Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5252 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5252 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29280/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
CURATELA RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2649/2021 depositata il 13/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Su iniziativa del curatore del fallimento, NOME COGNOME è stata condannata a risarcire i danni cagionati, nella qualità di amministratore, alla fallita RAGIONE_SOCIALE per effetto di una condotta illecita protratta nonostante la perdita del capitale, con continuo aumento delle passività fino al fallimento dichiarato nel 2010.
Il danno è stato determinato come da c.t.u., in misura pari alla perdita netta riscontrata a fine esercizio 2008, da attribuire per intero in difetto di prove contrarie alla illecita continuazione dell’ attività d’impresa , maggiorata di voci relative all’incasso di fatture non registrate e a valori di cassa non riscontrati.
La corte d’appello di Roma ha accolto il gravame della COGNOME solo in parte.
Per quanto interessa, ha confermato la meritevolezza del prioritario criterio dei netti patrimoniali utilizzato dal tribunale e ha espunto la voce di danno aggiuntiva, inerente a fatture non contabilizzate e tuttavia quietanzate per 13.077,22 EUR.
Avverso la decisione è ora proposto ricorso per cassazione in unico motivo composto da due censure tra loro connesse.
La curatela del fallimento ha replicato con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
I. – La ricorrente ha chiesto cassarsi la sentenza ‘ con particolare riferimento al rigetto del primo motivo d’appello e limitatamente alla
parte in cui la corte ha ritenuto integralmente applicabile alla fattispecie il novellato comma 3 dell’art. 2486 c.c., tanto in relazione alla scelta del ‘differenziale dei patrimoni netti’, quale criterio presuntivo legale per la quantificazione del danno accertato come imputabile (..), quanto in relazione all’inversione dell’onere della prova’ .
Ha svolto in unico motivo due censure involgenti la violazione o falsa applicazione dell’art. 2486 cod. civ., stante l’inapplicabilità (a suo dire) del testo novellato ai casi di accertamento di responsabilità pendenti all’epoca di sua entrata in vigore , e stante l’inapplicabilità del principio di inversione dell’onere della prova in esso specificato rispetto a fatti anteriori.
II. – Il motivo è infondato.
La corte d’appello , dopo la premessa per cui il tribunale aveva liquidato i danni condividendo l’accertamento peritale, il quale aveva individuato il danno nel ‘differenziale dei patrimoni netti’ , ha ritenuto infondate le censure formulate da ll’ appellante a tal riguardo, dirette a contrastare il criterio dei netti patrimoniali, perché quel criterio – già validato dalla giurisprudenza -è stato confermato dal nuovo terzo comma dell’art. 2486 cod. civ.
Questa circostanza la corte ha ritenuto di portata decisiva, poiché si sarebbe dinanzi a una norma di carattere processuale e quindi applicabile ai giudizi ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore, secondo il principio tempus regit actum .
La corte d’appello ha proseguito sottolineando che ‘ la nuova legge non ha innovato o regolato il fatto o l’atto generatore della responsabilità ‘, ma ha confermato ‘il contenuto dell’inadempimento degli amministratori che al verificarsi della causa di scioglimento non gestiscano esclusivamente a fini conservativi’ . E quindi si deve applicare al rapporto pendente, essendo diretta a disciplinare gli effetti non ancora esauriti del fatto generatore del danno, così da supportare il criterio principale di quantificazione del danno medesimo in via
presuntiva, salvo l’onere dell’amministratore convenuto di provar ne un diverso ammontare.
III. L’affermazione merita consenso nei termini che seguono.
Il terzo comma dell’art. 2486 cod. civ. è stato aggiunto dall’art. 378 del d.lgs. n. 14 del 2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ( breviter CCII), con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione (art. 389, secondo comma, del ripetuto d.lgs.).
Sicuramente , quanto all’art. 378 del CCII, si tratta di disposizione che recepisce principi e criteri già applicabili in precedenza, ma che, in questo, ha natura innovativa.
In generale, prima della modifica dell’art. 2486 cod. civ., questa Corte aveva affermato che nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 legge fall. nei confronti dell’amministratore, e ai fini della liquidazione del danno cagionato da quest’ultimo per aver proseguito l’attività dopo l’avvenuta riduzione per perdite del capitale sociale al di sotto del minimo legale, il giudice ‘ può avvalersi ‘ del criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, ‘ in via equitativa ‘ , nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili, ‘ salvo indicare le ragioni e sempre che sia stato allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato ‘ (v. ex aliis Cass. Sez. 1 n. 9983-17, e v. pure Cass. Sez 1 n. 4347-22).
IV. – Non è necessario indugiare più di tanto sul profilo definitorio, se cioè la novella delineata dall’art. 378 del CCII abbia integrato -o meno – una norma propriamente processuale, soggetta come tale al criterio tempus regit actum .
In proposito si sono registrate distinte posizioni dottrinali, una delle quali è riecheggiata dalla motivazione dell’impugnata sentenza.
Ma il punto non è tanto quello della definizione del tipo di norma, quanto piuttosto quello della corretta individuazione della sua funzione.
E da questo punto di vista è esatta la considerazione previa della corte territoriale, giacché la norma non ha modificato la fattispecie concreta alla quale è dedicata, vale a dire la declinazione degli obblighi comportamentali al fondo della responsabilità civile. Né ha minimamente alterato il contenuto del diritto al risarcimento del danno che sia stato cagionato.
La norma ha invece codificato un meccanismo di liquidazione equitativa del pregiudizio secondo quanto già la giurisprudenza di questa Corte giustappunto aveva ritenuto legittimo.
V. – È vero che il legislatore ha composto il testo evocando un criterio presuntivo: ‘ salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’ammini stratore è cessato dalla carica, (..) e il patrimoni netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento (..), detratti i costi (..) ‘.
È tuttavia abbastanza evidente che non alla presunzione in senso proprio il legislatore si è riferito, perché il meccanismo presuntivo richiama i criteri distributivi dell’onere della prova ( art. 2697 cod. civ.), che invece nella fattispecie non c’entrano .
Quel che la norma ha specificato è semplicemente la metodica della valutazione giudiziale quanto all’apprezzamento delle conseguenze pregiudizievoli della condotta.
In altre parole: destinatario della norma è proprio il giudice, il quale, ove sia dedotta (e provata) la fattispecie di responsabilità, deve utilizzare, secondo l’art. 2486, terzo comma, cod. civ., i netti patrimoniali onde liquidare il danno, a meno che in causa non siano dedotti e individuati elementi di fatto legittimanti l’uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto.
In questo senso la norma può essere definita come latamente (anche se non propriamente) ‘processuale’ : essa si applica anche ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore perché rivolta a stabilire non un criterio (nuovo) di riparto di oneri probatori, ma
semplicemente un criterio valutativo del danno, rispetto a fattispecie integrate dall’accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell’integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società.
VI. -Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 8.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione