Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31550 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31550 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21656-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
CONSORZIO DI RAGIONE_SOCIALE DI ENNA, CONSORZIO DI RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI
Oggetto
Lavoro precario altra
amministrazione
R.G.N. 21656/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 21/11/2024
CC
COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1171/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 21/11/2019 R.G.N. 747/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
il Tribunale di Caltagirone aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti intercorsi (dal 2002 e il 2009) tra il Sig. NOME COGNOME e il Consorzio di Bonifica n. 6 di Enna e poi n. 7 di Caltagirone, disponendo la conversione dei rapporti a tempo indeterminato dal 7/8/2002 con condanna dei Consorzi in solido al pagamento di un’indennità, ai sensi dell’art. 32 della leg ge n. 183 del 2010, pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione di fatto;
la Corte d’appello di Catania, in riforma di tale sentenza, rigettava in toto l’originaria domanda;
il giudice d’appello, nel negare il diritto alla conversione del rapporto stante il divieto generale sancito dalla normativa regionale (art. 32 legge reg. n. 45/1995) a nuove assunzioni, sotto qualsiasi forma, di personale, richiamava le pronunce della Cassazione (n. 274/2019 e n. 3140/2019); evidenziava, una volta esclusa la conversione, che non poteva accogliersi neppure la domanda risarcitoria «siccome direttamente correlata alla chiesta conversione dei rapporti in rapporto a tempo indeterminato» senza esplicita enunciazione di un danno ex art. 32 comma 5 legge n. 183/2010 per l’abusiva reiterazione
dei contratti a termine in violazione del diritto UE ai sensi della clausola 1 lett. b) e della clausola 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato attuato con la direttiva 1999/70/CE;
tale domanda, aggiunge la Corte distrettuale, non poteva, infine, essere formulata la prima volta con l’appello incidentale per il divieto dei nova in appello;
avverso tale pronuncia ricorre il lavoratore con tre motivi assistiti da memoria, resistiti con controricorso, illustrato da memoria, dei Consorzi di Bonifica n. 6 e n. 7.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) l’omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi la Corte di merito pronunciata, pur a fronte di una domanda contenuta nell’appello incidentale, sulla nullità di tutti i contratti a tempo determinato in quanto privi di motivazione; domanda cui il ricorrente aveva preciso interesse in relazione ai profili di danno comunitario azionati o da far valere, se del caso, con autonomo contenzioso;
con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia nonché, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti;
avrebbe errato il giudice d’appello nel non liquidare il danno comunitario, espressamente richiesto, alla stregua dell’assunto che fosse necessaria, sin dal procedimento di primo grado, una domanda autonoma da riproporre con l’appello incidentale;
col terzo mezzo si denuncia violazione ed errata applicazione delle norme di diritto e del divieto di discriminazione e, in particolare, della
direttiva 1999/70/CE e delle leggi reg. Sicilia n. 76/1995, n. 18/1999, n. 16/2000, n. 4/2003, n, 17/2004, n. 4/2006, n. 14/2010; si sostiene, in sintesi, che la sanzione risarcitoria sarebbe non «effettiva, proporzionale e concreta» e che andrebbe disposta, sotto forma di danno comunitario, la conversione o trasformazione del rapporto a tempo indeterminato;
rimettendo il primo profilo (omessa pronuncia sulla nullità dei contratti) a una (successiva) valutazione congiunta con il secondo motivo di ricorso, i.e. declaratoria di inammissibilità della domanda di danno comunitario, giova evidenziare che il terzo profilo di censura -sul divieto di conversione o trasformazione del rapporto a tempo indeterminato , da esaminarsi con priorità logica rispetto agli altri, è manifestamente infondato;
questa Corte ha chiarito con sentenza 9 gennaio 2019, n. 274 (alla cui motivazione si fa rinvio anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ .), con specifico riferimento ai Consorzi di Bonifica confermando vari precedenti di senso analogo e ponendosi nel solco di Corte Costituzionale n. 80 del 2018 – che «la L.R. Sicilia n. 76 del 1995 non deroga al divieto di assunzione a tempo indeterminato dettato dall’art. 32 della legge reg. n. 45 del 1995, ma si pone in linea di continuità sistematica con quest’ultima», sicché «in caso di violazione dei limiti posti dagli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 76 del 1995 per il ricorso al contratto a tempo determinato da parte dei Consorzi di bonifica della Regione Sicilia», regolati mediante rinvio alla disciplina di cui alla legge n. 230/1962 «non è consentita la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato»;
tale sentenza ha, inoltre, precisato che i principi affermati dalla sentenza resa da questa Corte a sezioni unite 9 marzo 2015, n. 4685,
