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Danni fauna selvatica: prova e ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’autofficina contro un ente regionale per danni da fauna selvatica. La decisione sottolinea che, se la richiesta di risarcimento si fonda sull’art. 2043 c.c., è indispensabile fornire prova della colpa specifica dell’ente. L’errata impostazione giuridica del ricorso, focalizzata su una valutazione dei fatti piuttosto che su vizi di legittimità, ne ha determinato il rigetto.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danni da Fauna Selvatica: la Cassazione sull’Onere della Prova

L’annosa questione dei danni da fauna selvatica torna al vaglio della Corte di Cassazione, che con una recente ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di onere della prova. Il caso esaminato offre spunti cruciali per comprendere come impostare correttamente una richiesta di risarcimento contro la Pubblica Amministrazione, evidenziando come la scelta del fondamento giuridico della domanda sia determinante per l’esito della lite.

I Fatti di Causa

Una società di autoriparazioni agiva in giudizio contro un Ente Regionale per ottenere il pagamento dei costi di riparazione di un’autovettura. Il veicolo era stato danneggiato a seguito di una collisione con un cinghiale avvenuta su una strada statale. La carrozzeria, divenuta cessionaria del credito del proprietario del veicolo, aveva avviato un’azione legale dopo che l’Ente aveva negato la propria responsabilità.

L’iter Giudiziario: dal Giudice di Pace alla Cassazione

In primo grado, il Giudice di Pace accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo una responsabilità del 60% in capo all’Ente Regionale. Tuttavia, la decisione veniva completamente ribaltata in appello. Il Tribunale, accogliendo l’impugnazione dell’Ente, rigettava la richiesta dell’autofficina. La motivazione del giudice d’appello si basava sull’articolo 2043 del codice civile, relativo alla responsabilità per fatto illecito, ritenendo che la carrozzeria non avesse fornito una prova adeguata della colpa specifica dell’Ente (ad esempio, la mancata adozione di misure idonee a prevenire l’attraversamento di animali selvatici).

L’autofficina decideva quindi di ricorrere in Cassazione, contestando l’errata valutazione delle prove e l’errata applicazione della normativa.

La Prova nei Danni da Fauna Selvatica

Il ricorso per cassazione si è incentrato interamente sulla presunta violazione dell’articolo 2043 c.c. La società ricorrente ha lamentato che il Tribunale avesse erroneamente escluso la colpa dell’Ente Regionale. Secondo la Cassazione, tuttavia, il motivo di ricorso si risolveva in una critica di carattere puramente fattuale, cercando di ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno spiegato che l’impugnazione si muoveva esclusivamente nell’orbita dell’art. 2043 c.c., che richiede una prova rigorosa della colpa del danneggiante. La sentenza d’appello aveva fondato la sua decisione proprio sulla mancanza di tale prova, e il ricorso non era riuscito a scalfire validamente questo impianto motivazionale.

È interessante notare come la stessa Corte menzioni un recente orientamento giurisprudenziale che tende ad applicare, in casi di danni da fauna selvatica, l’articolo 2052 c.c. (responsabilità per danni cagionati da animali). Questo articolo prevede una forma di responsabilità oggettiva, che agevola notevolmente il danneggiato sul piano probatorio. Tuttavia, poiché il ricorso era stato impostato unicamente sull’art. 2043 c.c., la Corte non ha potuto esaminare la questione sotto questa diversa luce. L’impostazione giuridica scelta dalla parte ricorrente si è rivelata, quindi, fatale.

Inoltre, la Corte ha giudicato irrilevante il richiamo a normative regionali che prevedono forme di indennizzo, in quanto tale argomento costituiva una causa petendi (una base giuridica della domanda) nuova, introdotta per la prima volta in Cassazione e quindi inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito sull’importanza della corretta impostazione giuridica di una causa per danni da fauna selvatica. La decisione di fondare la domanda sull’art. 2043 c.c. impone al danneggiato un onere della prova particolarmente gravoso: non basta dimostrare l’incidente, ma è necessario provare una colpa specifica dell’ente preposto alla gestione della fauna (es. omissione di segnaletica adeguata in un’area ad alta densità di animali, mancata adozione di misure di contenimento, ecc.). La più recente giurisprudenza, orientata verso l’art. 2052 c.c., offre una via potenzialmente più agevole, ma è essenziale che la domanda sia fin dall’inizio basata su tale norma. La scelta strategica dell’avvocato, fin dal primo atto, si conferma decisiva per le sorti del giudizio.

Perché il ricorso dell’autofficina è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, essendo basato sull’art. 2043 c.c., non ha validamente contestato la motivazione della sentenza d’appello, la quale aveva rigettato la domanda per mancata prova della colpa specifica dell’Ente Regionale. Il ricorso si limitava a una richiesta di riesame dei fatti, non consentita in Cassazione.

Quale articolo del codice civile è più indicato per i danni da fauna selvatica secondo la giurisprudenza più recente?
La Corte di Cassazione, pur non potendolo applicare al caso di specie, menziona che la giurisprudenza più recente si sta orientando verso l’applicazione dell’art. 2052 c.c. (danno cagionato da animali), che prevede un regime di responsabilità più gravoso per l’ente e più favorevole per il danneggiato sotto il profilo probatorio.

È possibile cambiare il fondamento giuridico della propria richiesta nel corso del processo, ad esempio in Cassazione?
No. La Corte ha chiarito che introdurre per la prima volta in sede di Cassazione un nuovo fondamento giuridico per la domanda (una nuova causa petendi), come il riferimento a leggi regionali sull’indennizzo, è inammissibile perché altera l’oggetto del contendere definito nei gradi di merito precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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