Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17961 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17961 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30958-2020 proposto da:
Adunanza camerale
NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso gli indirizzi di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso gli indirizzi di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
Oggetto
RESPONSABILITÀ CIVILE COGNOME
Danni da fauna selvatica – Azione esperita ex art. 2043 c.c. Riqualificazione in sede di legittimità ai sensi dell’art. 2052 c.c. – Limiti
R.G.N. 30958/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 12/2/2025
– controricorrente –
nonché contro
PROVINCIA DI VERCELLI, in persona del Dirigente dell’Area Segreteria e Affari Generali, Dott. NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso gli indirizzi di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro
NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso gli indirizzi di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente al ricorso incidentale –
Avverso la sentenza n. 129/2020, del Tribunale di Vercelli, depositata in data 25/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 12/2/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 129/20, del 25 febbraio 2020, del Tribunale di Vercelli, che -accogliendo i gravami esperiti, in via di principalità dalla Provincia di Vercelli, nonché in via incidentale dalla Regione Piemonte, avverso la sentenza n. 278/18, del 16 ottobre 2018, del Giudice di pace della stessa città -ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla COGNOME, avverso i due predetti
enti, in relazione ai danni dalla medesima lamentati, cagionati da fauna selvatica.
Riferisce, in punto di fatto, l’odiern a ricorrente che, in data 17 marzo 2015, la propria autovettura -mentre percorreva, sotto la conduzione di terzi, la strada provinciale n. 77 -riportava danni a seguito dell’impatto contro un capriolo, improvvisamente immessosi sulla sede stradale, tanto che la riparazione del veicolo richiedeva una spesa di € 2.815,42.
Per conseguire il ristoro del danno materiale subito, la Tura adiva l’autorità giudiziaria, ascrivendo la responsabilità dell’accaduto sia alla Provincia di Vercelli che alla Regione Piemonte. Alla Provincia, infatti, addebitava l’omessa adozione delle misure di prevenzione sia diretta -uso di repellenti chimici olfattivi e installazione di recinzioni anche elettrificate -che indiretta (per apposizione di segnaletica, avvenuta in violazione degli obblighi previsti dal codice della strada), le une come le altre specificamente individuate dal piano faunistico venatorio come idonee a mitigare l’incidenza della sinistrosità con fauna ungulata nella zona teatro del sinistro. Alla Regione, invece, si contestava tanto ‘l’omessa vigilanza sull’operato dell’ente provinciale delegato in materia, nonché l’omessa attivazione sostitutiva in luogo della Provincia inerte ‘ .
2.1. Gli enti convenuti si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda ed eccependo, entrambi , l’assenza di legittimazione in capo a sé stessi, sostenendo, reciprocamente, la legittimazione dell’altro ente convenuto. La Provincia, inoltre, eccepiva sia il difetto di titolarità di obblighi di intervento diretti all’apprestamento di misure di prevenzione con riferimento al piano faunistico, sia la presenza di un segnale di pericolo posto oltre tre chilometri prima del punto in cui avvenne lo scontro,
assumendo, pertanto, l’avvenuto assolvimento di ogni suo obbligo in materia. La Regione, per parte propria, assumeva l’applicabilità dell’art. 2054 cod. civ., in ragione del concorso colposo del conducente del veicolo nella causazione del danno, del quale contestava pure la quantificazione.
A fronte di tali eccezioni e difese l’allora attrice, in particolare a confutazione di quelle della Provincia, precisava come l’obbligo di attivazione della stessa traesse origine dal Piano faunistico provinciale 2012-2017, attuativo di quello regionale. In merito, poi, alla segnaletica stradale, ne ribadiva la non conformità alle prescrizioni del codice della strada, richiamando, in particolare, l’art. 39 dello stesso, che impone l’installazione del segnale di pericolo, di norma, ad una distanza di 150 metri dal punto di inizio del pericolo segnalato. Richiamava, altresì, l’art. 84 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, in forza del quale, allorché non sia possibile rispettare la distanza dal pericolo, il segnale deve essere integrato da un pannello -che assumeva mancante, nel tratto di strada ove avvenne il sinistro -indicante l’effettiva distanza dal pericolo stesso. Sottolineava, infine, che ai sensi della medesima disposizione i segnali di pericolo debbono essere accompagnati dal pannello integrativa ‘ESTESA’ (anch’esso assente ‘ in loco ‘), indicante la lunghezza del tratto stradale pericoloso, da ripetersi dopo ogni intersezione, per un’estensione massima di 3 chilometri, oltre la quale -adempimento, nella specie, anch’esso omesso -il segnale di pericolo è da ripetere.
Il giudice di prime cure accoglieva la domanda risarcitoria, dichiarando le convenute responsabili, in solido tra loro, del sinistro in oggetto, ‘in quanto provocato da un capriolo soggetto alla loro tutela’. In particolare, veniva ritenuto dimostrato il n esso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso, nonché fornita la prova della condotta colposa ascrivibile alle convenute, condannate ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., in qualità di enti ai
quali erano stati in concreto affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata.
2.2. Esperito gravame, in via di principalità, dalla Provincia, nonché in via incidentale dalla Regione, il giudice di seconde cure -respinto il motivo, oggetto di entrambi i mezzi, con il quale le appellanti ribadivano il proprio difetto di legittimazione -accoglieva, nel merito, entrambi gli appelli.
A tale conclusione il Tribunale di Vercelli perveniva sulla base dell’esistenza -a suo dire -di un ‘consolidato orientamento interpretativo’, secondo cui ‘la responsabilità extracontrattuale per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente’ (sia esso Regione, Provincia, Ente Par co, Federazione o Associazione, etc.) cui ‘siano stati concretamente affidati, nel caso singolo, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che t rovino la fonte in una delega o concessione di altro ente’, aggiungendo, altresì che, in quest’ultimo caso, ‘l’ente delegato o concessionario potrà considerarsi responsabile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. per i suddetti danni a condizione che gli sia stata conferita in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente’. Su tali basi il giudice d’appello riteneva che, nel caso di specie, la custodia e vigilanza del tratto di strada, luogo dell’incidente , spettasse alla Provincia, poiché la normativa regionale del Piemonte aveva riservato alle Province le funzioni amministrative gestionali in materia di caccia e di protezione della fauna. Puntualizzava, altresì, che ‘il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 cod. civ. anche in tema dell’onere della
prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento ascrivibile all’ente pubblico’.
Sulla base di tale premessa, il giudice di secondo grado ha ritenuto non fornita dall’attrice la prova di un concreto comportamento colposo da parte dell’ente provinciale, esentandola, pertanto, dalla responsabilità dell’accaduto.
Avverso la sentenza la sentenza del Tribunale vercellese ha proposto ricorso per cassazione la Tura, sulla base -come già detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per avere la sentenza impugnata escluso la responsabilità della Regione Piemonte, quale ente obbligato al risarcimento danni per i sinistri stradali con fauna ungulata, sul rilievo dei poteri essenzialmente normativi ad essa spettanti e della delega di funzioni alla Provincia di Vercelli, in forza della legge regionale 25 novembre 1996, n. 79.
Richiama, al riguardo, la ricorrente i più recenti precedenti di questa Corte, secondo cui la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 cod. civ. trova applicazione, a carico delle Regioni, nelle fattispecie in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica. Esito al quale questa Corte è pervenuta sul rilievo -osserva il ricorrente -che è ‘proprio la legge n. 157 del 1992’ a stabilire che ‘il diritto di proprietà sulle specie animali viventi in stato di naturale libertà nel territorio nazionale’ fa capo allo Stato, o meglio, per esso, alle Regioni, titolari di poteri non solo normativi in materia di fauna selvatica.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, ‘comma 6’ ( sic .), n. 4), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 115, 329 e 132,
comma 2, n. 4), cod. proc. civ., per avere il Tribunale di Vercelli reso una motivazione apparente ‘in relazione all’allegata carenza di contestazione avversaria in merito all’omessa attuazione del piano faunistico venatorio con riguardo alle misure di prevenzione diretta’.
Assume la ricorrente di aver individuato quali fatti costituitivi della responsabilità, quanto alla Provincia di Vercelli, l’omessa adozione di misure di prevenzione non solo indiretta (segnaletica stradale), ma anche diretta, specificamente individuate nel piano faunistico venatorio come idonee a mitigare l’incidenza della sinistrosità con fauna ungu lata nella zona luogo dell’incidente, nonché, quanto alla Regione Piemonte, l’omessa vigilanza sull’operato dell’ente provinciale e il mancato esercizio dei po teri sostitutivi. Quanto, poi, al profilo soggettivo della colpa, la ricorrente evidenzia di aver dedotto e documentato come proprio in relazione alla strada provinciale 77, all’altezza dello svincolo con Cellio (ovvero, il luogo teatro del sinistro), ‘si siano localizzati il maggior numero di incidenti con coinvolgimento di caprioli’.
A fronte di tali puntuali deduzioni, si assume, gli enti convenuti non hanno contestato i fatti storici allegati da essa Tura, né con riguardo all’approvazione del Piano faunistico -venatorio e alla sua raggiunta esecutività, né con riguardo alla mancata esecuzione dello stesso, né si sono offerte di provare l’intervenuta attuazione del medesimo; parimenti, esse neppure ‘hanno disconosciuto o altrimenti contestato i documenti prodotti a prova di quanto allegato’.
Inoltre, poiché il giudice di prime cure aveva individuato nella Regione l’ente responsabile della fauna selvatica indipendentemente da eventuali compiti amministrativi delegati alla Provincia, statuendo, altresì, a carico di quest’ultima il dovere di attuare la disciplina regionale in materia di fauna selvatica e di dare esecuzione al piano faunistico-venatorio approvato dalla
giunta regionale, la circostanza che l’indagine di prime cure fosse stata ‘circoscritta alla sola questione del posizionamento della segnaletica stradale, non esimeva le controparti dall’impugnare tale precisa statuizione’, e ciò al fine di confutare l’imp utabilità ad esse del dovere specifico di attuazione del PFV anche con riguardo alle misure di prevenzione diretta.
Del tutto apparente, quindi, sarebbe la motivazione del giudice d’appello, allorché afferma non essere fondata l’asserzione dell’allora appellata in merito all’assenza di contestazione, ex art. 115 cod. proc. civ., in ordine alle allegazioni di essa Tura ‘circa l’omessa esecuzione del piano faunistico da parte della Provincia, l’omessa vigilanza da parte della Regione sull’operato della Provincia e l’omessa attivazione sostitutiva’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione dell’art 84 del d.P.R. n. 495 del 1992 e dell’art. 12 delle preleggi, per avere il Tribunale attribuito alla prima di tali norme ‘un significato difforme da que llo emergente dall’applicazione dei criteri interpretativi di legg e ‘, nonché ‘offerto motivazione apparente in merito alla sussunzione del caso nell’ipotesi del comma 6 anziché 5’ del suddetto art. 84, oltre che ‘motivazione contraddittoria ed illogica con riguardo al nesso causale tra la condotta di apposizione della segnaletica e fattoevento di danno nel caso concreto’.
Si censura, innanzitutto, la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha riformato la decisione del primo giudice, secondo cui i segnali di pericolo non risultavano installati secondo la previsione dell’art. 84, comma 5, del d.P.R. n. 495 del 1992, non e ssendosi provveduto né all’apposizione di un pannello integrativo, recante la scritta ‘ESTESA’ ed indicante la lunghezza del tratto pericoloso, né alla ripetizione del segnale stesso, una volta superata la distanza di 3 km.
Secondo il giudice d’appello la norma suddetta è relativa al solo caso di un pericolo esteso su un tratto di strada di lunghezza definita, mentre, nel presente giudizio, ricorre la diversa ipotesi prevista dal successivo comma 6 del medesimo art. 84, ovvero quella in cui il tratto di strada interessato dal pericolo segnalato non è chiaramente individuabile, ipotesi per la quale non è prescritta la ripetizione del segnale, ma solta nto l’apposizione di un pannello recante la parola ‘fine’.
Sostiene la ricorrente che tale interpretazione, secondo cui commi 5 e 6 dell’art. 84 del d.P.R. n. 495 del 1992, disciplinerebbero ipotesi tra loro alternative (sicché l’obbligo di ripetizione del segnale, ogni 3 km., sussisterebbe solo per i tratti di strada pericolosi aventi lunghezza definita), sarebbe contraria allo scopo perseguito dal codice della strada, oltre che in contrasto coi canoni interpretativi di cui all’art. 12 delle preleggi. Infatti, se l’utente della strada deve essere avvertito dell’in izio del pericolo, e della sua permanenza ogni 3 km., proprio allorché la fine del pericolo sia nota fin dal principio, a maggior ragione l’avvertimento della permanenza del pericolo dovrà essere rinnovato nei tratti di strada in cui la fine del pericolo non sia nota in partenza, perché, in questo caso, l’utente stradale che si appresta ad attraversare il tratto, non sapendo dove il pericolo avrà fine, è potenzialmente esposto a un rischio maggiore.
Si censura, altresì, l’affermazione del Tribunale di Vercelli secondo cui, quand’anche fosse stato provato in causa che, nel tratto di strada teatro del sinistro, la segnaletica era effettivamente carente, l’evento dannoso, così come verificatosi, non sarebbe comunque concretizzazione del rischio che la normativa del codice della strada intende evitare. Si evidenzia, al riguardo, nella sentenza impugnata, che la condotta del conducente del veicolo di proprietà della RAGIONE_SOCIALE è stata, comunque, prudente, avendo il medesimo testimoniato che, all’apparire del
capriolo, il veicolo che conduceva era già fermo, essendo stato l’animale a impattare contro l’auto. Ciò da cui si deve concludere che, quand’anche la Provincia avesse installato un’adeguata segnaletica, essa sarebbe esente da responsabilità rispetto all’impatto dell’animale con il mezzo.
Assume la ricorrente che la motivazione, sul punto, sarebbe contraddittoria perché, in prima battuta, ‘afferma l’insussistenza del nesso causale fra la presenza della segnaletica i danni determinati in relazione al concreto atteggiarsi della dinamica degli eventi e, subito dopo, esclude la responsabilità della Provincia proprio in ragione del posizionamento di una segnaletica adeguata’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la Regione Piemonte, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Ha resistito, altresì, al ricorso della Tura pure la Provincia di Vercelli, che con il medesimo atto ha proposto ricorso incidentale condizionato, sulla base di un unico motivo. Esso investe, in particolare, l’affermazione del Tribunale di Vercelli secondo cui, in materia di fauna selvatica, ‘la Regione ha una competenza essenzialmente normativa, mentre alla Provincia spetta l’esercizio delle funzioni amministrative e di gestione nell’ambito proprio territorio’. Assume, infatti, l’odierna ricorrente incidentale che il giudice di seconde cure, con tale affermazione, mostra di aver sostanzialmente condiviso l’assunto sostenuto dalla Regione con il proprio appello incidentale; sicché essa Provincia di Vercelli sostiene che il proprio interesse a proporre ric orso incidentale condizionato ‘è divenuto concreto ed attuale solo a seguito della proposizione dell’appello incidentale della Regione Piemonte’.
5.1. L’unitario motivo del ricorso incidentale condizionato si articola in tre censure -tutte proposte ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -di ‘violazione e falsa di norme di diritto’, ovvero:
-della legge regionale della Regione Piemonte 25 ottobre 1996, n. 79, là dove il Tribunale di Vercelli ha considerato la delega alle Province piemontesi delle funzioni amministrative in materia di controllo della fauna selvatica idonea a far sorgere la re sponsabilità dell’ente delegato per i danni arrecati dalla fauna selvatica alla circolazione stradale;
-dell’art. 1, comma 3, della legge n. 157 del 1992, là dove il giudice di merito ha fatto derivare dall’assegnazione alle Regioni a statuto ordinario del compito di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica, assegnando nel contempo meri compiti attuativi alle Province, l’imputazione a queste ultime della responsabilità per i danni provocati dalla fauna selvatica alla circolazione stradatale;
-dell’art. 1, comma 96, lett. c), della legge 7 aprile 2014, n. 56, per non avere considerato il giudice d’appello che, rientrando la materia della tutela della fauna selvatica nell’ambito delle funzioni non fondamentali di cui al comma 89 dell’art. 1 del la medesima legge, il relativo contenzioso è sottoposto al regime delineato dalla norma in oggetto.
L’assunto di fondo del presente motivo è che la suddetta legge n. 56 del 2014 ha riconosciuto alle ex Province -ridenominate come Enti ad Area Vasta -solo alcune funzioni fondamentali (ovvero, quelle di cui al comma 85 dell’art. 1), facendo oggetto, tutte le altre, di un riordino con conseguente assegnazione ad enti diversi, da parte dello Stato e delle Regioni, ‘secondo le rispettiv e competenze’ (comma 89).
Orbene, poiché tra le suddette funzioni fondamentali non sono comprese la tutela della fauna e la caccia, vale a dire quelle di cui all’art. 19, lett. e) ed f), del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. ‘TUEL’), esse non possono ritenersi funzioni proprie de lle Province, sicché, come tali, hanno formato oggetto di riordino. Di conseguenza, stante la stretta connessione tra l’art. 19 del TUEL e l’art. 9 della legge n. 157 del 1992, sarebbero venute meno, per incompatibilità con il nuovo ordinamento delle amministrazioni provinciali, le funzioni amministrative e gestionali assegnate alle stesse in tale ambito -tutela della fauna e caccia, appunto -dalla norma legislativa statale. Tale novella, peraltro, avrebbe influenza anche sul contenzioso in materia, essendo stato previsto, tra l’altro, dal suddetto comma 96 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, in particolare alla sua lett. c), che, ‘nei trasferimenti delle funzioni oggetto del riordino (…) l’ente che subentra nella funzione succede anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso’.
Tanto premesso, poiché il sinistro oggetto di causa risale al 2015 e, dunque, ad epoca successiva all’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014, l’unico soggetto legittimato in relazione alla pretesa risarcitoria della Tura dovrebbe ritenersi la Regione.
Al ricorso incidentale condizionato ha resistito, con controricorso, la sola ricorrente principale.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
La sola Provincia di Vercelli ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
10. Il ricorso principale è da rigettare.
10.1. Il primo motivo del ricorso principale -come eccepito dalla controricorrente Regione Piemonte -è inammissibile.
10.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla constatazione che la responsabilità per danni da fauna selvatica è stata, effettivamente, ricondotta dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, come osserva la ricorrente COGNOME, alla fattispecie di cui all’art. 2052 cod. civ., essendosi posta a carico delle Regioni l’obbligazione risarcitoria, in quanto enti titolari della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte -per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari -da altri enti (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 20 aprile 2020, n. 7969, Rv. 657572-03; in senso conforme, tra le altre: Cass. Sez. 3, sent. 22 giugno 2020, n. 12113, Rv. 658165-01; Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2020, n. 13848, Rv. 658298-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 2 ottobre 2020, n. 20997, Rv. 659153-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 23 maggio 2022, n. 16550, Rv. 665057-01; si vedano anche, tra le non massimate, Cass. Sez. 3, sent. 29 aprile 2020, n. 8384; Cass. Sez. 3, sent. 29 aprile 2020, n. 8385; Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18085, con specifico riferimento a danni da fauna selvatica verificatisi nel territorio del Piemonte, Cass. Sez. 6-3, ord. 23 novembre 2021, n. 36141; Cass. Sez. 6-3, ord. 6 aprile 2022, n. 11209; Cass. Sez. 3, ord. 5 settembre 2023, n. 25868, tutte non massimate).
Senonché, all’applicazione dell’art. 2052 cod. civ. alla presente fattispecie (secondo quanto prospettato con il primo motivo del ricorso principale), osta la circostanza -eccepita dalla Regione Piemonte a pag. 8 del proprio controricorso, lamentando ‘un cambio di rotta’ della Tura, quanto all’individuazione della fattispecie astratta, cui ricondurre la propria pretesa risarcitoria -che l’allora attrice avesse prospettato, sin dal primo grado di giudizio, una responsabilità della Regione, non solo a norma dell’art. 2043 cod. civ., ma soprattutto individuando quale fatto costitutivo della propria domanda di risarcimento ‘l’omessa vigilanza sull’operato dell’e nte provinciale delegato in materia, nonché l’omessa attivazione sostitutiva in luogo della Provincia inerte’ (cfr. pag. 3 del ricorso principale).
Orbene, sul punto, occorre ulteriormente ribadire che è stato già ‘più volte ammesso’, da parte di questa Corte, come ‘la «qualificazione giuridica» sia suscettibile di passare in giudicato’ (e ciò ‘che si tratti di qualificazione d’un fatto, d’un negozio, dell’azione o dell’eccezione’), sicché, ‘quando il giudice di primo grado abbia qualificato la domanda in un certo modo, e non vi sia stata impugnazione sul punto, è precluso in sede di legittimità invocare una diversa qualificazione’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2023, n. 31330, Rv. 669467-01). Resta, peraltro, inteso che la ‘regola secondo cui il giudicato possa formarsi anche sulla qualificazione giuridica non è tuttavia senza eccezioni’, sicché non può, in linea generale, escludersi ‘che possa prosp ettarsi per la prima volta’, pure in Cassazione, ‘la questione di quale sia la norma che debba essere applicata per stabilire le conseguenze di un determinato fatto illecito’ (così Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit .). Ciò è possibile, in particolare, quando la qualificazione giuridica data dal giudice di merito alla domanda ‘non ha condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito’, nonché ‘quando si tratti soltanto di
stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta’ (cfr., nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit .; in senso conforme Cass. Sez. 3, ord. 12 dicembre 2023, n. 34654, non massimata).