richiamati dal ricorrente, non trovano applicazione ai Consorzi di Bonifica della regione Sicilia, in quanto -pur dovendo riconoscersi ai medesimi la natura di enti pubblici economici (Cass. 17 luglio 2012, n. 1242; Cass. 18 luglio 2016, n. 14679; Cass. S.U. 20 gennaio 2017, n.1548) -sono oggetto di una peculiare disciplina dettata dal legislatore regionale in materia di assunzioni alle dipendenze dei Consorzi di bonifica regionale, la quale, per effetto della sua ‘specialità’ non può ritenersi derogata d alla disciplina regionale (Cass. n. 3140 del 2019, in motivaz. sub p.ti 52, 69, 76 e sub p.ti 50, 51; nello stesso senso, tra le altre: Cass. 14 luglio 2023, n. 20324; Cass. 21 ottobre 2020, n. 22981; Cass. 10 novembre 2021, n. 33122; Cass. 2 marzo 2022, n. 6920; Cass. 1° aprile 2022, n. 10666; Cass. 9 dicembre 2022, n. 13121; Cass. 14 luglio 2023, n. 20302; Cass. 18 gennaio 2023, n. 1516);
6. quanto ai (restanti) primi due motivi di ricorso, rileva anzitutto il Collegio che la conversione o la trasformazione dei contratti a termine illegittimi costituisce, in caso di abusiva reiterazione o di durata oltre i limiti di legge, sanzione in forma specifica propria dell’ illecito perpetrato, come dimostra, almeno in ambito di pubblico impiego, il fatto stesso che, di contro, qualora sia domandato il risarcimento, è ritenuta misura sanante (Cass. 17 luglio 2020, n. 15353; Cass. 3 luglio 2017, n. 16336) l’avvenuta stabilizzazione per effetto causale diretto della stessa successione o preesistenza di contratti a tempo determinato; se così è, non vi è ragione per ritenere che il mero transito dalla tutela in forma specifica a quella per equivalente risarcitorio, rispetto ai medesimi contratti a termine, sia domanda nuova;
è infatti evidente che la tutela per equivalente sia un minus o un ‘surrogato legale’ della tutela in forma specifica, tanto da risultare consolidato il principio per cui il giudice potrebbe pronunciare la prima, pur
quando sia stata chiesta la seconda, senza incorrere in vizio di ultrapetizione (Cass. 19 gennaio 2017, n. 1361; Cass. 8 gennaio 2013, n. 259); ciò anzi impone di ritenere che, chiesta ma ritenuta giuridicamente non praticabile la condanna in forma specifica, il giudice debba pronunciare sul risarcimento per equivalente, così come che, in mancanza, la parte possa efficacemente dolersi di ciò, in sede di impugnazione, come ragione di illegittimità della pronuncia;
il ricorso, nelle sue due prime censure, va dunque accolto, sicché la domanda dovrà essere esaminata sotto il profilo della tutela del danno c.d. eurounitario da reiterazione abusiva di contratti a termine, secondo il noto principio per cui «in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito» (Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072);
d’altra parte, una volta proposto appello incidentale al fine di contestare il diniego dell’effetto che si ritenga dovesse conseguire alla pronuncia di primo grado, va da sé che resti aperto il dibattito
processuale su ogni aspetto che, secondo la natura della domanda, possa comportare la conseguenza giuridica rivendicata, e ciò secondo il consolidato principio per cui «ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale ‘ minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno ‘ individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico», sicché «sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione» (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217 ed altre conformi), restando pertanto devolute le ragioni di illegittimità dei termini comunque addotte in primo grado, che dunque resteranno disaminabili in sede di rinvio;
dovendosi anzi aggiungere che, una volta contestata comunque la legittimità dei contratti a tempo determinato, data la natura contrattuale della responsabilità (Cass. 3 marzo 2020, n. 5740; Cass. 12 aprile 2017, n. 9402; Cass. 7 settembre 2012, n. 14996) ed in ultima analisi in linea con i principi generali già fissati dal risalente e consolidato arresto di Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533, spetti al datore di lavoro comprovare viceversa la legittimità dei termini di durata apposti, sotto i diversi profili (causale specifica, rispetto sulle regole di proroga e rinnovazione; durata massima etc.) che possono inficiarne la validità ed attestare la violazione di regole preposte appunto ad impedire il ricorso indebito a plurimi o eccessivamente lunghi rapporti di precariato;
la Corte d’appello, dunque, erroneamente non ha verificato la compatibilità del rapporto di lavoro con l’ Accordo quadro, dalla cui
violazione discende il riconoscimento del cd. danno comunitario, in presenza della illegittima reiterazione dei contratti a termine (Cass., SU, n. 5076 del 2016), e se non intervenuta stabilizzazione direttamente riferibile alla precarizzazione; ed ha altresì (altrettanto erroneamente, invero) omesso di considerare, in ciò discostandosi dai principi suesposti, che la tardiva introduzione in giudizio della questione ‘ danno comunitario ‘ non era affatto dirimente perché «in tema di impiego pubblico privatizzato, qualora sia stata chiesta la conversione o trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine per violazione delle regole che ne condizionano la legittimità, il giudice, a fronte della giuridica impossibilità di una tale tutela in forma specifica avverso l’illecito determinatosi, deve pronunciare sulla tutela per equivalente, secondo il regime del c.d. danno eurounitario» (Cass. n. 15030 dell’11 maggio 2022);
8. la sentenza impugnata va (conclusivamente) cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame facendo applicazione dei principi sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese di legittimità , alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione