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Danno ambientale: la Cassazione conferma la condanna

Un’azienda del settore distillati, ritenuta responsabile per l’inquinamento di alcuni corsi d’acqua, ha impugnato in Cassazione la sentenza che la condannava a risarcire il danno ambientale e il danno all’immagine a favore del Comune territorialmente competente. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. Tra i punti salienti, la Corte ha ribadito la legittimazione del Comune ad agire, ha escluso l’efficacia di un precedente giudicato tra parti diverse e ha chiarito che l’appello sul merito della causa riapre la valutazione su tutti gli aspetti, inclusa la quota di responsabilità, che è stata confermata al 70%. La decisione sottolinea l’importanza del ripristino effettivo dell’ambiente e la piena responsabilità dell’inquinatore.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno Ambientale: La Cassazione Conferma la Responsabilità dell’Inquinatore

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una complessa vicenda di danno ambientale, confermando la condanna di un’azienda a risarcire sia i costi di ripristino ambientale sia il danno all’immagine subito da un Comune. La pronuncia offre importanti chiarimenti sulla legittimazione degli enti locali ad agire in giudizio e sui principi che regolano la quantificazione del risarcimento, anche a distanza di decenni dai fatti.

I Fatti del Caso

La controversia trae origine dall’inquinamento di alcuni corsi d’acqua, avvenuto tra il 1991 e il 1992, a causa degli scarichi illeciti di un’importante distilleria. Il Comune, nel cui territorio si erano verificati gli sversamenti, aveva avviato un’azione legale per ottenere il risarcimento del danno.
Dopo un lungo iter processuale, la Corte d’Appello aveva condannato l’azienda, ritenendola responsabile al 70%, a finanziare una serie di misure di riparazione (primarie e compensative) per un valore complessivo di oltre 1,1 milioni di euro. Inoltre, aveva confermato la condanna al pagamento di circa 130.000 euro a titolo di risarcimento per il danno all’immagine e al prestigio dell’ente comunale. L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni di diritto.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi della Cassazione sul Danno Ambientale

L’azienda ricorrente ha basato la sua difesa su sei motivi principali, tutti respinti dalla Suprema Corte.

1. Legittimazione del Comune: Si sosteneva che, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), solo il Ministero dell’Ambiente avesse la facoltà di agire per il danno ambientale. La Cassazione ha rigettato questa tesi, affermando che i cambiamenti normativi non hanno precluso la legittimazione di enti territoriali diversi dallo Stato a tutelare l’ambiente nel proprio territorio.

2. Efficacia di un Precedente Giudicato: L’azienda invocava una precedente sentenza, ottenuta da un’altra amministrazione pubblica, sostenendo che il danno fosse già stato ‘risarcito’. La Corte ha respinto l’argomento, chiarendo che una sentenza non può avere ‘efficacia riflessa’ su soggetti, come il Comune, che non erano parte di quel giudizio. Inoltre, la precedente condanna era per un risarcimento ‘per equivalente’ (monetario), mentre la normativa attuale impone misure di riparazione effettiva.

3. Temporaneità del Danno: L’azienda asseriva che la presunta ‘temporaneità’ degli effetti dell’inquinamento, stabilita in primo grado, fosse un punto ormai definitivo (‘giudicato interno’). La Corte ha spiegato che l’appello sul merito della responsabilità riapre la cognizione del giudice sull’intera questione, inclusa la natura e la persistenza del danno, che la Corte d’Appello ha correttamente valutato come ancora presente e bisognoso di riparazione.

4. Travisamento della Prova: Veniva contestata la valutazione delle prove e la quantificazione della quota di responsabilità al 70%. La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile, ricordando che non può riesaminare nel merito l’apprezzamento dei fatti compiuto dai giudici dei gradi precedenti, se non in caso di errori palesi e decisivi, qui non riscontrati.

5. Liquidazione del Danno all’Immagine: La ricorrente criticava il criterio usato per quantificare il danno non patrimoniale. La Corte ha invece ritenuto adeguata e ben motivata la liquidazione equitativa operata dalla Corte d’Appello, che ha ancorato il danno al ‘notevole nocumento al prestigio istituzionale’ e alla difficoltà dell’amministrazione nel governare il fenomeno.

6. Aumento della Quota di Responsabilità: Infine, si contestava l’aumento della quota di responsabilità dal 65% (primo grado) al 70% (appello), in assenza di un’impugnazione del Comune su quel punto. Anche questo motivo è stato respinto sulla base del principio che l’appello sul quantum e sull’an della responsabilità rimette in discussione l’intera statuizione, non cristallizzando le percentuali decise in primo grado.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su principi consolidati del diritto processuale e ambientale. In primo luogo, l’evoluzione normativa non ha creato un monopolio statale nell’azione per il danno ambientale, ma ha rafforzato gli strumenti di tutela, mantenendo la legittimazione degli enti locali che subiscono un pregiudizio diretto. In secondo luogo, l’appello che contesta la responsabilità nel suo complesso devolve al giudice superiore l’intera materia del contendere, impedendo la formazione di un ‘giudicato interno’ su singoli aspetti come la percentuale di colpa. Infine, la valutazione del danno, sia ambientale che all’immagine, deve essere ancorata a criteri logici e ben esplicitati, come fatto dalla Corte d’Appello, e non può essere messa in discussione in sede di legittimità se non per vizi di motivazione gravi, che in questo caso non sussistevano.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi inquina è tenuto a un ripristino completo e integrale del danno causato, e non può sottrarsi alle proprie responsabilità invocando cavilli procedurali o precedenti decisioni meno afflittive. La sentenza conferma che la tutela dell’ambiente è un valore primario, difendibile anche dagli enti locali che rappresentano le comunità direttamente colpite. Per le imprese, questo si traduce nella necessità di adottare la massima diligenza nella gestione dei processi produttivi, poiché le conseguenze di un illecito ambientale possono essere patrimonialmente molto gravose e protrarsi per decenni.

Un Comune può agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale anche dopo l’introduzione di una normativa che affida tale compito al Ministero dell’Ambiente?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che i cambiamenti normativi, come quelli introdotti dal d.lgs. 152/2006, non hanno precluso la legittimazione attiva di un ente territoriale diverso dallo Stato a chiedere il risarcimento del danno ambientale subito nel proprio territorio.

Una precedente sentenza di risarcimento per lo stesso fatto, ottenuta da un’altra ente pubblico, impedisce al Comune di chiedere a sua volta i danni?
No. La Corte ha stabilito che una sentenza pronunciata tra altre parti non può avere ‘efficacia di giudicato riflesso’ nei confronti di un terzo (il Comune) che non ha partecipato a quel processo. Pertanto, il Comune è pienamente legittimato a portare avanti la propria autonoma azione risarcitoria.

Se in primo grado la responsabilità di un’azienda è fissata al 65% e solo l’azienda fa appello, la Corte d’Appello può aumentare tale quota al 70%?
Sì. Secondo la Cassazione, quando l’appello contesta la responsabilità e la consistenza del danno risarcibile, l’intera questione viene riesaminata dal giudice d’appello. Questo impedisce la formazione di un ‘giudicato interno’ sulla quota di responsabilità fissata in primo grado, che può quindi essere modificata anche in aumento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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