Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6642 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6642 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3138/2023 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso, come da procura speciale allegata al ricorso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato come da pec: EMAIL;
– ricorrente-
contro
COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv . NOME COGNOME come da
–
–
Oggetto:
RESPONSABILITà
CIVILE
GENERALE
Risarcimento
del
danno
Danno
ambientale
–
Accertamento
danno
conseguenza e quantificazione.
CC 13.01.2025
Ric. n. 3138/2023
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
procura speciale allegate al controricorso elettivamente domiciliato come da pec: EMAIL
– controricorrente, ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1101/2022 della Corte di appello di BARI pubblicata in data 29 giugno 2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2025 dalla Consigliera Dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
Per quanto ancora qui di rilievo, giova in sintesi dare conto del la vicenda penale a carico dell’odierno ricorrente , sottesa al presente giudizio. Con sentenza n. 864/2004, il Tribunale penale di Bari condannò l’avvocato NOME COGNOME, liquidatore della s.p.aRAGIONE_SOCIALE nel periodo 14 /05/199711/03/2003, per il reato, tra gli altri, di discarica abusiva di rifiuti pericolosi (scarti, materiali di risulta, fanghi, fibre e polveri da lavorazione di cemento e amianto), oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidare in separata sede e accertò che la Fibronit (creata nel 1933 nel quartiere Japigia di Bari) nel 1985 aveva abbandonato la produzione di amianto, ma non anche lo smaltimento dei rifiuti. Con sentenza n. 1424/2005, la Corte penale d ‘ appello di Bari confermò il giudizio di colpevolezza di Artese per il reato di discarica abusiva, nonché le statuizioni civili. Con sentenza nr. 22826/07, la Corte di cassazione confermò il giudizio di responsabilità soltanto per il reato di discarica abusiva, che dichiarò prescritto, confermando le statuizioni civili.
Con citazione del febbraio 2010, il Comune di Bari convenne in giudizio NOME COGNOME per ottenere il risarcimento del danno per danno ambientale. Si costituì il convenuto, contestando la legittimazione di controparte e il merito della domanda, e chiese ed ottenne di chiamare in causa la Curatela del
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Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
fallimento della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, nei cui confronti successivamente rinunciò agli atti. Con sentenza n. 2195/2019, il Tribunale di Bari ritenne il Comune legittimato ex art. 18 l. 349/86, norma vigente all’epoca dei fatti e al momento della costituzione di parte civile nel processo penale dell’Ente locale , sulla quale nessun effetto poteva avere la concentrazione dell’azione in capo al Ministero ex art. 311 d.lgs. 152/06; ritenne vincolante la condanna generica di Artese da parte del giudice penale, per avere omesso di porre rimedio all’inquinamento, anzi aggravandolo con l’aggiunta di altri rifiuti; escluse il concorso di colpa del Comune per il mancato contenimento del danno; dichiarò estinto il giudizio nei rapporti tra Artese e il fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘; rigettò la domanda di € 10.000.000,00 per danno ambientale, non risultando che il Comune avesse subito un pregiudizio specifico e diverso rispetto a quello per i costi della messa in sicurezza e bonifica cui era tenuto il Ministero; condannò Artese a pagare al Comune € 6.374.422,61, oltre ad accessori per spese di messa in sicurezza provvisoria del sito industriale ex ‘Fibronit’, e € 4.869.200,00 per danno all’immagine (discredito, perdita di rappresentatività e di legittimazione presso la comunità territoriale), quantificato in misura pari al 20 % dei costi stimati in sede penale per la bonifica del sito, oltre al pagamento delle spese processuali.
La Corte d’appello di Bari , sul gravame proposto da NOME COGNOME con la sentenza qui impugnata, rideterminò l’importo indicato al punto 2) del dispositivo di prime cure in € 2.560.000,00, oltre a rivalutazione ISTAT dall’1.1.2009 al 20.5.2019 e gli interessi legali sulla somma rivalutata dal 21.5.2019 al saldo, condannando COGNOME al suo pagamento in favore del Comune di Bari; compensò in parte le spese del doppio grado tra le parti, ponendole per la restante parte a carico di COGNOME.
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Est. I. COGNOME
Avverso la decisione della Corte d’appello di Bari, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Ha resistito con controricorso Il Comune di Bari, a sua volta, proponendo ricorso incidentale sorretto da un unico motivo.
Ai fini della decisione del presente ricorso questa Corte ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell’art. 3 80 bis.1 c.p.c..
Parte ricorrente principale e parte ricorrente incidentale hanno depositato distinte e rispettive memorie.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso principale, il ricorrente denuncia la ‘ nullità della sentenza per mancata fissazione dell’udienza di discussione di discussione orale richiesta ex art. 352 c.p.c.. Violazione degli artt. 24 e 111 Cost. Il tutto denunciato a norma dell’art. 360 n. 4 c.p.c.’ , per non avere la Corte d’appello fissato l’udienza di discussione orale , nonostante la richiesta fosse stata avanzata da parte dell’appellante nelle conclusioni e riproposta nella memoria di replica nel termine di scadenza della stessa; il ricorrente assume che il vizio sussiste di per sé, indipendentemente dall’allegazione di un concreto pregiudizio alle prerogative difensive, e ciò in quanto è la norma stessa a prevedere, secondo la scansione procedurale dell’art. 352 c.p.c., l’accesso ad un ultimo atto di esercizio della difesa tramite la discussione orale avanti il Collegio.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..; violazione degli artt. 115 c.p.c., 2697, 2043, 2056, 1223 e 1226 cod. civ., e 40 c.p., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ ; nello specifico, sostiene l’erroneità della statuizione della Corte d’ appello che, sebbene avesse respinto la domanda risarcitoria formulata dal Comune di Bari in relazione al danno all’immagine e al costo della bonifica , lo aveva, tuttavia, condannato a rimborsare una percentuale quantificata nel 40% delle spese sostenute dal Comune per la messa in sicurezza
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Est. I. Ambrosi dell’area, e quindi per l’importo di euro 2.560.000,00, oltre rivalutazione ed interessi. Ad avviso dell’odierno ricorrente, la statuizione di condanna sarebbe inoltre contraddittoria in quanto, per un verso, sembrerebbe dare per scontato l’ an circa la sussistenza di danniconseguenza causati dall’aggravamento ascritto all’ ex liquidatore della RAGIONE_SOCIALE e, per altro verso, sembrerebbe ritenere, dapprima, di non poter accollare l’intero costo della messa in sicurezza provvisoria (come aveva fatto il Tribunale) a suo carico, per poi, però, omettere del tutto di valutare, quali specifiche voci di costo, afferenti o meno, al complesso delle spese sostenute dal Comune per la messa in sicurezza provvisoria e per quali importi e per quali omissioni, sarebbe fru tto di quell’aggravamento , onerandolo del rimborso di una quota ‘secca’ (circa il 40% delle spese sostenute dal Comune) ; con ciò, la Corte d’appello avrebbe pronunciato una sorta di ‘pronuncia oracolare’ (in violazione del principio di legalità che presiede alla disciplina della responsabilità civile) priva di motivazione, non spiegando le ragioni della percentuale prescelta; contesta altresì la statuizione secondo cui l’ A vv. Artese non si sarebbe attivato ‘pur avendo ampi poteri’ per eliminare ‘almeno le situazioni di emergenza’ e l’acco glimento di una domanda risarcitoria ‘per aggravamento’ , non formulata dall’Ente comunale (trattandosi di una domanda, quella ‘per aggravamento’ , ontologicamente diversa da quella ‘piena’ risarcitoria , con presupposti, allegazioni fattuali e connessi oneri probatori, completamente difformi); osserva, inoltre, il ricorrente che se si fosse trattato di aggravamento determinato dalla propria responsabilità, il Comune di Bari avrebbe dovuto allegarlo e provarlo, sotto il profilo del danno conseguenza, eziologicamente riconducibile alle presunte omissioni colpose attribuite ad Artese ai sensi degli artt. 2043, 1223 cod. civ. e 40 c.p. (e, in tal senso, nulla si poteva evincere in proposito da quanto emerso in sede penale); sotto altro profilo, lamenta che il Comune, ben avrebbe potuto allegare e
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Est. I. COGNOME quantificare la misura del presunto ‘ampliamento della discarica’ a lui addebitabile, e, in base a tale parametro, determinare, di conseguenza, l’entità del danno a lui imputabile quale incremento dei costi di messa in sicurezza provvisoria sopportati dal Comune, allegazione e quantificazione mancate nella specie; lamenta come incomprensibile la quantificazione operata dalla Corte d’appello del la percentuale del 40% di danno addebitatogli, con conseguente condanna al pagamento dell ‘ingentissimo importo di E uro 2.560.000,00; in definitiva, evidenzia che su un periodo di 70 anni (1933 -2003), tenendo conto che l’attività industriale della RAGIONE_SOCIALE era stata interrotta nel 1985, aveva svolto il ruolo di liquidatore della stessa per circa 6 anni (1997 -2003), non sarebbe stata fornita alcuna prova dell’entità del danno -conseguenza in concreto addebitatogli.
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la ‘ Violazione dell’art. 311 d.lgs. 152/2006, nonché violazione dell’art. 81 c.p.c. violazione degli artt. 5, 39 c.p.c. e art. 11 preleggi, denunciato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ‘ e si duole del fatto che, nonostante, con il primo motivo di appello avesse impugnato la sentenza del Tribunale per aver questa disatteso (pp. 6-7) l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dal Comune di Bari, la Corte d’Appello, dichiarando di condividere ‘la valutazione del Tribunale, di irrilevanza della modifica normativa sulla legittimazione prevista dalle norme preesistenti, vigenti all’epoca dei fatti’, ha ritenuto che sarebbe ‘vincolante il positivo giudizio sulla legittimazione, espresso dal giudice penale nell’ammettere la costituzione di parte civile del Comune, e a maggior ragione nell’emettere la sentenza di condanna generica passata in giudicato’ (sentenza impugnata, pag. 5) concludendo che ‘una volta formatasi tale preclusione, deve escludersi che la legge che ha ristretto al Ministero dell’Ambiente la legittimazione possa aver privato retroattivamente il Comune di diritti ormai entrati a far parte, quanto
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Est. I. COGNOME meno nell’ an , del suo patrimonio giuridico’ (sentenza impugnata, p.
6). Contesta, infine, quanto ritenuto dalla Corte d’appello secondo cui il Giudice penale ha rinviato al Giudice civile la liquidazione di una condanna, già decisa in via generica. A parere del ricorrente, quindi, la disposta ex lege restrizione della legittimazione ad agire allo Stato, entrata in vigore prima della notifica della citazione, dimostrerebbe una evidente violazione di legge compiuta dalla sentenza impugnata.
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia ‘ Violazione degli artt. 538, 539, 578, 651 e 652 c.p.p., nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 1223 cod. civ. c .p.. Il tutto denunciato in relazione all’art. 360, comma 1, n 3, c.p.c. ‘ ; in particolare, censura la sentenza nella parte in cui ha disatteso il secondo e terzo motivi di appello, affermando correttamente che «effettivamente una condanna generica al risarcimento non dimostri di per sé l’esistenza o l’entità dei danni, che vanno liquidati solo se sussistenti» ma soggiungendo erroneamente che «l’esistenza del giudicato penale e dell’accertamento di responsabilità che esso contiene non può essere contestata» (sentenza impugnata pag. 5); affermando subito dopo che «la dedotta estraneità totale o parziale alla causazione dei danni, invocata da COGNOME, può attenere soltanto al profilo della loro quantificazione» (sentenza impugnata a pag. 5) e ancora che «per voci di danno specificamente dimostrate come quella in esame, l’accertata responsabilità di COGNOME nell’aggravamento del danno non possa essere rimessa in discussione, atteso che le sopra riportate considerazioni del giudice penale di appello impediscono di considerare l’appellante come il responsabile esclusivo o principale dei fatti ma non lo scagionano, tanto da essere contenute in una pronuncia di condanna» (sentenza impugnata, pag. 9); al riguardo, osserva il ricorrente che la condanna penale aveva ad oggetto il ‘danno evento’ costituito dall’aggravamento del cumulo di rifiuti interni al sito della Fibronit sicché nel giudizio civile quel che è
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Est. I. Ambrosi precluso contestare, e quindi quel che l’attore era esonerato dal provare, è il fatto dell’aggravamento dell’inquinamento e la sua generica attitudine a determinare maggiori costi di bonifica; viceversa, in ambito civile, il profilo del c.d. ‘danno conseguenza’, andava dimostrato in tutti i suoi elementi, compreso il nesso di causalità giuridica ex art. 1223 cod. civ., in tale prospettiva ritiene errata l’argomentazione della Corte d’appello secondo cui la asserita estraneità totale o parziale alla causazione dei danni invocata dall’COGNOME, potesse « attenere soltanto al profilo della loro quantificazione’ , mentre si trattava di dimostrare – e la prova doveva darla il Comune – che gli specifici danni oggetto del petitum (danno conseguenza) fossero stati causati nell’ an e nel quantum dalla condotta penalmente accertata (ricorso pag.30). Contesta, infine, che la sentenza impugnata abbia riconosciuto e liquidato un danno ambientale al Comune di Bari, sebbene il danno ambientale fosse stato già riconosciuto in sede penale dalla provvisionale accordata al Ministero dell’Ambiente, con revoca di quella accordata a tutte le altre parti civili, compreso il Comune, non tenendo conto dell’effettività del danno, in quanto del costo della bonifica dell’area ‘ex Fibronit’ si era fatto carico lo Stato, come risulta dalla stessa documentazione dal Comune versata in atti e trascurando di considerare che lo stesso ente locale avesse acquisito la proprietà di quell’area senza (dover) versare indennizzi. A parere del ricorrente , sarebbe stata quindi violata la regola del nesso di causalità, che pure è elemento costitutivo dell’illecito civile, tanto più che , invece, il problema se lo erano posto i Giudici penali, i quali avevano concluso condannando l’Artese a un risarcimento pari al maggior costo della bonifica, mentre il criterio assunto dai giudici di merito nel presente giudizio sarebbe del tutto apodittico, risolvendosi in un’omessa motivazione. Evidenzia il ricorrente che è stata posta a suo carico una provvisionale milionaria a favore del Ministero dell’ ambiente (per l’aggravamento del danno) addirittura pari ad euro 5.000.000,00, ne
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Est. I. COGNOME segue che condannare l’Artese anche al rimborso delle spese di bonifica (messa in sicurezza) sopportate dal Comune di Bari, sia pure al 40%, risulta del tutto illegittimo. In conclusione, la sentenza sarebbe contraria alla regola della causalità, contraria alle norme per cui il danno risarcibile va individuato e provato dal presunto danneggiato (la liquidazione equitativa vale solo a supplire ad una difficoltà di quantificazione non ad un’insufficiente prova del danno) e contraria, infine, al principio del ne bis in idem .
Il primo motivo del ricorso principale si rivela inammissibile.
A fronte del decreto della Corte d’appello in data 22/12/2021 con cui veniva disposta la modalità di trattazione scritta ai sensi dell’art. 221 l. n. 77/2020, salva la richiesta delle parti di trattazione orale ‘da presentare entro cinque giorni dalla comu nicazione del presente provvedimento’ (cfr. alleg. VI parte controricorrente), il ricorrente non ha dato prova di aver presentato la richiesta nei termini a lui indicati dalla Corte (cfr. doc. 7 e 8 alleg. al ricorso da cui risulta soltanto che la richiesta fu formulata, prima, nelle ‘conclusioni’ in data 7/01/2022 e reiterata , dopo, nelle repliche in data 4/04/2022).
Il secondo ed il quarto motivi del ricorso principale che possono essere congiuntamente esaminati stante l’evidente nesso di connessione che li avvince, non sono fondati.
Il ricorrente lamenta, per un verso, il mancato accertamento del danno-conseguenza riferibile alla propria condotta e la contrarietà alla regola della causalità della decisione adottata in quanto il danno imputatogli (nella specie, l’ aggravamento del cumulo di rifiuti interni nel sito industriale della ex industria Fibronit idoneo a determinare maggiori costi di bonifica), di cui l’Ente locale chiede il risarcimento, non sarebbe stato provato e, per l’altro verso, si duole della quantificazione del danno, asseritamente assertiva e apodittica, fissata nella percentuale del 40% del complessivo esborso comunale (la liquidazione equitativa vale solo a supplire ad
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Est. I. COGNOME una difficoltà di quantificazione non a colmare un’insufficiente prova del danno) e contraria, infine, al principio del ne bis in idem .
6.1. Ebbene, la Corte barese, nel riformare parte della condanna risarcitoria inflitta in prime cure all’odierno ricorrente (annullando la condanna dell’importo di Euro 4.869.200,00 per danno all’immagine de ll ‘Ente locale, odierno controricorrente ), ha correttamente affermato che sebbene «una condanna generica al risarcimento non dimostri di per sé l’esistenza o l’entità dei danni, che vanno liquidati solo se sussistenti» tuttavia l’accertamento della responsabilità derivante dal giudicato penale non può essere contestato, sicché la dedotta estraneità totale o parziale alla causazione dei danni invocata da Artese poteva attenere soltanto al profilo della quantificazione dei danni (pag. 5 della sentenza impugnata), essendo emersa la responsabilità di «chi come Artese, a fronte dell’interlocuzione essenzialmente burocratica del Comune contribuì con condotte omissive al solo aggravamento di un danno già consolidato nei decenni in cui no n operava» l’industria (pag. 8 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha ritenuto che l’accertata responsabilità dell’odierno ricorrente nell’aggravamento del danno in ambito penale (sentenza di questa Corte n. 22826/2007 che confermò il giudizio di responsabilità per il reato di discarica abusiva, ne dichiarò la prescrizione e confermò le statuizioni civili) «non potesse essere rimessa in discussione stante che, seppure dalla pronuncia d’appello in sede penale, emergesse che COGNOME non poteva essere considerato come il responsabile esclusivo o principale dei fatti» (ovvero, nella specie, dei decenni di inquinamento e di incuria ambientale nell’area industriale Fibronit), tuttavia il predetto «non si attivò per eliminare, avendone ampi poteri, almeno le situazioni di emergenza per le quali il Comune effettuò la messa in sicurezza provvisoria» risultando responsabile dell’aggravamento del danno, con l’aggiunta di altri rifiuti.
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6.2. Giova altresì rammentare che nell’ipotesi, come quella in argomento, nella quale sia stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, con conferma della condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile, qualora, in sede penale, sia stata pronunciata la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, e la Corte di cassazione, nell’annullare senza rinvio la pronuncia per essere il reato estinto per prescrizione, tenga “ferme le statuizioni civili’ e ritenga di non poter “che disporre la condanna’ dell’imputato ‘al risarcimento dei danni causati alle parti civili, danni che andranno liquidati in separata sede, così come disposto dalla sentenza della Co rte territoriale’ (punto 18 in motivazione sentenza Cass. penale n. 22826/2007), una tale decisione dà luogo alla formazione del giudicato sulla statuizione resa dal giudice penale, a norma dell’art. 578 c.p.p., sulla domanda civile portata nella sede penale, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto (Cass. Sez. 3, 18/10/2024 n. 27055).
Va pure sottolineato che la facoltà del giudice penale di pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno ed alla provvisionale, prevista dall’art. 539 c.p.p., non incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul quantum , bensì trova implicita conferma nei limiti dell’efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del danno fissati dall’art. 651 c.p.p. quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità e all’affermazione che l’imputato l’ha commesso, con la conseguenza che deve escludersi che il giudicato penale si estenda alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall’imputato (Cass. Sez. 3, 07/11/2023 n. 30992).
