova specifica del danno subito.

La Corte ha inoltre rigettato la seconda doglianza del lavoratore, relativa alla richiesta di un corrispettivo per la sua costante disponibilità a essere chiamato al lavoro. Su questo punto, i giudici hanno chiarito che la disponibilità è una modalità del rapporto di lavoro e non una prestazione aggiuntiva da retribuire separatamente, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione stabilisce che la tutela del lavoratore precario pubblico prevale sul formalismo. Il principio è chiaro: l’assenza di un contratto scritto non può diventare uno scudo per la pubblica amministrazione che reitera abusivamente rapporti di lavoro a termine. Il diritto al risarcimento del danno comunitario rimane intatto, garantendo così l’effettività delle sanzioni contro l’abuso del precariato in linea con i principi del diritto dell’Unione Europea. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione che dovrà attenersi a questo fondamentale principio di diritto.

Un lavoratore del settore pubblico ha diritto al risarcimento per l’abuso di contratti a termine se questi sono nulli per mancanza di forma scritta?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la tutela risarcitoria per l’abuso di contratti a termine (c.d. danno comunitario) spetta al lavoratore anche se i contratti sono nulli perché non redatti in forma scritta, come richiesto per i contratti della pubblica amministrazione.

Perché la mancanza di un contratto scritto non impedisce il risarcimento del danno comunitario?
Perché la tutela contro l’abuso del lavoro precario, richiesta dal diritto dell’Unione Europea, deve essere effettiva. Permettere alla pubblica amministrazione di evitare il risarcimento a causa di una propria mancanza (la mancata stipulazione di un contratto scritto) vanificherebbe lo scopo della normativa e sarebbe contrario a ogni logica di tutela del lavoratore.

Al lavoratore a chiamata spetta un’indennità per la semplice disponibilità a prestare servizio?
No. Secondo la sentenza, il fatto di dover essere disponibile a essere chiamato al lavoro rappresenta una modalità con cui si svolge il rapporto e non una prestazione lavorativa aggiuntiva che debba essere retribuita separatamente, a meno che non sia previsto da un contratto collettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati