Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 410 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 410 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19832/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l o studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e dife sa dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
in
Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 57/2020 della Corte d’Appello di Campobasso, depositata il 3.3.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ricorrente, infermiera professionale a quel tempo dipendente dell’azienda sanitaria di Modena , rivolse all’ASREM (Azienda Sanitaria Regionale del Molise) numerose istanze di trasferimento, mobilità o comando e, nel frattempo, concluse con tale ultima azienda una serie di successivi contratti di lavoro a termine, in forza dei quali prestò attività lavorativa in Molise quasi ininterrottamente dal 9.10.2006 al 30.6.2016, quando venne assunta da un’azienda ospedaliera abruzzese per prestare servizio presso l’ospedale di Castel di Sangro .
Nel 2017 la lavoratrice si rivolse al Tribunale di Isernia per chiedere l’accertamento dell’illiceità della mancata risposta alle sue istanze , nonché l’accertamento del proprio diritto al trasferimento, alla mobilità esterna o al comando, oltre al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Isernia, in parziale accoglimento delle domande, condannò RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del c.d. danno comunitario da abusiva reiterazione dei contratti a termine, liquidato in misura pari a nove mensilità dell’ultima retribuzione percepita.
La sentenza di primo grado venne impugnata da RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto della violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciando, nel senso che la domanda di condanna al risarcimento del danno comunitario da illegittima reiterazione dei contratti a termine non sarebbe mai stata proposta dalla lavoratrice.
Quest’ultima propose a sua volta appello incidentale contro il mancato accoglimento delle sue ulteriori domande.
La Corte d’Appello di Campobasso accolse il gravame principale e rigettò quello incidentale, con il risultato di un integrale rigetto di tutte le domande della lavoratrice.
Contro la sentenza d’appello NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
L’Aziend a si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia «Violazione del l’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. anche con riferimento all’art. 113, comma 1, c.p.c. Errore in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Si censura la sentenza nella parte in cui è stata condivisa l’opinione dell’Azienda secondo cui il Tribunale non avrebbe potuto condannarla al risarcimento del danno comunitario per illegittima reiterazione dei contratti di lavoro a termine, dal momento che una siffatta domanda non sarebbe stata proposta nel ricorso introduttivo di primo grado. La ricorrente invoca il potere del giudice del merito di qualificare correttamente e di interpretare la domanda di parte e contesta alla Corte d’Appello di essersi limitata alla lettura della precisazione delle conclusioni, invece di considerar e l’intero contenuto dell’atto introduttivo, oltre a quello delle difese di controparte e alle ulteriori dichiarazioni verbalizzate alla prima udienza.
1.1. Il motivo è fondato, nei termini di seguito esposti.
1.1.1. Occorre premettere che oggetto di discussione è se la ricorrente avesse o meno proposto in primo grado una certa domanda (condanna al risarcimento del danno comunitario), sicché non vengono in rilievo né il potere del giudice di qualificare d’ufficio la domanda che la parte abbia proposto, ma inquadrato erroneamente in diritto, né l’accettazione del contraddittorio nei confronti di una domanda che la parte abbia proposto, ma tardivamente. Qui si tratta di stabilire se la domanda c’era o non c’era e d è evidente che, per una domanda che non c’è , nemmeno può esserci una diversa qualificazione da parte del giudice, n é un’accettazione del contraddittorio da parte del convenuto.
Nemmeno è utile invocare la discrezionalità del giudice del merito nell’interpretazione delle domande di parte, perché tale discrezionalità vale sia per il giudice di primo grado che per il giudice d’appello , sicché non ci sarebbe alcun vizio nel fatto in sé che il secondo abbia interpretato le domande in modo diverso dal primo.