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6.3. Accertato che l’ importo integrale dell’ esborso, documentato dal Comune e non contestato, per la messa in sicurezza provvisoria del sito ammontasse a € 6.374.422,61, la Corte d’appello ha ritenuto di non condannare (come invece contraddittoriamente deciso dal Tribunale in prime cure) l’Artese al pagamento dell’intero importo suddetto, bensì al pagamento di una percentuale fissata nel 40% e pari a € 2.560.000,00 dell’esborso integrale .
Seppur succinta, l’ argomentazione della Corte di merito al riguardo (pag. 9 della sentenza impugnata) consente di ritenere adeguatamente accertato sia il danno conseguenza lamentato dal Comune danneggiato che percepibile il parametro logico giuridico e temporale che ha condotto alla quantificazione della condanna di Artese nella misura percentuale indicata.
Può concludersi, sul punto, osservando che la decisione in esame si è posta in linea con quanto dettato dalla Direttiva 21 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (2004/35/CE) con cui si è propost o agli Stati Membri dell’Unione europea di far applicare alle legislazioni nazionali la prevenzione e la riparazione del danno ambientale secondo il ripetuto principio «chi inquina paga» (artt.1 e 7, All. II), coerentemente con lo sviluppo sostenibile, sancendo che l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale (cons. 2), dunque privilegiando nettamente l’obiettivo della eliminazione in natura del danno ambientale rispetto alla prospettiva risarcitoria (per equivalente) e fissando una funzionalità altrettanto chiaramente imperniata sulla rilevanza anche giuridica delle attività professionali che presentano un rischio per la salute umana o l’ambiente (cons. 8). Ne deriva così che è l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno a dover di massima sostenere il costo delle
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Est. I. Ambrosi necessarie misure di prevenzione o di riparazione, mentre il costo dell’intervento di supplenza dell’autorità competente andrebbe posto a carico dell’operatore, includendo il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente (cons. 18 e secondo la definizione dell’art.2 co.16); a sua volta, è netta la definizione dell’operatore (art.2 co.6), quale soggetto che esercita o controlla un’attività professionale o al quale sia delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività.
Questa Corte, anche a Sezioni Unite ha da ultimo chiarito che la definitiva armonizzazione della disciplina italiana, recata dal d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 (codice dell’ambiente) , rispetto a quella UE ha ‘ reso esplicito il conseguente principio per cui «non residua alcun danno ambientale economicamente quantificabile e quindi risarcibile – né in forma specifica, né a maggior ragione per equivalente ogniqualvolta, avutasi la riduzione al pristino stato, non persista la necessità di ulteriori misure sul territorio reso oggetto dell’intervento inquinante o danneggiante, soltanto il costo (ovvero il rimborso) delle quali potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti: misure che vanno ora tutte verificate alla stregua della nuova normativa», con l’importante applicazione officiosa e retroattiva ai giudizi pendenti per fatti anteriori proprio della onnicomprensività del nuovo criterio riparatore a superamento di quello per equivalente (conf. Cass. 14935/2016; così anche Cass. 8662/2017 e Cass. 5705/2013 sui criteri di liquidazione del danno) ‘ (Cass. Sez. U, 1/02/2023, n. 3077, punti 11 e 14 in motivazione).
7. Il terzo motivo di ricorso è parimenti infondato.
Questa Corte ha chiarito da tempo che, in tema di risarcimento del danno ambientale, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della l. n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilità della direttiva comunitaria recepita da tale legge, è applicabile l’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo
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Est. I. Ambrosi modificato, da ultimo, dall’art. 25 della legge n. 97 cit., ai sensi del quale resta esclusa la risarcibilità per equivalente, dovendo ora il giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest’ultimo (ovvero il suo rimborso) potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti (tra le altre: Cass. n. 9012/2015; Cass. n. 16806/2015; Cass. n. 14935/2016; Cass. n. 8662/2017; Cass. n. 8468/2019).
A tal riguardo, si è, quindi, precisato che i profondi cambiamenti normativi intervenuti in materia non hanno precluso, in sé, né la legittimazione attiva di un soggetto o ente territoriale diverso dallo Stato e neppure l’ammissibilità di una domanda di risarcimento danno proposta, come in origine previsto, per equivalente, che potrebbe in astratto essere accolta adattandola alle nuove previsioni di legge, con la previsione cioè di quelle misure di riparazione, primaria, complementare e compensativa destinate a tenere luogo, per un effettivo ripristino, del risarcimento per equivalente (Cass. n. 8468/2019, citata).
E’ stato altresì precisato che l’ entrata in vigore della l. n. 97 del 2013 (che, modificando l’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha concentrato la legittimazione attiva in capo al Ministero dell’Ambiente) non fa venir meno la legittimazione dei soggetti o enti territoriali diversi dallo Stato a coltivare i giudizi di risarcimento del danno ambientale precedentemente instaurati, né determina l’inammissibilità della domanda risarcitoria per equivalente che vi sia stata eventualmente proposta, ferma restando la necessità di coordinarne la statuizione di accoglimento con le prescrizioni della nuova disciplina, alla cui stregua il giudice è tenuto ad individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa e a determinarne il costo, il cui rimborso potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti nel caso di omessa o
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Est. I. COGNOME incompleta esecuzione delle stesse(da ultimo, Cass. Sez. 3, 15/03/2024 n. 7073).
La Corte territoriale si è attenuta a tali consolidati principi, che trovano conforto in espressa previsione normativa, affermando che «con riferimento alla messa in sicurezza provvisoria dell’area exFibronit, la domanda del Comune ha riguardato il rimborso di spese già sostenute con i propri fondi, rispetto alle quali un difetto di legittimazione non è neppure ipotizzabile» (pag. 6 della sentenza impugnata); tale argomentazione non è scalfita dagli argomenti addotti a sostegno della censura dal l’odierno ricorrente né con il ricorso né con la memoria difensiva.
Passando all’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale formulato dal Comune di Bari, controricorrente, con cui censura la sentenza impugnata per ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 c.c., nonché degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) ‘ per aver riformato e revocato la condanna per il danno all’immagine dell’Ente locale comminata in prime cure ad Artese, in presenza di specifiche allegazioni, tali da poter consentire al Giudice d’appello di far ricorso alla liquidazione equitativa del danno, anche prendendo in considerazione il diverso importo quantificato nell’Accordo di Programma per la ‘messa in sicurezza permanente’ del sito, oltre a tutti gli altri elementi di prova allegati.
8.1. Il motivo del ricorso incidentale è inammissibile in quanto, nonostante la formale intestazione, attiene, nella sostanza, a profili di fatto e tende a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte d ‘appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467;
CC 13.01.2025
Ric. n. 3138/2023
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
Con particolare riferimento alla pretesa violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., parte ricorrente intenda contestare una erronea ricognizione della fattispecie concreta nella sentenza impugnata, necessariamente mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa (cfr. in ricorso i documenti indicati alle pagg. 28 e 29) e, pertanto, formula una tipica censura diretta a denunciare un vizio di motivazione (insufficienza) non più denunciabile secondo il vigente dettato dell’art. 360 comma 1 n. 5.
La doglianza circa la facoltà della Corte d’appello di far ricorso alla liquidazione equitativa del danno, non tiene conto della ratio decidendi della sentenza impugnata che ha considerato ‘intrinsecamente irrazionale’ l’adozione di un parametro attinente al danno patrimoniale (costi per la messa in sicurezza del sito) per la quantifi cazione del danno all’immagine del Comune e soprattutto ha ritenuto non oggettivamente allegato, né provato il relativo danno.
Il ricorso principale va rigettato, va dichiarato inammissibile quello incidentale.
Stante la reciproca soccombenza, sussistono ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
CC 13.01.2025
Ric. n. 3138/2023
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
Spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione