Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16173 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16173 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15096-2020 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2000/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 02/12/2019 R.G.N. 1785/2018;
Oggetto
Costituzione rapporto lavoro
R.G.N. 15096/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 18/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Foggia ha dichiarato la illegittimità del contratto di collaborazione occasionale intercorso tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE nonché l’esistenza di un contratto di l avoro a tempo indeterminato a far data dal 4.7.2009, ordinando alla società la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento delle retribuzioni sino alla effettiva reintegra con ricostituzione della posizione previdenziale.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza n. 2000 del 2019, in parziale riforma della impugnata pronuncia ha rigettato la domanda di conversione del rapporto e di reintegra sul posto di lavoro e, applicato l’art. 32 co. 5 della legge n. 183/2010, ha condannato la società al risarcimento del danno parametrato ad una indennità onnicomprensiva determinata nella misura di n. 2,5 mensilità d ell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.
I giudici di seconde cure, in sintesi, hanno rilevato che: a) la società, in relazione alla illegittimità del contratto di collaborazione occasionale intercorso tra le parti, non aveva impugnato la specifica ratio decidendi circa la mancanza di un progetto specifico; b) essendo la RAGIONE_SOCIALE una società a partecipazione pubblica, non era possibile la conversione del rapporto in uno di natura subordinata a tempo indeterminato; c) il COGNOME aveva però diritto al risarcimento del danno previs to dall’art. 36 co. 5 D.lg. n. 165/2001 nella misura e nei limiti di cui all’art. 32 co. 5 legge n. 183/2010: danno con valenza sanzionatoria e qualificabile
come danno comunitario; d) le spese del grado di appello andavano compensate tra le parti.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE ASL FG RAGIONE_SOCIALE la quale ha presentato, altresì, ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc. Si deduce che, in sede di appello, alcuna obiezione era stata svolta dalla società circa la invocata applicazione dell’art. 2112 cc, nella successione nella gestione delle attività sanitarie tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE: questione ritenuta assorbita dal Tribunale di Foggia in primo grado e che doveva ritenersi totalmente accolta, stante il dictum della decisione e, quindi, passata in giudicato.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale di Foggia, sul problema del dedotto fenomeno successorio, avendo accolto la domanda del ricorrente per la ritenuta natura privatistica della società, ha testualmente affermato che il ‘fenomeno successorio’, nella specie, rimaneva ‘sullo sfondo’ perché il COGNOME aveva invocato la conversione del contratto di lavoro occasionale non con il vecchio datore di lavoro.
Sulla questione, quindi, non vi è stata una statuizione suscettibile di passare in giudicato, costituita dalla sequenza ‘fatto, norma ed effetto’ ed anzi la problematica appare essere stata espressamente assorbita dal primo giudice con la conseguenza che, sul punto non trattato, se non riproposto ed esaminato in secondo grado, non può ritenersi che si sia formato alcun giudicato interno.
Con il secondo motivo del ricorso principale si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 co. 2 D.lgs. n. 276/2003, degli artt. 35 e 36 D.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 3 co. 1 bis D.lgs. n. 502/1992, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonc hé l’omesso esame di un punto fondamentale del giudizio, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc. Si sostiene che la RAGIONE_SOCIALE società in house partecipata dalla Azienda Sanitaria di Foggia, era un organismo incontestabilmente privato ed anche la ASL di Foggia, ente pubblico economico, operava come un normale soggetto privato e, quindi, entrambe non erano obbligate ad effettuare le assunzioni conformemente all’art. 35 D.lgs. n. 165/2001; si obietta che di questi elementi la Corte territoriale aveva fatto una gestione inappropriata.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte di appello ha ritenuto che per la RAGIONE_SOCIALE quale società a partecipazione pubblica, il reclutamento del personale dovesse avvenire attraverso apposite selezioni che garantissero la trasparenza, la pubblicità e la imparzialità.
Parte ricorrente sostiene la natura privatistica della società perché l’Azienda pubblica controllante (ASL Foggia), quale ente pubblico economico, operava quale imprenditore privato.
Orbene, a prescindere dal fatto che alle Aziende Sanitarie, fin dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 5072/2016), sono state sempre ritenute applicabili le disposizioni di cui al D.lgs. n. 165/2001 in tema di pubblico impiego contra ttualizzato, per cui l’argomento della natura privatistica della controllante nel caso de quo non può essere condiviso, deve, altresì, osservarsi che non è stato addotto alcun altro elemento determinante ai fini di desumere la natura privatistica della RAGIONE_SOCIALE la quale pacificamente svolgeva, invece, la propria attività di azienda, a capitale pubblico, in materia di servizio sanitario nazionale, come affermato dalla Corte di appello.