Su tale presupposto, ovvero che la qualificazione giuridica della domanda passa in giudicato, allorché abbia ‘condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito’, questa Corte ha, di recente, affermato -sebbene in un caso ‘peculiare’, giacché la controversia sul risarcimento dei danni da fauna selvatica proseguiva unicamente tra una Regione ed una Provincia, al fine di stabilire chi fosse il soggetto gravato dall’obbligo risarcitorio, del quale era stata definitivamente acclarata la sussistenza -che ‘l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ. alla fattispecie dei danni da fauna selvatica comporta una differente distribuzione degli oneri probatori tra le parti, rispetto a quello derivante dall’operatività dell’art. 2052 cod. civ., dovendo avere ad oggetto non la sola esistenza del danno e la sua scaturigine dal comportamento dell’animale (come nell’ipotesi di cui alla seconda delle norme menzionate), ma pure la colpa del soggetto convenuto in giudizio per il risarcimento’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 9 luglio 2024, n. 18817, Rv. 671802-01). Su tale presupposto, dunque, si è ritenuto che ‘lo svolgersi, sin dal primo grado di giudizio, di un contraddittorio tra le parti che ha investito il « thema probandum » tipico dell’applicazione della Generalklausel di cui all’art. 2043 cod. civ. (…) integra, appunto, quell’ipotesi in cui la qualificazione giuridica risulta aver «condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito», ciò che impone di ritenere l’esistenza di un giudicato su tale qualificazione, nel senso che questa non può essere ulteriormente messa in discussione’ ( così, del pari, Cass. Sez. 3, ord. n. 18817 del 2023, cit. ). Nella testé citata pronuncia, peraltro, si è pure sottolineato come il differente esito raggiunto
(rispetto a quello cui questa Corte era pervenuta nel caso deciso da Cass. Sez. 3, sent. n. 31330 del 2023, cit .) fosse giustificato, poiché, allora, questa Corte aveva rimarcato come ‘la scarna esposizione dei fatti’ non consentisse ‘di stabilire se’ vi fosse stata, o meno, ‘una pronuncia espressa sull’inapplicabilità dell’art. 2052 cod. civ.’ in luogo dell’art. 2043.
10.1.2. Tali principi debbono ricevere, vieppiù, applicazione in un caso, qual è quello oggi in esame, in cui il giudizio di primo grado -come ricostruito dalla stessa ricorrente principale nel proprio atto di impugnazione -è stato tutto volto ad accertare se fossero ipotizzabili profili di colpa in capo ai due enti convenuti, e, in particolare, se alla Regione potesse addebitarsi ‘l’omessa vigilanza sull’operato dell’ente provinciale delegato in materia, nonché l’omessa attivazione sostitutiva in luogo d ella Provincia inerte’, rimanendo , pertanto, estraneo al ‘ thema decidendum ‘ il profilo del ‘caso fortuito’, ovvero la (sola) circostanza che ai sensi dell’art. 2052 cod. civ. risulta idonea ad escludere la responsabilità dell’ente ‘proprietario’ dell’animale selvatico.
Emblematica, da questo punto di vista, è anche la sentenza d’appello, nella quale (pag. 7) si afferma che la gestione delle strade, così come della fauna selvatica, ‘ non comporta tuttavia che qualunque danno cagionato a terzi sia addebitabile all’ente territoriale preposto’, soggiungendo (pag. 8) che , sul presupposto che trovi applicazione l’art. 2043 cod. civ. , si ‘richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico’ . Ciò che dimostra, ulteriormente, come tutta l’in dagine demandata al giudice di merito -ed in relazione alla quale, pertanto, le parti sono state chiamate ad adempiere i rispettivi oneri di allegazione e prova -si sia concentrata sulla prova della colpa dei due Enti, rimanendovi estranea la tematica del fortuito.
Ne consegue, pertanto, che la qualificazione della domanda ha certamente condizionato le difese di ciascuna delle due convenute, donde l’impossibilità della riconduzione, in questa sede, della presente fattispecie alla previsione di cui all’art. 2052 cod. civ., se è vero che, facendo applicazione di tale norma, ognuna di esse, per esonerarsi da responsabilità, avrebbe dovuto provare il ‘caso fortuito’, ovvero ‘dimostrare che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo e cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto’ (così, in motivazione, al § 6.2., Cass. Sez. 3, n. 7969 del 2020, cit .). Un tema, come detto, rimasto del tutto estraneo -anche in termini di articolazione di istanze istruttorie e per scelta (benché in linea con lo stato della giurisprudenza di legittimità al momento dell’impostazione dell’azione) della danneggiata -alle due fasi del giudizio di merito e , tra l’altro, neppure ‘esplorabile’ nell’eventuale giudizio di rinvio (conseguente, in ipotesi, all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale), stante il carattere ‘chiuso’ dello stesso.
10.1.3. D’altra parte, non smentisce anzi, corrobora -la testé proposta conclusione, quanto affermato, di recente, da questa Corte, ancora una volta, ‘ in subiecta materia ‘.
Il riferimento è quell’arresto (si tratta di Cass. Sez. 3, ord. 12 novembre 2024, n. 29232, Rv. 672855-01) che -sebbene con riguardo ad una vicenda di danni cagionati da animali domestici,
ma confrontandosi espressamente con la giurisprudenza di legittimità in tema di danni da fauna selvatica -ha esaminato un caso in cui ‘la domanda, formulata dal danneggiato nei confronti della pubblica amministrazione, ex art. 2043 cod. civ., era stata accolta dal primo giudice e rigettata in appello per assenza di colpa, in accoglimento dell’impugnazione dell’ente convenu to, senza che l’errore della riconduzione della fattispecie all’art. 2043 cod. civ. (anziché a quella di cui all’art. 2052 cod. civ.) fo sse stato -anche mediante impugnazione incidentale condizionata -censurato dall’attore, vittorioso in primo grado e soccombente in appello’, giacché ‘solo con il ricorso per cassazione l’attore aveva censurato il suddetto errore, invocando l’applicabilit à del criterio di imputazione oggettivo (o aggravato, secondo i punti di vista) di cui all’art.2052 cod. civ.’.
Orbene, il citato arresto -pur affermando che ‘stabilire se un fatto illecito sia disciplinato dall’art. 2043 cod. civ. o dall’art. 2052 cod. civ., quando non vi sia mutamento dei fatti costitutivi della domanda, è questione di individuazione della norma applicabile e non di qualificazione giuridica della domanda, e può essere prospettata per la prima volta anche nel grado di appello e persino in sede di legittimità’ (cfr. Cass. Sez. 3, ord. n. 29232 del 2024, cit .) -non giunge a conclusioni divergenti dall’indirizzo che si è sopra illustrato.
Si sostiene, infatti, che ‘il giudice del merito, nell’applicare le norme che regolano i diversi criteri di imputazione della responsabilità, attribuisce alla fattispecie, come allegata dall’attore e accertata in giudizio, la sua disciplina’, sicché ‘non si tratta quindi di qualificazione o delimitazione della domanda, ma di accertamento dei fatti posti a suo fondamento e della individuazione della disciplina giuridica cui quei fatti sono soggetti’ (così, del pari, Cass. Sez. 3, ord. n. 29232 del 2024, cit . ). Su tali basi, pertanto, si è concluso che ‘il giudicato si forma
sulla fattispecie, non sulla disciplina, perché l’accertamento di cui parla l’art. 2909 cod. civ. attiene agli elementi costitutivi della fattispecie, cui consegue l’applicazione della relativa disciplina’, ragion per cui ‘solo per cambiare l’accertamento della fattispecie è necessaria l’impugnazione, non per invocare una diversa disciplina a fattispecie invariata’ (cfr., ancora una volta, Cass. Sez. 3, ord. n. 29232 del 2024, cit .).
Quanto precede, però, non può -come detto -legittimare l’applicazione, per la prima volta nella presente sede di legittimità, della disciplina di cui all’art. 2052 cod. civ. alla fattispecie in esame (e, con essa, l’esito dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale). Il testé illustrato arresto di questa Corte, se infatti legittima, in un ‘grado successivo di giudizio, senza che vi sia stata tempestiva impugnazione, invocare un’altra regola di imputazione della responsabilità rispetto a quella precedentemente applicata’, ciò reputa ammissibile solo lasciando invariati ‘ gli elementi di fatto costitutivi della fattispecie’ (Cass. Sez. 3, ord. n. 29232 del 2024, cit ., pag. 10): ovvero, una condizione che non sussiste nel caso di specie, sol che si consideri la diversità ‘strutturale’ tra la fattispecie di cui all’art. 2043 cod. civ. e quella ‘oggettiva’ o (almeno) ‘aggravata’ di cui all’art. 2052 cod. civ. e il r ilievo che, come illustrato, assume in quest’ultima la (eventuale) prova del ‘cas o fortuito’, l’una e l’altro riguardati alla stregua della concreta condotta assertiva e delle relative iniziative istruttorie delle parti.
10.2. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.
10.2.1. Esso, come detto, denuncia una supposta carenza motivazionale, in relazione all ‘esclusione dell’operatività del principio di ‘non contestazione’.
Nello scrutinarlo, va premesso che l a sentenza d’appello, nel valutare la colpa degli enti convenuti, ha circoscritto la sua indagine all’adozione delle sole misure di prevenzione ‘indiretta’ (la segnaletica stradale), ritenendo invece infondata -quanto al tema, invece, delle misure ‘dirette’ ‘l’asserzione che vi sia stata non contestazione’, ad opera degli enti convenuti, ‘circa l’omessa esecuzione del piano faunistico da parte della Provincia, l’omessa vigilanza da parte della Regione sull’operato della Provincia e l’omessa attivazione sostitutiva’.
La ricorrente taccia di ‘apparenza’ tale motivazione, che, al più, potrebbe essere ritenuta ‘ insufficiente ‘ : evenienza, però, non più idonea ad integrare il difetto di motivazione, secondo una precisa scelta del legislatore, volta ad escludere -attraverso la ‘novellazione’ del testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., operata dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 -che questa Corte possa esercitare ‘un potere assoluto su qualunque decisione di merito, attesa l’insuperabile indeterminatezza della nozione di motivazione insufficiente, con il conseguente incremento del rischio di randomizzazione del giudizio’ (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, al § 10.9.; nel senso della ‘espunzione’ della motivazione insufficiente dai vizi che possono inficiare la parte la sentenza, si vedano pure, tra le altre, Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01; Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01).
Il tutto, peraltro, non senza rammentare che costituisce ‘elemento valutativo riservato al giudice del merito’ apprezzare, ‘nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte’ (così Cass. Sez. 6 -1, ord. 7 febbraio 2019, n. 3680, Rv. 65313001), sicché tale ‘apprezzamento è
censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione’ (Cass. Sez. 1, sent. 11 giugno 2014, n. 13217, Rv. 631806-01).
Infine, a corroborare l’esito dell’inammissibilità del presente motivo concorre il rilievo per cui la ricorrente neppure ha previamente soddisfatto la condizione di ammissibilità della censura di violazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., volta a dimostrare che la non contestazione vi sia effettivamente stata, non avendo provveduto ad ‘indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventual e totale assenza di contestazioni sul punto’ (cfr. Cass. Sez. 6 -3, ord. 22 maggio 2017, n. 12840, Rv. 644383-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2024, n. 15058, Rv. 671191-01).
10.3. Infine, il terzo motivo del ricorso principale è in parte inammissibile e in parte infondato.
10.3.1. La sentenza impugnata, nell’escludere la colpa della Provincia di Vercelli in relazione all’omessa adozione di idonea segnaletica, si affida a due concorrenti e autonome ‘ rationes decidendi ‘, entrambe censurate dalla ricorrente.
Per un verso, il giudice d’appello ha sostenuto che il primo giudice avrebbe errato nel fare applicazione, al caso di specie, dell’art. 84, comma 5, del d.P.R. n. 495 del 1992 ; per altro verso, comunque, ha osservato che l’evento verificatosi non ha costituito concretizzazione del rischio che la normativa del codice della strada intendeva evitare, stante la sostanziale ininfluenza,
rispetto all’accaduto, della condotta di guida del conducente del veicolo incidentato, essendo stato il mezzo colpito quando lo stesso era fermo.
Orbene, la seconda di tali ‘ rationes ‘ , a prescindere dalla sua correttezza, resiste alla censura di motivazione ‘irriducibilmente contraddittoria’, atteso che il rilievo compiuto dalla sentenza impugnata -là dove essa afferma che, anche ad ipotizzare una non adeguata apposizione dei cartelli (e quindi una non idonea informazione circa il pericolo dell’attraversamento della sede stradale da parte di animali selvatici), tale circostanza sarebbe rimasta priva d’incidenza rispetto alla dinamica del sinistro, v isto che il capriolo colpì la vettura di proprietà della Tura quando la stessa era sostanzialmente ferma, e ciò proprio in ragione dell’avvistamento dell’animale da parte del conducente rispetta il ‘minimo costituzionale’, così come richiesto da questa C orte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).
Invero, occorre rammentare che sussiste motivazione ‘meramente apparente’, oltre che nell’ipotesi di ‘carenza grafica’ della stessa, quando essa -per la sua irriducibile contraddittorietà o manifesta illogicità -‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ ( cfr. Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01; Cass. Sez. 6-1, ord. 1° marzo 2022, n. 6758, Rv. 664061-01; Cass. Sez. 1, ord. 28 gennaio 2025, n. 1986, Rv. 673839-01).
Nella specie, il ragionamento sviluppato dal Tribunale di Vercelli è del tutto intellegibile.
Tanto, dunque, comporta anche l’inammissibilità della censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 84 del d.P.R. n. 495 del 1992, e ciò alla stregua del principio secondo cui ‘qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle « rationes decidendi » rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebber o comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa’ (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931, Rv. 625631-01; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108, Rv. 621882-01).
in ragione del rigetto del ricorso principale, quello incidentale condizionato resta assorbito.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra tutte le parti del giudizio, in ragione del radicale mutamento, registratosi nella giurisprudenza di questa Corte nel corso della presente causa, in merito alla responsabilità per danni da fauna selvatica.
Invero, essendo stato il giudizio di primo grado introdotto con citazione notificata il 16 febbraio 2017, trova applicazione, ‘ ratione temporis ‘, il vigente testo dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., che consente la compensazione delle spese di lite, appunto, nel caso -qual è quello in esame -di ‘mutamento della
giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti’ oggetto di controversia.
A carico della ricorrente principale, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, compensando integralmente tra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della