Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4671 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4671 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29512/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente p.t., domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di MACERATA n. 427/2021, depositata il 27/04/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva in giudizio davanti al Giudice di Pace di Macerata la Regione Marche, in persona del presidente p.t., chiedendo il risarcimento dei danni subiti in occasione del sinistro
stradale occorsole su INDIRIZZO, INDIRIZZO, in territorio del Comune di Caldarola, il 18.1.19, alle ore 18,15 circa, quando la di lei auto (Fiat 500 targata TARGA_VEICOLO) impattava contro un ungulato che improvvisamente attraversava la carreggiata, e così riportava danni al mezzo.
La Regione non si costituiva in giudizio.
La causa veniva istruita mediante la produzione del verbale di sinistro redatto dai Carabinieri intervenuti sul luogo, nonché di fotografie sia dell’animale deceduto che dei danni riportati dall’autovettura. In punto di quantum risarcitorio veniva depositata fattura quietanzata delle riparazioni effettuate di € 1.944,25.
Il Giudice di Pace di Macerata con sentenza n. 978/19 accoglieva la domanda risarcitoria liquidando i danni in complessivi euro 1.360,97, oltre accessori e spese processuali.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione la Regione Marche, che, in via preliminare, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, sosteneva che parte attrice non aveva assolto il proprio onere probatorio riguardo a tutti i requisiti previsti dall’art. 2043 ed in particolare non aveva dato la prova della colpa della convenuta.
Si costituiva nel giudizio di appello la COGNOME, che chiedeva il rigetto dell’impugnazione e la conferma della sentenza impugnata.
Il Tribunale di Macerata, quale giudice di appello, con sentenza n. 427/2021, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Regione Marche ed in totale riforma della sentenza del giudice di primo grado, respingeva la domanda risarcitoria proposta dalla COGNOME, condannandola alla restituzione di quanto percepito dalla Regione in esecuzione della sentenza di primo grado, nonché alla rifusione delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio. In sintesi, il giudice di appello -dopo aver dato atto che il sinistro era stato rilevato dalle forze dell’ordine, ma che le stesse non avevano rinvenuto la carcassa dell’animale riteneva che dalle
acquisizioni processuali, da un lato, non fosse risultato provato alcun comportamento colposo della Regione e, dall’altro, non fosse risultata esclusa qualsivoglia responsabilità in capo alla COGNOME.
Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso la COGNOME.
Ha resistito con controricorso la Regione Marche.
Per l’odierna adunanza camerale il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambi le parti hanno depositato memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La COGNOME -dopo aver premesso che la sentenza impugnata sarebbe identica a tutte le altre sentenze emesse dallo stesso Giudice monocratico del Tribunale di Macerata in materia di sinistri con fauna selvatica (che in quella provincia sono a migliaia); e dopo aver percorso le due rationes decidendi di quella che definisce ‘sentenza fotocopia’ (la mancata prova del diritto risarcitorio e la circostanza che l’attore aveva fondato la propria domanda sulla responsabilità extracontrattuale, onde l’accoglimento della stessa sulla scorta della responsabilità del custode andrebbe incontro al vizio di ultrapetizione) -articola in ricorso 5 motivi.
1.1. Con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2052 c.c. (in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.).
Osserva che questa Corte con sentenze nn. 7969/2020, 8384/2020, 13848/2020, 8385/2020 e 19101/2020 ha mutato orientamento in punto di imputazione della responsabilità per i sinistri stradali determinati da fauna selvatica. In base a tale nuovo indirizzo si applica alla fattispecie l’articolo 2052 c.c. in quanto è proprio dal tenore letterale di detta norma che si prevede espressamente la sussistenza della responsabilità del proprietario o
dell’utilizzatore sia che ‘l’animale fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o sfuggito’, prescindendo perciò dalla effettiva custodia dell’animale. Il danneggiato, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’articolo 2052 c.c., dovrà dare prova della dinamica del sinistro e del nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso oltre all’appartenenza di quest’ultimo alle specie protette o comunque al patrimonio indisponibile dello Stato, mentre, in caso debba trovare applicazione il principio di cui all’art. 2054 c.c., deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Da parte sua, la Regione potrà dare la prova liberatoria del fortuito, provando che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di controllo e abbia quindi costituito una causa eccezionale ed imprevedibile.
Si duole che il giudice di appello, nonostante che sul punto non si fosse formato alcun giudicato interno e nonostante il mutato indirizzo di questa Corte, di detto nuovo indirizzo non ha tenuto conto nella parte in cui ha confermato la qualificazione della domanda ex art. 2043 c.c., effettuata dal giudice di primo grado sull’erroneo presupposto che <>.
Sostiene che le condotte poste a sostegno dell’azione risarcitoria introdotta ai sensi dell’art. 2043 c.c. possono essere riportate anche in sede di appello entro il paradigma dell’art. 2052 c.c., poiché tale diverso inquadramento ha ad oggetto gli stessi fatti costitutivi prospettati dalle parti (dinamica del sinistro e condotta di guida del conducente) e la diversa qualificazione giuridica non ha comportato alcuna modifica officiosa della domanda.
In definitiva, secondo la ricorrente, il giudice di appello, ove avesse correttamente applicato per cui l’art. 2052 c.c. come
interpretato dalle sentenze numero 7969/2020, 8384/2020, 13848/2020, 8385/2020 e 19101/2020 di questa Corte, non avrebbe potuto che rigettare l’appello.
