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Danno ambientale: la responsabilità del liquidatore

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla responsabilità del liquidatore di una società per l’aggravamento di un danno ambientale preesistente. La sentenza conferma che il liquidatore può essere condannato a risarcire una quota dei costi di bonifica, quantificata equitativamente, per non aver impedito un ulteriore inquinamento. Viene inoltre ribadita la legittimazione del Comune a richiedere il risarcimento per le spese sostenute, consolidando il principio che la responsabilità per il danno conseguenza deve essere provata ma può essere liquidata in via percentuale in casi complessi.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno Ambientale: La Cassazione sulla Responsabilità del Liquidatore

Il tema del danno ambientale è sempre più centrale nel dibattito giuridico, specialmente quando si tratta di individuare le responsabilità per l’inquinamento di siti industriali dismessi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla figura del liquidatore di una società e sul suo possibile coinvolgimento nel risarcimento dei danni, anche se non è l’autore dell’inquinamento originario. La decisione esplora i confini tra la responsabilità penale e quella civile, il principio del ‘chi inquina paga’ e le modalità di quantificazione del risarcimento.

I Fatti di Causa: Un Sito Industriale e l’Aggravamento dell’Inquinamento

La vicenda trae origine dalla chiusura di un’importante azienda produttrice di materiali contenenti amianto. Dopo decenni di attività, l’azienda aveva cessato la produzione ma non aveva provveduto allo smaltimento dei rifiuti pericolosi presenti nel sito. Anni dopo, il professionista nominato liquidatore della società veniva condannato in sede penale per aver commesso il reato di discarica abusiva, aggravando di fatto la situazione di inquinamento preesistente. Sebbene il reato fosse stato dichiarato prescritto, la Corte di Cassazione penale aveva confermato le statuizioni civili, ovvero la condanna generica al risarcimento dei danni.

Sulla base di questa condanna, l’Ente locale ha avviato una causa civile per ottenere dal liquidatore il risarcimento del danno ambientale e dei costi sostenuti per la messa in sicurezza provvisoria dell’area. Il Tribunale di primo grado aveva condannato il liquidatore a pagare una somma ingente, comprensiva dei costi di messa in sicurezza e del danno all’immagine del Comune.

La Decisione della Corte d’Appello e il Ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello ha parzialmente riformato la decisione di primo grado. Pur escludendo il risarcimento per il danno all’immagine, ha rideterminato l’importo dovuto per i costi di bonifica, condannando il liquidatore al pagamento di una percentuale, quantificata nel 40% delle spese totali sostenute dal Comune. La Corte ha ritenuto che il professionista, pur non essendo il responsabile principale dell’inquinamento storico, avesse contribuito con la sua condotta omissiva all’aggravamento del danno.

Il liquidatore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui:
1. La nullità della sentenza d’appello per vizi procedurali.
2. L’erronea quantificazione del danno, ritenuta arbitraria e priva di motivazione.
3. Il difetto di legittimazione ad agire del Comune, sostenendo che, a seguito di modifiche normative, l’azione per il danno ambientale spetti esclusivamente al Ministero dell’Ambiente.
4. La violazione del principio secondo cui il giudicato penale non si estende automaticamente alla quantificazione del danno civile.

Le Motivazioni: Il Principio del ‘Chi Inquina Paga’ e il Danno Ambientale

La Corte di Cassazione ha rigettato i motivi principali del ricorso, fornendo una motivazione articolata e di grande interesse.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che l’accertamento della responsabilità del liquidatore per l’aggravamento del danno, contenuto nella sentenza penale passata in giudicato, non poteva più essere messo in discussione nel giudizio civile. Anche se il reato era prescritto, la condanna generica al risarcimento era divenuta definitiva e vincolante per quanto riguarda l’esistenza del fatto illecito (an debeatur).

Per quanto riguarda la quantificazione del danno (quantum debeatur), la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte d’Appello. Sebbene la motivazione fosse succinta, era sufficiente a giustificare l’uso del criterio equitativo. Di fronte alla difficoltà di distinguere con precisione i costi derivanti dall’inquinamento originario da quelli causati dall’aggravamento imputabile al liquidatore, la determinazione di una quota percentuale (il 40%) è stata considerata una soluzione legittima. Questa decisione si allinea al principio europeo ‘chi inquina paga’, che impone all’operatore che ha causato o aggravato un danno ambientale di sostenerne i costi di riparazione.

Infine, è stato respinto anche il motivo relativo al difetto di legittimazione del Comune. La Corte ha chiarito che le normative successive, che hanno concentrato l’azione per il danno ambientale in capo al Ministero, non possono privare retroattivamente un ente locale del diritto di agire per il rimborso di spese già sostenute, quando tale diritto sussisteva al momento dell’instaurazione del giudizio. La domanda del Comune, infatti, non mirava a un risarcimento astratto, ma al rimborso concreto dei costi per la messa in sicurezza.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza della Cassazione offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, rafforza la responsabilità delle figure apicali delle società, come i liquidatori, che non possono rimanere inerti di fronte a situazioni di palese rischio ambientale. La loro condotta omissiva può essere fonte di una responsabilità civile diretta per l’aggravamento dei danni.

In secondo luogo, la sentenza legittima l’uso del criterio equitativo per quantificare il contributo di un soggetto a un danno complesso e multifattoriale come l’inquinamento di un sito industriale. La fissazione di una percentuale, se logicamente ancorata ai fatti, rappresenta uno strumento valido per garantire il risarcimento.

Infine, viene tutelata la posizione degli enti locali che agiscono tempestivamente per mettere in sicurezza aree inquinate, confermando il loro diritto a recuperare i costi sostenuti dai responsabili, senza che successive modifiche normative possano vanificare le loro azioni.

Un liquidatore di una società può essere ritenuto responsabile per un danno ambientale preesistente?
Sì, il liquidatore può essere ritenuto responsabile se la sua condotta, anche omissiva, aggrava il danno preesistente. In questo caso, la responsabilità non deriva dall’inquinamento originario, ma dal non aver impedito un’ulteriore contaminazione, aumentando così i costi di bonifica.

Come viene quantificato il risarcimento per danno ambientale se il responsabile ha solo aggravato la situazione?
Quando è difficile distinguere con precisione il danno originario da quello causato dall’aggravamento, il giudice può utilizzare un criterio di liquidazione equitativa. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto legittima la condanna al pagamento di una percentuale (40%) dei costi totali di messa in sicurezza, come stima del contributo del liquidatore al danno complessivo.

Un Comune può chiedere il risarcimento per danno ambientale anche se una legge successiva ha affidato tale azione solo al Ministero dell’Ambiente?
Sì, se l’azione legale è stata avviata prima dell’entrata in vigore della nuova legge. La Corte ha stabilito che la legittimazione ad agire va valutata al momento in cui la causa è iniziata e che una normativa successiva non può cancellare retroattivamente diritti già acquisiti, specialmente quando si tratta del rimborso di spese concrete già sostenute.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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