Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26055 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26055 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/09/2025
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 29471 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO
rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nei confronti di
REGIONE MARCHE (C.F.: 80008630420), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: TARGA_VEICOLO CODICE_FISCALE) e NOME COGNOMEC.F.: STT
CLM CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza del Tribunale di Macerata n. 551/2022, pubblicata in data 1° giugno 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
19 settembre 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti della Regione Marche per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla sua autovettura a seguito della collisione con un animale selvatico (tasso), avvenuta sulla strada INDIRIZZO. La domanda è stata accolta dal Giudice di Pace di Macerata.
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE NOME COGNOME
Ad. 19/09/2025 C.C.
R.G. n. 29471/2022
Rep.
Il Tribunale di Macerata, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece rigettata.
Ricorre il COGNOME, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la Regione Marche.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c., chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione degli Artt. 2052, 2697 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’ art. 360, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale ritenuto non raggiunta la prova del danno subito dal ricorrente, benché agli atti vi fossero documenti decisivi ed incontrovertibili, idonei a ritenere raggiunta la prova e, conseguentemente, dimostrata la responsabilità della Region e Marche ai sensi dell’art. 2052 c.c. ».
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
1.1 Il giudice di appello ha rigettato la domanda ritenendo assorbente, quale ragione più liquida, l’insufficienza della prova dei danni che l’attore assume di avere subito in conseguenza dell’incidente, e ciò: a) sia con riguardo alla « prova delle conseguenze dannose -invero neppure dettagliatamente descritte dall’attore nel suo atto di citazione ascrivibili all’urto dell’animale selvatico con il veicolo », avendo ritenuto insufficienti, al fine di individuare le conseguenze dannose subite dal veicolo a seguito del dedotto scontro con l’animale e la relativa quantificazione del danno, dei meri preventivi di spesa forniti da ditte
di riparazione (sebbene, almeno in parte, confermati dai loro autori, sentiti come testimoni); b) sia con riguardo alla « effettiva derivazione dei danni indicati nel preventivo, rispetto al sinistro del quale è causa », anche per la mancanza di un idoneo riscontro dell’effettivo stato del veicolo anteriormente e subito dopo l’incidente.
1.2 Tanto chiarito, va premesso che, nella specie, il principio della ragione più liquida (sul quale, da ultimo, cfr.: Cass., Sez. U, Sentenza n. 24172 del 29/08/2025) non può ritenersi, di per sé, erroneamente applicato dal tribunale, come sostenuto nella requisitoria del pubblico ministero (senza che, in verità, la questione sia direttamente e specificamente posta dalla parte ricorrente).
L’ufficio della procura fonda, in realtà, le sue argomentazioni (come in definitiva il ricorrente) essenzialmente sull’assunto dell’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui esclude la sussistenza della prova del danno o, addirittura, nella pretesa mancanza di un’effettiva e logica motivazione in punto di valutazione del compendio probatorio, in proposito.
Ma ciò conferma, sul piano logico e giuridico, che la mancanza di prova del danno dedotto da parte attrice -e di cui quest’ultima chiede il risarcimento -risulta effettivamente questione di merito decisiva ed assorbente di ogni altra, ai fini dell’esito del giudizio, il che giustifica l’applicazione del cd. criterio della ragione più liquida.
1.3 Per analoghe ragioni risultano inammissibili, in quanto non rilevanti ai fini dell’esito del giudizio e, per altro profilo, non coerenti con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata -le questioni formulate con il motivo di ricorso in esame relativamente all’inquadramento giuridico della fattispecie nell’ambito delle previsioni di cui all’art. 2052 c.c. o all’art. 2043 c.c.: dal momento che, come già visto, la causa è stata decisa sulla base dell’applicazione del cd. criterio della ragione più liquida,
per difetto di sufficiente prova del danno, non potrebbe assumere alcun concreto rilievo il criterio di imputazione della responsabilità in astratto applicabile, essendo in ogni caso necessaria la prova del danno.
1.4 Passando all’esame delle ulteriori censure formulate con il motivo di ricorso in esame, il ricorrente assume che le prove fornite avrebbero dovuto ritenersi sufficienti a documentare i danni derivati al suo veicolo a seguito dell’incidente con l’animale selvatico e a consentire la liquidazione degli stessi.
Deduce, in proposito, una pretesa violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.
1.4.1 Orbene, innanzi tutto, le suddette censure non risultano effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020: « in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria, come, ad esempio, valore di prova legale, oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »)
1.4.2 In ogni caso, la decisione impugnata, per quanto riguarda la valutazione della prova del danno dedotto, risulta sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non censurabile nella presente sede.
Il ricorrente, nella sostanza, richiede una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
1.4.3 Neanche possono ritenersi ammissibili le censure relative ad una pretesa non contestazione dei suddetti danni da parte dell’ente convenuto, sia perché il ricorso non risulta, sul punto, sufficientemente specifico, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., sia perché, comunque, dal contenuto delle difese della Regione Marche richiamate nel ricorso, risulta che l’indicata contestazione era stata avanzata ed anche in modo sufficientemente specifico.
1.4.4 Infine, poiché la prova del danno va certamente fornita dal danneggiato, quale fatto costitutivo del suo diritto al risarcimento, anche sotto tale profilo risulta manifestamente infondata la censura di violazione dell’art. 2697 c.c.
Con il secondo motivo si denunzia « nullità della sentenza per errore di percezione in relazione all’ art. 360, n. 4, c.p.c. e contestuale violazione dell’ art. 115 c.p.c. poiché il Tribunale, pur disponendo di tutti gli elementi di prova finalizzati ad accertare la sussistenza e la consistenza del danno patito dal ricorrente, ha travisato completamente gli stessi, percependo circostanze in essi non ravvisabili, sì da concludere per il rigetto della domanda risarcitoria promossa nei confronti della Regione Marche ».
Con il terzo motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avendo omesso il Giudice di appello di esaminare gli elementi probatori presentati dal ricorrente, controversi fra le parti, decisivi ai fini del giudizio ».
Il secondo ed il terzo motivo sono logicamente e giuridicamente connessi e, pertanto, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe del tutto travisato il significato e le oggettive emergenze delle prove acquisite.
Ma, in senso contrario, è sufficiente osservare che deve certamente escludersi la sussistenza di una ipotesi di cd. travisamento delle prove, tale da costituire violazione dell’art. 115 c.p.c.: non è, infatti, dedotta dal ricorrente una svista concernente il fatto probatorio in sé, contestandosi, al più, il processo di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, peraltro al di fuori dei presupposti di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5, c.p .c. (cfr., in proposito, Cass., Sez. U, Sentenza n. 5792 del 5/03/2024).
In definitiva, anche le censure formulate con i motivi di ricorso in esame finiscono per risolversi nella contestazione di insindacabili accertamenti di fatto operati dal giudice del merito sulla base di adeguata motivazione, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.
3. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente,
liquidandole in complessivi € 1.800,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 19 settembre 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME