Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3723 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3723 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
sul ricorso n. 4614/202 R.G. proposto da:
COGNOME COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME , pec EMAIL;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME, pec EMAIL, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 327/2019 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 14/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato quanto segue.
Per quanto qui interessa, con sentenza del 29 aprile 2016 il Tribunale di Taranto, decidendo una causa promossa da NOME COGNOME per ottenere condanna risarcitoria nei confronti di NOME COGNOME – amministratore di un condominio in cui l’attore era condomino -, nella quale il convenuto aveva proposto domanda di garanzia nei confronti del condominio stesso e della sua compagnia assicuratrice RAGIONE_SOCIALE e si erano verificati interventi, accoglieva la domanda condannando il convenuto a risarcire all’attore danni non patrimoniali nella misura equitativa di euro 30.000, oltre interessi, per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del COGNOME.
Il COGNOME proponeva appello, cui resistevano il COGNOME, il condominio e uno degli intervenuti, NOME COGNOME.
La C orte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 14 giugno 2019, accoglieva il gravame, rigettando la domanda attorea.
Ha presentato ricorso, articolato in tre motivi, il COGNOME; il COGNOME si è difeso con controricorso.
Considerato quanto segue.
Il primo motivo lamenta nullità del procedimento ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c. in relazione agli articoli 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost., 115 e 116 c.p.c.
1.1 il ricorrente dichiara di ‘affrontare in primis il passaggio motivazionale della sentenza impugnata relativa alla postulata esclusione della condotta diffamante’ che avrebbe tenuto il controricorrente nei suoi confronti. Il giudice d’appello avrebbe afferma to l’insussistenza di condotta illecita quanto alla definizione del
COGNOME COGNOME quale condomino moroso durante l’ assemblea condominiale ‘facendo risalire l’accertamento probatorio alla dichiarazione del teste COGNOME‘ che avrebbe escluso ‘l’evento storico’.
Si riporta allora la deposizione del teste NOME COGNOME per sostenere che la motivazione sarebbe ‘frutto di totale travisamento’ di questa, perché avrebbe ‘capovolto … il dato testuale dell’atto processuale che richiama’. Si argomenta poi che, ‘se è vero che la denuncia di travisamento del fatto … è incompatibile con il giudizio di legittimità perché implica la valutazione di un complesso di circostanze che comportano il rischio di una rivalutazione del fatto non consentita’, qui si sarebbe dinanzi alla diversa ipotesi del travisamento della prova, in cui il giudice di legittimità ‘non è chiamato a valutare la prova, ma ad accertare il travisamento’. Per la decisività della prova travisata, insorgerebbe una ‘crisi irreversibile’ della struttura motivazionale.
1.2 In secondo luogo il ricorrente ravvisa una ‘medesima censura’ riguardo ‘alla lettura del flusso probatorio relativo al contenuto della transazione’ che ha portato il giudice d’appello ad escludere l’illecito contrattuale.
Si riporta il verbale di transazione (ricorso, pagine 810) per sostenere che ‘il dato testuale al patto n.6) riferisce a somme erogate dal condomino e non certo a somme da erogarsi con l’applicazione delle vecchie tabelle’ mentre controparte avrebbe ‘intrapreso azioni monitorie ed esecutive in virtù delle vecchie tabelle pur dopo la sottoscrizione della transazione … e l’approvazione delle nuove’.
Anche in questo caso sussisterebbe vizio di motivazione in relazione agli articoli 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost., 115 e 116 c.p.c. perché ‘le argomentazioni utilizzate per sorreggere la decisione sono del tutto avulse dall’atto richiamato’, cioè dalla transazione.
Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., 2056 e 1226 c.c., 2056 c.c. e 185 c.p.
Esclude il giudice d’appello la risarcibilità del danno all’immagine del ricorrente per difetto di prova, neppure presuntiva, di danno non patrimoniale subito.
Si oppone, rimandando alla deposizione del teste NOME COGNOME, che la condanna diffamatoria del controricorrente avrebbe costituito reato, la cui consumazione è sufficiente a giustificare il risarcimento equitativo per il combinato disposto degli articoli 2059 c.c. e 185 c.p. e per la ‘prova riguardo alla reputazione del soggetto danneggiato’. La giurisprudenza di legittimità ha d’altronde affermato la utilizzabilità della pro va presuntiva per dimostrare l’esistenza del danno non patrimoniale; e nel c aso de quo il ricorrente avrebbe addotto e documentato, senza contestazioni, di essere docente universitario e ingegnere libero professionista e di avere progettato lo stesso edificio della Corte d’appello di Taranto.
Il terzo motivo sostiene la nullità della sentenza ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c. per il vizio del ragionamento presuntivo ai sensi degli articoli 116 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. in relazione agli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c.
Sempre a proposito del precedente motivo, si argomenta che sussisterebbe vizio del ragionamento presuntivo con una motivazione ‘totalmente carente e/o apparente. Per dimostrarlo si trascrive (pagg. 14-16) un ampio stralcio della motivazione di Cass. 17457/2007.
Riguardo al primo motivo si deve rilevare che il giudice d’appello ha utilizzato come ragione più liquida ciò che ha definito difetto di prova del danno all’immagine -che avrebbe subito l’attuale ricorrente (motivazione della sentenza, pagine 9-10), dichiarando così assorbiti tutti gli altri motivi del gravame (pagina 10: ‘Ogni altro motivo resta assorbito’) , pur subito proseguendo – a questo punto però, evidentemente, ad abundantiam , anche se l’ incipit è ‘vale la pena in ogni caso di osservare…’ – con alcuni ulteriori rilievi sugli esiti delle prove. Tra queste vi sono la transazione (pagina 10-11) e la testimonianza NOME (pagine 11-12).
È evidente, dunque, che il primo motivo non è fondato su interesse alcuno, in quanto la ratio decidendi non risiede in quelle prove di cui sostiene il travisamento , relative all’ an dell’illecito, bensì sull’asse rto del difetto di prova del quantum del danno, per cui risulta inammissibile (sulla inammissibilità del motivo nel ricorso per cassazione avente ad oggetto un’argomentazione presente ad abundantiam nella motivazione della sentenza impugnata si vedano, per esempio, Cass., ord. 18429/2022, Cass., ord. 8755/2018 e Cass., 23635/2010).
Il secondo motivo espressamente si orienta sull’avere il giudice d’appello ritenuto assente una ‘prova neanche presuntiva del danno non patrimoniale’, e precisamente del danno all’immagine.
Si tratta, però, in ultima analisi, di una valutazione alternativa di fatto sulla valenza, quale prova presuntiva, di alcuni elementi che lo stesso ricorrente aveva apportato (la sua qualità di docente, di libero professionista, di autore del progetto della corte territoriale).
Ne deriva pertanto l’ inammissibilità.
Anche il terzo motivo non ha consistenza, in quanto, sulla base di un ampio stralcio di Cass. 17457/2007, censura la motivazione del giudice d’appello. Lo stralcio, tuttavia, non è idoneo a concretizzare la censura avverso la sentenza, censura che invece assume la veste di un mero asserto, affetto anche di un’evidente genericità.
In conclusione, tutto il ricorso risulta inammissibile. Il ricorrente deve pertanto, in ragione della sua soccombenza, rifondere al controricorrente le spese, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 3.000 , oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2023