Venendo allo scrutinio del ricorso incidentale, con il primo motivo si denunzia la violazione dell’art. 1 co. 2 del D.lgs. n. 276/2003, dell’art. 36 co. 2 e 5 D.lgs. n. 165/2001, la falsa applicazione dell’art. 69 co. 2 D.lgs. n. 276/2003 e dell’art. 324 c pc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere la Corte territoriale considerato che, una volta affermato che la RAGIONE_SOCIALE quale società a partecipazione pubblica era soggetta alle modalità di reclutamento delle pubbliche amministrazioni di cui agli artt. 35 e 36 D.lgs. n. 165/2001, ad essa non poteva trovare applicazione il contratto di collaborazione a progetto, come espressamente previsto dall’art. 1 co. 2 D.lgs. n. 276/2003.
Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 2094 cod. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere considerato la Corte territoriale che, dovendosi ritenere venuta meno l’applicabilità dell’intera disciplina del contratto a progetto per essa ricorrente, il COGNOME non aveva fornito
alcuna prova circa la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata.
Con il terzo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 co. 5 della legge n. 183/2010, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte territoriale nel ritenere applicabile la sanzione del ‘danno comunitario’ e dell’indennità prevista dall’art. 32 co. 5 legge n. 183/2010 in una fattispecie di causa di un unico breve contratto a termine, nell’arco temporale dal 1° luglio 2009 al 15 settembre 2009, di n. 31 giorni, non versandosi in una ipotesi di abusivo ricorso di contratti a tempo indeterminato nel pubblico impiego.
I suddetti motivi, per la loro interferenza, possono essere esaminati congiuntamente.
Correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibile la conversione di un contratto di collaborazione a progetto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in relazione ad una società in house o ad una a partecipazione pubblica cui era applicabile, ratione temporis , l’art. 18 del D.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, in quanto il reclutamento del personale doveva avvenire con i divieti e le limitazioni previste per la pubbliche amministrazioni in applicazione dei criteri di trasparenza, oggettività ed imparzialità (Cass. n. 420/2024, Cass. 3628/2018).
Sulla inammissibilità di stipulare tale forma contrattuale con le società in house , invece, la Corte di appello ha dato atto della mancata corretta impugnazione di tale punto e per questa ragione non ha sindacato tale profilo che, tuttavia, resta superato dalla rilevata inammissibilità della possibilità
di conversione in un rapporto di lavoro di natura subordinata e a tempo indeterminato.
Analogo discorso deve effettuarsi sul secondo motivo ove l’accertamento della subordinazione è stato ritenuto ininfluente, ai fini della chiesta conversione, per il passaggio in giudicato della statuizione sulla illegittimità del contratto di collaborazione a progetto intercorso tra le parti.
In altri termini, affermata la impossibilità della conversione del rapporto per la natura della società nei cui confronti era stata rivendicata la assunzione, ogni profilo sulla eventuale ammissibilità della fattispecie contrattuale adottata ovvero sulle modalità di esecuzione del rapporto diventano ininfluenti se non per ipotizzabili fini risarcitori.
Con riguardo a tale aspetto, però, le censure di cui al terzo motivo sono, invece, pienamente fondate in quanto la Corte territoriale ha riconosciuto il danno ex art. 36 co. 5 D.lgs. n. 165/2001, parametrandolo all’art. 32 co. 5 legge n. 183/2010, sulla base di un unico contratto di collaborazione, dal luglio 2009 al settembre dello stesso anno, a seguito del quale il COGNOME era stato regolarmente retribuito.
Tale decisione, però, contrasta con i principi affermati in sede di legittimità (Cass. n. 19454/2018) ove è stato precisato che, nel lavoro pubblico contrattualizzato, il ricorso alla disciplina di cui all’art. 32 co. 5 della legge n. 183/2010, al fine di agevolare l’onere probatorio del danno conseguente alla illegittima reiterazione di rapporti a termine, si giustifica con la necessità di garantire la efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro, allegato alla Direttiva 1999/70/CE che concerne la previsione degli abusi derivanti dalla successione dei contratti a termine e, pertanto, non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui la illegittimità
concerne la apposizione del termine ad un unico contratto di lavoro (cfr. anche Cass. n. 3558/2021).
Ne consegue che, nel caso in esame, non sussistevano i presupposti per riconoscere il danno ‘comunitario’, come opinato dai giudici di seconde cure, vertendosi in una fattispecie di un solo contratto per la dedotta e non smentita durata di soli 31 giorni.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso principale deve essere rigettato; quello incidentale va accolto, con conseguente cassazione della gravata sentenza in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, va respinta anche la domanda di risarcimento dei danni originariamente proposta dal COGNOME.
Le spese dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, come già deciso dalla Corte territoriale per il giudizio di appello, in ragione degli esiti alterni dei giudizi. Quelle del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, limitatamente al ricorrente principale, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, rigetta anche la originaria domanda di risarcimento dei danni proposta da NOME COGNOME Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della
contro
ricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 marzo 2025