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Danno comunitario: risarcimento anche senza conversione

Un lavoratore i cui contratti a termine con enti pubblici erano stati ritenuti illegittimi si è visto negare la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato a causa di una legge regionale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stabilito che il divieto di conversione non esclude il diritto del lavoratore a ottenere un risarcimento del danno. La Corte ha chiarito che il cosiddetto “danno comunitario”, derivante dall’abuso di contratti a termine, rappresenta una forma di tutela essenziale prevista dal diritto dell’Unione Europea che il giudice deve riconoscere anche quando la stabilizzazione non è percorribile. Di conseguenza, il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per la quantificazione del risarcimento.

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Danno Comunitario: Sì al Risarcimento Anche Senza Conversione del Contratto

Un lavoratore del settore pubblico impiegato per anni con una successione di contratti a termine illegittimi ha diritto a un risarcimento anche se una legge specifica vieta la conversione del suo rapporto in uno a tempo indeterminato? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con una recente ordinanza, riaffermando il principio della tutela del lavoratore attraverso il danno comunitario, una forma di ristoro fondamentale derivante dal diritto dell’Unione Europea.

Il Contesto: Contratti a Termine e Divieto di Conversione

Il caso ha origine dalla vicenda di un lavoratore che aveva prestato servizio per diversi anni presso due consorzi di bonifica sulla base di contratti a tempo determinato. Il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto l’illegittimità di tali contratti, disponendo la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato e condannando i datori di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato completamente la decisione. I giudici di secondo grado avevano sostenuto che una specifica normativa regionale impediva nuove assunzioni a tempo indeterminato presso tali enti, rendendo di fatto impossibile la conversione del rapporto. Di conseguenza, avevano rigettato non solo la richiesta di stabilizzazione ma anche quella di risarcimento, ritenendola strettamente collegata alla prima e non formulata come autonoma domanda di danno comunitario.

La Decisione della Cassazione e il Diritto al Danno Comunitario

La Suprema Corte, investita della questione, ha tracciato una netta distinzione tra il diritto alla conversione del rapporto e il diritto al risarcimento.

Pur confermando che la normativa regionale speciale effettivamente impediva la trasformazione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato, i giudici hanno chiarito che ciò non annulla la tutela del lavoratore. L’abuso nella reiterazione dei contratti a termine costituisce una violazione della direttiva europea 1999/70/CE, che impone agli Stati membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.

Il Danno Comunitario come Tutela Inderogabile

Il punto cruciale della pronuncia risiede nell’affermazione che il danno comunitario rappresenta una forma di tutela per equivalente che deve essere riconosciuta quando la tutela in forma specifica (la conversione) è preclusa dalla legge.

La Corte ha specificato che la richiesta di risarcimento non costituisce una domanda nuova e inammissibile in appello, ma è da considerarsi un minus (una pretesa minore) rispetto alla domanda di conversione. Se il lavoratore chiede il massimo (la stabilizzazione), e questa non può essere concessa, il giudice ha il dovere di esaminare se gli spetti il minimo (il risarcimento del danno). Ignorare questa tutela significherebbe lasciare il lavoratore privo di qualsiasi protezione di fronte a un comportamento illegittimo del datore di lavoro pubblico, vanificando gli obiettivi del diritto europeo.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha basato il suo ragionamento sul principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dal diritto dell’Unione Europea. Impedire la conversione senza prevedere una misura risarcitoria alternativa renderebbe la normativa europea inefficace. La Corte ha richiamato i suoi precedenti, in particolare la fondamentale sentenza a Sezioni Unite n. 5072/2016, che ha delineato i contorni del danno comunitario nel pubblico impiego privatizzato. Tale danno, presunto e con valenza sanzionatoria, deve essere liquidato dal giudice, il quale può fare riferimento a parametri come quelli previsti dall’art. 32 della legge n. 183/2010, salva la prova di un pregiudizio maggiore da parte del lavoratore. La Corte d’Appello ha quindi errato nel non verificare la compatibilità del rapporto di lavoro con l’Accordo quadro europeo e nel non considerare la domanda risarcitoria come una conseguenza diretta dell’accertata illegittimità dei contratti.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello, rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte per una nuova valutazione. Il giudice del rinvio dovrà attenersi al principio secondo cui, accertato l’abuso nella successione dei contratti a termine, deve essere riconosciuto al lavoratore il diritto al risarcimento del danno comunitario, anche in presenza di un divieto normativo alla conversione del rapporto. Questa decisione rafforza la posizione dei lavoratori precari nel settore pubblico, assicurando che la violazione delle norme a tutela della stabilità del lavoro non possa rimanere priva di conseguenze concrete per il datore di lavoro inadempiente.

Un lavoratore del settore pubblico con contratti a termine illegittimi ha sempre diritto alla conversione in un posto a tempo indeterminato?
No, non sempre. Come dimostra questo caso, leggi regionali specifiche possono vietare la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato per determinate categorie di enti pubblici, come i consorzi di bonifica in Sicilia.

Se la conversione del contratto è vietata, il lavoratore perde ogni diritto al risarcimento?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, anche quando la conversione è legalmente impossibile, il lavoratore ha comunque diritto a un risarcimento per l’abuso subito. Questo risarcimento è noto come “danno comunitario” e serve a sanzionare efficacemente la violazione delle norme europee.

La richiesta di risarcimento del danno deve essere presentata come una domanda separata fin dall’inizio del processo?
No. Secondo la Corte, la richiesta di risarcimento è considerata una forma di tutela minore (“per equivalente”) già inclusa implicitamente nella richiesta principale di conversione (“in forma specifica”). Pertanto, il giudice deve valutare il diritto al risarcimento anche se la conversione viene negata, senza che ciò costituisca una domanda nuova e inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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