1.1.2. Il motivo di ricorso coglie invece nel segno laddove contesta alla Corte d’Appello di avere ravvisato nella sentenza del Tribunale un vizio di extrapetizione sulla base di un esame dell’atto introduttivo di primo grado concentrato pressoché esclusivamente sulla lettura della precisazione delle conclusioni, ove la domanda di accertamento del diritto al risarcimento era limitata a « tutti i danni subiti unicamente ‘per il silenzio -rifiuto, danni da quantificarsi anche in via equitativa’» (pag. 5 della sentenza).
La Corte molisana ha dato atto che, nel ricorso introduttivo di primo grado, la ricorrente «parla di danno
comunitario», ma ha aggiunto che ciò aveva fatto «meramente richiamando le sentenze della Corte di Cassazione in materia, senza tuttavia lamentare di aver subito un danno conseguente alla mancata conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, senza allegare e provare l’eventuale illegittimità dei contratti, e senza form ulare una domanda di risarcimento ad hoc » (ivi). Poco più avanti nella motivazione si ribadisce che la « domanda … presupporrebbe in ogni caso l’allegazione e la prova dell’eventuale illegittimità per violazione delle disposizioni disciplinanti la materia dei contratti a tempo determinato» (pag. 6).
A parte che l’ oggettiva osservazione della mancanza di un’esplicita domanda nella precisazione delle conclusioni è del tutto irrilevante -visto che per consolidato indirizzo di questa Corte le ‘conclusioni’ dell’atto di gravame e del ricorso per cassazione non fanno parte degli elementi che tali atti devono contenere a pena di inammissibilità. Pertanto, il loro contenuto anche se, in ipotesi, erroneo è del tutto ininfluente, ai fini dell’esame del ricorso stesso (arg. ex: Cass. SU 23 aprile 2009, n. 9658; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291) -per il resto la motivazione della sentenza è basata su un’evidente ed indebit a confusione tra l’accertamento sull’esistenza della domanda (mediante l’interpretazione dell’atto di parte) e le valutazioni sulla validità e sulla fondatezza della domanda (valutazioni che presuppongono che la domanda esista). Non è infatti possibile sostenere che, per stabilire se è stata fatta una domanda, occorra prima valutare la completezza delle allegazioni a sostegno e la sussistenza della prova dei fatti costitutivi: è evidente che solo con riferimento a una domanda che si assuma proposta si potrà discutere della sua validità e della sua
fondatezza, anche sotto il profilo della prova dei fatti costitutivi allegati.
Nel ricorso per cassazione (pag. 15) è riportato un passo della sentenza di primo grado in cui il Tribunale si faceva carico della «interpretazione complessiva del ricorso» e dava atto che la ricorrente «ha fatto riferimento al danno comunitario conseguente alla reiterazione dei contratti a tempo determinato , in relazione al quale ha anche allegato che ‘in materia di pubblico impiego, la reiterazione o la costituzione di rapporti di lavoro a tempo determinato, in violazione delle norme imperative che riguar dano l’assunzione, non determina la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, ma fonda il diritto del lavoratore al risarcimento del danno ai sensi del d.lgs. n. 165/2001 T.U. sul pubblico impiego ‘» .
Il Tribunale aveva dunque considerato che, nel ricorso introduttivo, la lavoratrice aveva allegato il fatto della plurima reiterazione dei contratti di lavoro a termine, prospettato la sua illegittimità e ricordato che da questa consegue il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, anche se non dà diritto alla instaurazione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato. Tanto basta per ritenere richiesto il risarcimento del danno, pur in mancanza dell’esplicitazione della domanda in tal senso nella precisazione delle conclusioni (sulla necessità di interpretare la domanda esaminando il contenuto complessivo e sostanziale dell’atto di parte e non solo il tenore letterale e, in particolare, quello della precisazione delle conclusioni, v. Cass. nn. 7322/2019; 26159/2014; 23794/2011; 19630/2011; 3012/2010; 17760/2006).
1.1.3. Sulla domanda così proposta dovrà pronunciarsi il giudice del rinvio, non avendolo fatto il giudice d’appello, fermo restando comunque che, per quanto riguarda la prova del pregiudizio subito, l’essenza del c.d. danno comunitario è proprio che esso, per rappresentare un adeguato rimedio interno, come preteso dalla normativa eurounitaria, deve essere liquidato -entro i limiti della misura forfettaria indicata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 -anche a prescindere dalla prova in concreto, richiesta solo per la liquidazione in misura eccedente quei limiti (Cass. S.U. n. 5072/2016).
Il secondo e il terzo motivo sono rubricati, rispettivamente:
«omesso e/o insufficiente esame sui fatti ed elementi decisivi per il giudizio; violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. -omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento alla domanda di risarcimento danno comunitario -sulla presunta non accettazione del contraddittorio della RAGIONE_SOCIALE -presenza di mera motivazione apparente nella sentenza di 2° grado»;
«violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001».
Questi due motivi restano assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo .
3.1. Infatti, il secondo motivo è volto anch’ess o a contestare, sotto il diverso profilo della mancanza di motivazione, la decisione della Corte d’Appello di considerare non proposta la domanda di condanna dell’Azienda al risarcimento del danno provocato con l’a sserita abusiva
reiterazione dei contratti di lavoro a termine. Decisione già cassata con l’accoglimento del primo motivo
3.2. Il terzo motivo si concentra sui presupposti del diritto al risarcimento del danno da abusiva reiterazione dei contratti di lavoro a termine e, in particolare, sulla non necessità della prova in concreto del pregiudizio subito.
La critica è astrattamente corretta -nella misura in cui invoca l’agevolazione probatoria imposta dalla necessità di rispettare il canone di effettività della tutela voluto dal diritto dell’Unione europea ma irrilevante in questa sede, in cui si impugna una sentenza che non si è pronunciata sulla domanda di risarcimento del danno da illegittima reiterazione dei contratti di lavoro a termine, essendosi fermata, in limine , alla (errata) constatazione che tale domanda non sarebbe stata proposta.
Il quarto motivo denuncia «violazione e falsa applicazione della legge n. 104 del 1992».
Con questo motivo la critica si sposta sul rigetto dell’appello incidentale che la lavoratrice propose contro il mancato accoglimento della domanda volta all’accertamento del proprio diritto al trasferimento o al comando presso l’ASREM in forza della «Legge-quadro per l ‘ assistenza, l ‘ integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate».
4.1. Il motivo è infondato.
L’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 dà diritto al lavoratore che assiste un familiare disabile «a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere» e vieta al datore di lavoro di trasferirlo ad altra sede senza il suo consenso.
A prescindere dalla condizione posta all’esercizio del diritto («ove possibile»), la disposizione riguarda la collocazione del lavoratore nell’ambito delle sedi e dipendenze che fanno capo al suo datore di lavoro, ma non gli conferisce certo un diritto soggettivo ad essere trasferito a un’altra azienda e, nel caso di specie, addirittura ad un’altra regione.
L’eventuale trasferimento, anche provvisorio a titolo di comando, da un’azienda a un’altra presuppone la collaborazione e l’accordo tra le due aziende, le quali devono rispettare i principi costituzionali d ‘ imparzialità e di buon andamento, ma anche il dovere di corretta gestione della finanza pubblica (Cass. n. 22885/2021).
In questo senso si è pronunciata la Corte d’Appello, la quale ha dato così una corretta interpretazione della normativa invocata dalla ricorrente.
4.2. Non può essere invece esaminata -perché pone una questione di fatto in contrasto con l’accertamento del giudice del merito e come tale inammissibile in questa sede, dedicata esclusivamente al controllo di legittimità della sentenza impugnata -l’affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cui RAGIONE_SOCIALE avrebbe «deliberato comandi poi prorogati in favore di infermieri, senza mai prendere in considerazione le istanze» della ricorrente.
In definitiva, accolto il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo e rigettato il quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila , anche per decidere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso -assorbiti il secondo e il terzo e rigettato il quarto -, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila , anche per decidere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della