Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18945 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18945 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
Oggetto: Regione Sicilia. Operai RAGIONE_SOCIALE. Reiterazione di contratti di lavoro a termine.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
–
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO rel. –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9412/2021 R.G. proposto da:
NOME, domiciliato ope legis in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
ASSESSORATO REGIONALE DELL’AGRICOLTURA DELLO SVILUPPO RURALE E DELLA PESCA MEDITERRANEA, ASSESSORATO REGIONALE DEL TERRITORIO E DELL’AMBIENTE DELLA REGIONE SICILIA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ope legis
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 64/2021 della CORTE D’APPELLO CALTANISSETTA, depositata il 23/02/2021 R.G.N. 21/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
di del
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal lavoratore, rigettava la domanda proposta dallo stesso, attuale ricorrente, volta ad ottenere la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il risarcimento del danno per abusiva reiterazione di contratti di lavoro a termine, e il pagamento di un’indennità economica quale corrispettivo della permanente disponibilità a prestare l’attività lavorativa, a chiamata, nell’arco di tutto l’anno solare.
Contro tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.
Gli Assessorati regionali si sono difesi con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, implicitamente in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., «violazione Direttiva Europea n. 1999/70/CE».
Il ricorrente contesta la legittimità della decisione della Corte d’appello laddove questa ha rilevato la nullità per mancanza di forma scritta ad substantiam dei contratti di lavoro a termine conclusi tra il ricorrente e l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, traendone la conseguenza che «non si configura nel caso di specie la dedotta abusiva reiterazione di contratti a termine» e che non può trovare quindi applicazione l’agevolazione probatoria in merito al danno risarcibile che, nei rapporti con la pubblica
RAGIONE_SOCIALE, surroga la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in un’ottica di necessaria effettività della tutela imposta dal diritto eurounitario (Cass. S.U. n. 5072/2016).
1.1. Il motivo è fondato, per le ragioni e nei termini di seguito esposti.
1.1.1. Occorre premettere un breve inquadramento del contesto normativo nell’ambito del quale il ricorrente ha svolto le sue prestazioni di lavoro subordinato in favore dell’RAGIONE_SOCIALE. Con l’art. 43 della legge RAGIONE_SOCIALE n. 14 del 2006, che introdusse l’art. 45 -ter nella legge RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996, la Regione Sicilia istituì «l’RAGIONE_SOCIALE». L’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE è «condizione essenziale per l’avviamento al lavoro alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE e dellRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE». Il successivo art. 46 della legge RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996 prevede che, «per le esigenze connesse all’esecuzione dei lavori condotti in RAGIONE_SOCIALE diretta, l’RAGIONE_SOCIALE si avvale … dell’opera: a) di un contingente di operai a tempo indeterminato; b) di un contingente di operai con garanzia di fascia occupazionale per centocinquantuno giornate lavorative ai fini previdenziali; c) di un contingente di operai con garanzia di fascia occupazionale per centouno giornate lavorative ai fini previdenziali». A prescindere dai requisiti per l’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dai criteri per lo scorrimento degli iscritti nelle relative graduatorie (che qui non rilevano e su un aspetto dei quali è anche intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 206/2015), il sistema è chiaramente diretto alla progressiva stabilizzazione degli operai non assunti a tempo indeterminato (centocinquantunisti e centounisti), che nel frattempo lavorano di volta in volta a chiamata, con garanzia di un numero minimo annuale di «giornate lavorative ai fini previdenziali». Nella sentenza impugnata non è messo in discussione che i RAGIONE_SOCIALE inseriti nei contingenti «di operai con garanzia di fascia occupazionale» limitata ad un certo numero di giornate lavorative sono RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato,
come del resto emerge dal testo della legge RAGIONE_SOCIALE, per la contrapposizione tra gli operai inseriti in tali contingenti e quelli inseriti nel «contingente di operai a tempo indeterminato».
1.1.2. La Corte d’Appello di Caltanissetta, premesso che «Il rapporto a termine oggetto di causa trova fonte in un contratto che non è stato affatto stipulato ai sensi del d.lgs. 368/2001, ma sulla base di norme della legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996, quindi con forme e modalità del tutto estranee alle previsioni del d.lgs. 368/2001 e della Direttiva CE n. 70 del 1999» (premessa che ha portato il giudice d’appello a dichiarare infondata l’eccezione di decadenza dall’azione sollevata dalla pubblica RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta della quale il Tribunale aveva invece rigettato, in limine, la domanda del lavoratore), ha tuttavia rilevato d’ufficio e considerato decisiva la nullità del contratto per mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam per tutti i contratti della pubblica RAGIONE_SOCIALE. Secondo la Corte d’Appello, la nullità radicale del contratto di lavoro per mancanza di forma assorbe la (e prevale sulla) nullità parziale dell’apposizione del termine, rendendo applicabile la disciplina generale dell’art. 2126 c.c., che riconosce al lavoratore il diritto al corrispettivo per le prestazioni eseguite, senza escludere il risarcimento danno, purché allegato e provato in concreto, anche con riferimento al nesso causale con un comportamento illecito del datore di lavoro. Una volta escluso il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato (con decisione che, in parte qua, non è oggetto di ricorso per cassazione), la Corte territoriale ha negato anche il risarcimento del c.d. «danno comunitario» nella misura forfettaria indicata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 (secondo l’insegnamento di Cass. S.U. n. 5072/2016), perché tale particolare tutela presupporrebbe la stipulazione di un valido contratto di lavoro, nel quale venga illegittimamente fissato un termine finale di durata, e non opererebbe, invece, nel caso di nullità dello stesso contratto di lavoro.
