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Danno all’immagine: prova e risarcimento in Cassazione

Un condomino ha citato in giudizio l’amministratore per danno all’immagine. Dopo una vittoria in primo grado, la Corte d’Appello ha riformato la decisione per mancanza di prova sull’entità del danno. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del condomino, sottolineando che la motivazione principale della sentenza d’appello era la mancata prova del ‘quantum’ del danno e che non è possibile impugnare argomentazioni superflue (ad abundantiam) del giudice.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno all’Immagine: Quando la Prova del Danno è Insufficiente? L’Analisi della Cassazione

Il risarcimento per il danno all’immagine è un tema delicato che richiede una prova rigorosa non solo della condotta lesiva, ma anche dell’effettivo pregiudizio subito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 3723/2024, offre importanti chiarimenti sui requisiti probatori necessari per ottenere un risarcimento e sui limiti dell’impugnazione in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda una controversia tra un condomino e il suo amministratore, accusato di aver leso la reputazione del primo definendolo “moroso”.

I Fatti di Causa: dalla condanna in primo grado al ribaltamento in appello

Un condomino avviava una causa contro l’amministratore del proprio stabile per ottenere un risarcimento per i danni non patrimoniali, in particolare per il danno all’immagine, che riteneva di aver subito. In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda, condannando l’amministratore a un risarcimento di 30.000 euro.

La situazione si ribaltava completamente in secondo grado. La Corte d’Appello, riformando la sentenza, rigettava la domanda del condomino. La ragione fondamentale del rigetto non risiedeva nella negazione della condotta dell’amministratore, ma nella constatazione di un “difetto di prova del danno all’immagine” che il condomino avrebbe subito. In altre parole, il giudice d’appello riteneva che non fosse stato dimostrato l’effettivo pregiudizio e la sua entità.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro la decisione della Corte d’Appello, il condomino proponeva ricorso per Cassazione articolato in tre motivi principali, lamentando errori procedurali e di diritto.

La presunta errata valutazione delle prove

Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse completamente travisato le prove, in particolare una testimonianza e il contenuto di un accordo transattivo, che a suo dire avrebbero confermato la condotta illecita dell’amministratore.

La violazione delle norme sulla prova del danno all’immagine

Il secondo motivo si concentrava sulla violazione delle norme relative all’onere della prova (art. 2697 c.c.) e alla prova presuntiva (art. 2727 e 2729 c.c.). Il ricorrente affermava che la sua reputazione, in quanto docente universitario e ingegnere, avrebbe dovuto essere considerata come un fatto noto da cui presumere l’esistenza di un grave danno all’immagine a seguito delle accuse.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile, confermando di fatto la sentenza della Corte d’Appello. Le argomentazioni della Suprema Corte sono cruciali per comprendere i limiti del giudizio di legittimità.

La distinzione tra ratio decidendi e argomentazioni ad abundantiam

Il punto centrale della decisione è la distinzione tra la ratio decidendi (la ragione fondante della decisione) e le argomentazioni ad abundantiam (ragionamenti aggiuntivi e non essenziali). La Cassazione ha chiarito che la vera ratio decidendi della sentenza d’appello era la mancanza di prova sul quantum del danno, cioè sulla sua effettiva entità. Le considerazioni della Corte d’Appello sulle prove testimoniali e documentali, contestate dal ricorrente, erano state fatte solo ad abundantiam e non costituivano il pilastro della decisione. Di conseguenza, un motivo di ricorso che attacca un’argomentazione superflua è inammissibile perché, anche se fosse accolto, non farebbe crollare la decisione principale.

L’inammissibilità della rivalutazione del merito

Per quanto riguarda il secondo e il terzo motivo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Chiedere alla Suprema Corte di valutare se la qualità di docente e professionista fosse sufficiente come prova presuntiva del danno equivale a chiedere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il ricorso, su questo punto, si è risolto in una richiesta di riesame del merito, mascherata da denuncia di violazione di legge.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su consolidati principi procedurali. Il primo motivo è stato respinto perché la ratio decidendi della sentenza impugnata non risiedeva nelle prove che il ricorrente riteneva travisate, ma nell’assenza di prova del quantum del danno. Pertanto, il ricorrente non aveva alcun interesse a contestare argomentazioni non decisive. Il secondo e terzo motivo sono stati giudicati inammissibili perché, sotto la veste di una violazione di legge, miravano a ottenere una rivalutazione alternativa dei fatti e della valenza della prova presuntiva, compito che esula dalle competenze della Corte di Cassazione.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 3723/2024 ribadisce due lezioni fondamentali. In primo luogo, in una causa per risarcimento del danno all’immagine, non è sufficiente provare la condotta potenzialmente lesiva; è indispensabile fornire al giudice elementi, anche presuntivi, per quantificare l’effettivo pregiudizio subito. In secondo luogo, il ricorso per Cassazione deve colpire il cuore della decisione impugnata, la sua ratio decidendi, e non può limitarsi a contestare argomentazioni marginali o a sollecitare un nuovo giudizio sui fatti. La mancata osservanza di questi principi porta, come nel caso di specie, a una declaratoria di inammissibilità.

È sufficiente dimostrare un’azione diffamatoria per ottenere un risarcimento del danno all’immagine?
No. Secondo la decisione analizzata, non basta provare la condotta illecita. La Corte d’Appello ha respinto la domanda perché non era stata fornita la prova, neanche presuntiva, del quantum, cioè dell’effettiva entità del danno non patrimoniale subito dalla persona offesa.

Si può contestare in Cassazione un’argomentazione della sentenza d’appello che è ‘ad abundantiam’ (cioè, non essenziale alla decisione)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il motivo di ricorso è inammissibile se si rivolge contro un’argomentazione ad abundantiam. Questo perché la vera ragione della decisione (ratio decidendi) risiede altrove e, anche se l’argomentazione superflua venisse annullata, la decisione principale rimarrebbe valida.

Può la Corte di Cassazione rivalutare le prove, come la qualifica professionale del danneggiato, per stabilire l’esistenza di un danno?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che la valutazione della valenza probatoria degli elementi di fatto (come la qualità di docente o professionista del ricorrente) è una valutazione di merito che spetta ai giudici dei gradi precedenti. Non può essere oggetto di una nuova analisi in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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