1.1.3. La motivazione del giudice d’appello, sebbene supportata dal pertinente richiamo a un precedente di questa Corte (Cass. n. 24666/2016), non può essere condivisa proprio nella parte in cui considera prevalente ed assorbente la nullità formale del contratto di lavoro a termine rispetto alla tutela dovuta al lavoratore nel caso (allegato dal ricorrente e non messo in discussione nella decisione impugnata) di abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a termine.
Occorre innanzitutto ribadire che le norme per la protezione del lavoro a tempo determinato contenute nel d.lgs. n. 368 del 2001 di attuazione della direttiva 1999/70/CE (così come quelle ora scritte nel d.lgs. 81 del 2015) si applicano anche ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni su tutto il territorio nazionale, comprese le ragioni a statuto RAGIONE_SOCIALE. Il fatto che un contratto di lavoro non sia stato stipulato «ai sensi del d.lgs. 368/2001» nulla toglie alla necessità di applicare le norme di legge imperative che disciplinano quel rapporto. Ciò in coerenza con il raggiungimento, anche nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, dell’obiettivo perseguito dalla citata direttiva 1999/70/CE, di limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei RAGIONE_SOCIALE (CGUE, sentenza CGUE 26 novembre 2014, COGNOME e a., nelle cause riunite C -22/13, da C -61/13 a C -63/13 e C -418/13, punto 72).
Più volte la Corte di giustizia ha affermato che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (si v. ex aliis , decisioni causa C177/10, NOME COGNOME; sentenza 7 settembre 2006, in causa C53/04, COGNOME e COGNOME; causa C -212/04, COGNOME).
L’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 imponeva la forma scritta per la valida pattuizione dell’assunzione a termine, con indicazione specifica della causale, norma che sicuramente risponde, nel diritto interno, all’esigenza
antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE, con particolare riferimento all’assicurazione di regole di salvaguardia, tra cui quella della fissazione di «ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti» (art. 5, lett. a) e/o della «durata massima totale» (art. 5 lett. b). La forma scritta risponde del resto a tale esigenza pur nel diverso sistema che ha caratterizzato successivamente il contratto a tempo determinato; infatti, seppure la causalità è in tutto o in parte venuta meno (d.l. n. 34 del 2014 conv. con mod. in L. n. 34/2014; art. 19 d.lgs. n. 81 del 2015, nelle diverse formulazioni succedutesi), il requisito formale continua ad assicurare certezza quanto meno rispetto all’assetto temporale, così contribuendo a garantire il controllo sulle regole dettate dal diritto interno al fine di contrastare la reiterazione indiscriminata di rapporti a termine. L’inosservanza della regola interna sulla pattuizione per iscritto, a prescindere dal fatto che il contratto sia anche nullo per difetto della forma propria dei contratti con la Pubblica RAGIONE_SOCIALE, si riverbera quindi nell’elusione di una norma finalizzata appunto a dare attuazione alle regole antiabusive di cui alla direttiva e pertanto, la reiterata utilizzazione del lavoratore a tempo determinato con assunzioni senza contratto scritto realizza un’illegittima reiterazione, in contrasto l’assetto della disciplina eurounitaria.
1.1.4. Il principio è in linea con quanto affermato da questa Corte in relazione ai contratti qualificati di collaborazione in relazione ai quali si è detto che la nozione di lavoratore a termine ai fini dell’applicazione della direttiva 1999/70/CE, è quella dettata dall’accordo quadro a quest’ultima allegato e, quindi, anche contratti nulli possono essere apprezzati se attraverso gli stessi si realizza una reiterazione abusiva (v. ex multis Cass. 8 maggio 2018, n. 10951).
Si aggiunga che la Corte di Giustizia nella recente sentenza del 25 gennaio 2024, causa C -389/22, ha ribadito che dalla ampia formulazione della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro risulta che l’ambito di
applicazione di quest’ultimo assume una concezione ampia, poiché riguarda in generale i ‘RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro’. Inoltre, la definizione della nozione di ‘RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato’, ai sensi della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro, include tutti i RAGIONE_SOCIALE, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro e a prescindere dalla qualificazione del loro contratto in diritto interno (sentenza del 19 marzo 2020, COGNOME e a., C -103/18 e C -429/18, EU:C:2020:219, punto 108, nonché ordinanza del 26 aprile 2022, RAGIONE_SOCIALE, C -464/21, EU:C:2022:337, punto 22). Pertanto, l’accordo quadro si applica a tutti i RAGIONE_SOCIALE che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purché questi siano vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro, ai sensi del diritto nazionale, e fatta salva soltanto la discrezionalità conferita agli Stati membri dalla clausola 2, punto 2, dell’accordo quadro per quanto attiene all’applicazione di quest’ultimo a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro nonché l’esclusione, conformemente al quarto comma del preambolo dell’accordo quadro, dei RAGIONE_SOCIALE interinali (sentenza del 19 marzo 2020, COGNOME e a., C -103/18 e C -429/18, EU:C:2020:219, punto 109, nonché ordinanza del 26 aprile 2022, RAGIONE_SOCIALE, C -464/21, EU:C:2022:337, punto 23).
1.1.5. In conseguenza, quindi, anche il rapporto nullo produttivo di effetti ex art. 2126 c.c. rientra nell’ampia accezione della direttiva.
1.1.6. La Corte d’appello, dunque, erroneamente non ha verificato la compatibilità del rapporto di lavoro con l’accordo quadro, dalla cui violazione discende il riconoscimento del cd. danno comunitario, in presenza della illegittima reiterazione dei contratti a termine (Cass., SU, n. 5076 del 2016), e se non intervenuta stabilizzazione direttamente riferibile alla precarizzazione.
Né è di ostacolo a ciò la diversità strutturale dei contratti in questione rispetto agli ordinari contratti di lavoro a termine, atteso che comunque vi è un’occupazione lavorativa a termine reiterata negli anni. Ciò posto, il risarcimento del c.d. «danno comunitario» rappresenta, sul piano giurisprudenziale, la realizzazione del principio di effettività nella tutela del lavoro precario, imposta dal diritto dell’Unione Europea, contemperandolo con la regola di diritto interno – e di rango costituzionale (art. 97, comma 4, Cost.) – per cui «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge».
Tale regola impedisce di applicare ai dipendenti degli enti pubblici non economici la tutela – sicuramente adeguata sul piano della effettività e applicabile nel lavoro privato -della trasformazione del rapporto (illegittimamente) a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’alternativa tutela meramente risarcitoria rischia, invece, di non essere una tutela sufficientemente efficace (e, quindi, un’effettiva attuazione dei principî eurounitari), qualora governata dalle comuni norme sulla ripartizione degli oneri probatori, che impongono al lavoratore di allegare e provare in modo specifico il danno subito e il suo nesso causale con il rapporto di lavoro. Per questo, si è ritenuta misura doverosa, nel diritto interno, il riconoscimento al lavoratore, in caso di abusiva reiterazione di contratti a termine, del diritto al pagamento di un’indennità forfettaria, in misura variabile tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, che prescinde dalla prova del danno, ferma restando la possibilità per il lavoratore di provare di avere subito un danno maggiore.
Tale delicato equilibrio tra un obiettivo del diritto eurounitario e una disposizione interna di rango costituzionale verrebbe infranto qualora l’agevolazione nella tutela risarcitoria del lavoratore illegittimamente assunto a termine dalle pubbliche amministrazioni fosse condizionata al presupposto, meramente formale, della stipulazione del contratto per iscritto. In sostanza, seguendo questa opinione, la tutela risarcitoria
facilitata del lavoratore verrebbe meno per il fatto che, alla violazione RAGIONE_SOCIALE norme che delimitano l’ambito di legittimità del ricorso al lavoro a termine, si aggiunge la violazione di un’ulteriore disposizione di legge (quella che prescrive la forma scritta per tutti i contratti della pubblica RAGIONE_SOCIALE: artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923), anch’essa imputabile principalmente al datore di lavoro, il quale, in quanto ente pubblico, è il primo responsabile della legittimità del proprio operato. E sarebbe evidentemente contrario ad ogni razionalità che la tutela giuridica del lavoratore venisse meno, o risultasse attenuata, per il solo fatto che il comportamento del datore di lavoro è illegittimo anche sotto un diverso profilo, oltre a quello che determina la necessità di quella tutela.
Del resto, l’Accordo quadro allegato, come parte integrante, alla Direttiva 1999/70/CE, indica, alla clausola n. 1, l’obiettivo di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di «contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato», manifestando chiaramente l’intenzione di prevedere una tutela del rapporto di lavoro, anche a prescindere dalla disciplina del contratto in quanto tale. Lo stesso vale per la clausola n. 5 («contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato»), che è quella direttamente rilevante nel caso di specie.
Ciò, del resto, è in perfetta coerenza con quella effettività della tutela che il diritto dell’Unione intende garantire allorché riconosce diritti soggettivi e libertà personali, affidandone la cura ai giudici nazionali. E poiché l’agevolazione probatoria ai fini del risarcimento del danno è posta proprio a presidio del principio di effettività della tutela dei RAGIONE_SOCIALE precari nell’ambito del lavoro pubblico, sarebbe in contraddizione con tale principio farla venire meno in conseguenza di un vizio formale nella stipulazione del contratto.
Né può essere condivisa l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la nullità del contratto per mancanza di forma scritta determinerebbe una «impossibilità intrinseca di procedere alla conversione del rapporto», da intendersi come diversa, e più intensa, rispetto a quella determinata dal
divieto di instaurare rapporti di pubblico impiego senza concorso. Anche quest’ultima è, infatti, una impossibilità intrinseca, tant’è che proprio in relazione ad essa i criteri per la liquidazione del «risarcimento comunitario» sono stati individuati nell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 (ora art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015) e non in quelli dettati per i casi di licenziamento illegittimo (il riferimento è, ancora una volta, a Cass. S.U. n. 5072/2106, che ha considerato inappropriato il rinvio ai criteri dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, perché «L’ipotesi del licenziamento evoca la perdita del posto di lavoro che nella fattispecie del lavoro pubblico contrattualizzato … è esclusa in radice dalla legge ordinaria … in ottemperanza di un precetto costituzionale sull’agire della pubblica RAGIONE_SOCIALE»). In definitiva, è necessario affermare che la tutela agevolata del lavoratore, sul piano probatorio ai fini del risarcimento del danno, in caso di abusiva reiterazione di rapporti a termine da parte della pubblica RAGIONE_SOCIALE, per essere conforme ai vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea, non può venire meno a causa della nullità dei contratti determinata dalla mancanza di forma scritta. Una tale soluzione appare, del resto, del tutto in linea con i precedenti di questa Corte in materia di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto (ad es. Cass. n. 41464/2021; Cass. n. 10157/2019; Cass. n. 10951/2018), sia con quelli in cui si è riconosciuta l’agevolazione probatoria a fronte di contratti privi di causale -vizio di forma -(v. ad esempio Cass. n. 37741/2022 che con riferimento a contratti che non enunciavano alcuna esigenza temporanea ed eccezionale giustificativa del termine ha ritenuto corretta l’agevolazione probatoria dell’art. 32).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «violazione art. 36 Cost., in relazione all’art. 2094 c.c.». Il motivo lamenta il mancato riconoscimento di un corrispettivo per la perdurante disponibilità del lavoratore a rendere la prestazione in qualsiasi momento nel corso dell’anno solare.
2.1. Il motivo è palesemente infondato.
È lo stesso ricorrente a riconoscere che il corrispettivo richiesto non è previsto dal contratto collettivo applicato al suo rapporto di lavoro, tant’è che egli si sforza di ravvisare in tale omissione una violazione dell’art. 36 Cost., secondo cui « Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ». Sennonché, il fatto di poter essere chiamato, nel corso dell’anno, a seconda RAGIONE_SOCIALE esigenze del datore di lavoro (ma forse sarebbe più corretto dire dei datori di lavoro, dal momento che diversi sembrano essere i soggetti che possono attingere dai contingenti di RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato iscritti nell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 45 -ter della legge RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996), non comporta una prestazione di lavoro aggiuntiva (essendo una contraddizione in termini che questa possa consistere in un mero non facere), ma rappresenta soltanto una modalità in cui si estrinseca il rapporto. Non si ravvisa, pertanto, alcuna violazione dell’art. 36 della Costituzione nella previsione che al lavoratore sia corrisposta la retribuzione determinata dalla contrattazione collettiva in rapporto alla quantità e qualità RAGIONE_SOCIALE prestazioni effettivamente erogate.
3. Accolto il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata, per quanto di ragione, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta perché decida attenendosi a quanto sopra precisato ed al seguente principio di diritto: ‘la tutela del lavoratore precario nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato, come sancita nella sentenza n. 5072/2016 RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite della Corte di Cassazione – e, in particolare, l’esonero dall’onere probatorio del danno e del nesso causale nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 – non vengono meno nel caso in cui i contratti di lavoro a termine siano nulli per mancanza di forma scritta ai sensi degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923, in quanto in mancanza di forma scritta si realizza anche la violazione RAGIONE_SOCIALE norme sulla specificazione della causale o di certezza dell’assetto temporale del lavoro a termine che sono funzionali, nel diritto interno,
all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE’.
Si dà atto che, in ragione dell’esito dell’impugnazione, non sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella Adunanza camerale del 4 aprile 2024.