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2052 c.c. (in relazione all’art. 360 comma 1 n° 3 c.p.c.) nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto che in subiecta materia , sia che si applichi l’art 2043 c.c., sia che si applichi l’art. 2052 c.c., l’attore non avrebbe fornito la prova del proprio diritto risarcitorio, nonché nella parte in cui, parlando promiscuamente di prova della colpa e di prova nella regolare condotta di guida, confonde gli elementi di prova che costituiscono la responsabilità da fatto illecito con quelli della responsabilità ex art. 2052.
Osserva che il giudice di appello sarebbe stato tenuto ad uniformarsi in applicazione del principio di nomofilachia al nuovo orientamento giurisprudenziale di questa Corte, affermando applicabile alla fattispecie in esame il solo art. 2052 c.c. Perciò, la motivazione della sentenza, nella parte in cui afferma che ‘nulla è stato provato in punto di colpa’, sarebbe inesorabilmente affetta da error in iudicando perché la colpa è un elemento costitutivo del solo articolo 2043 c.c., la cui applicazione è stata però ormai superata dal più recente e oramai consolidato indirizzo sopra richiamato.
Aggiungeva che, comunque a tutto voler concedere, nel primo grado di giudizio aveva dato ampia prova della colpa della convenuta mediante la produzione del verbale dei Carabinieri, dal quale risultava la presenza dell’animale sul ciglio della strada con la macchia di sangue, l’assenza di segni di frenata, la modesta entità dei danni sull’autovettura. Tali elementi costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti del fatto che il cinghiale si era immesso improvvisamente e repentinamente all’interno della sede stradale determinando un inevitabile impatto.
Sottolinea che la Regione non aveva provato ex art. 2052 c.c. la ricorrenza del fortuito, ossia che la condotta dell’animale si fosse posta del tutto al di fuori della sua sfera di controllo operando come causa autonoma eccezionale imprevedibile ed inevitabile del danno.
1.3. Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cpc (in relazione all’art. 360 comma 1 n°4 c.p.c.), in quanto nella motivazione non si rinviene alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.
Si duole che la pronuncia è precostituita e uguale per tutti gli appelli e la motivazione è completamente avulsa dai fatti di causa e dalle questioni poste all’esame del Giudice: <>.
In definitiva, secondo parte ricorrente, <>.
1.4. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.) nella parte in cui il giudice di appello da un lato ha ritenuto raggiunta la prova liberatoria del fortuito della Regione senza che tale elemento di prova abbia mai nemmeno fatto ingresso nel processo e, dall’altro, ha disatteso la prova legale del verbale dei Carabinieri intervenuti.
Sottolinea che il giudice di appello giunge financo a negare, con ciò dando prova inequivoca della mancata lettura delle
risultanze istruttorie, la presenza della carcassa dell’animale (rinvenuta invece a bordo strada dai Carabinieri).
In sintesi, secondo parte ricorrente, il giudice di appello <>. Ed ancora: <>.
1.5. Con il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (in relazione all’art. 360 comma primo n.3° c.p.c.) nella parte in cui il giudice di appello l’ha condannata alla rifusione delle spese del doppio grado del giudizio, <>.
I primi due motivi -che, in quanto connessi, sono qui trattati congiuntamente -sono fondati.
Occorre premettere che questa Corte ha di recente più volte affermato (Cass. n. 31342/2023; n. 16550/2022, n. 3023/2021, nn. 20997/2020, n. 16550/2020, n. 13848/2020, n. 12113/2020, 8385/2020, n. 8384/2020, n. 7969/2020) che, nel caso in cui si invoca il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica,
trova applicazione la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. Invero, detta norma è applicabile non soltanto nel caso di animali domestici, ma anche di specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura ed alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.
Sul solco tracciato dalle suddette sentenze, va dunque affermata l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale, quale giudice di appello, ha posto a carico di parte attorea l’onere di provare la colpa della pubblica amministrazione, nonché nella parte in cui ha rigettato la domanda attorea ex art. 2052 c.c. sull’erroneo presupposto che parte attorea non aveva provato la speciale prudenza nella condotta di guida e la inevitabilità dell’impatto con l’animale (così superando la presunzione di cui all’art. 2054 primo comma c.c.).
Al riguardo, quanto meno nel caso di specie, non si è formato alcun giudicato interno. Vero è che in diverse occasioni questa Corte ha riconosciuto che la qualificazione giuridica, operata dal giudice di primo grado e non impugnata in appello dalla parte interessata, è suscettibile di passare in giudicato, con conseguente preclusione della possibilità di invocare una diversa qualificazione in sede di legittimità. In particolare, si è ancora di recente statuito che il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice alla domanda se la parte interessata non ha proposto specifica impugnazione (Cass. n. 31330/2023), ma si è pure ribadito che a tanto fanno eccezione i casi in cui tale qualificazione o non ha condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito, o è incompatibile con le censure formulate dall’appellante, o non ha formato oggetto di contestazione tra le parti, o quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati,
quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta.
Pertanto, ipotesi del tutto distinta dalla qualificazione della domanda è quella in cui si tratta soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, se deve applicarsi l’art. 2043 ovvero l’art. 2052 c.c.. In tale ipotesi, che ricorre nella specie, non può parlarsi di giudicato in quanto, in virtù del principio iura novit curia , è sempre consentito al giudice -anche in sede di legittimità valutare d’ufficio sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione della norma applicabile.
In altri termini, lo stabilire se la domanda attorea debba essere decisa applicando l’art. 2043 o l’art. 2052 c.c. non costituisce una questione di qualificazione giuridica della domanda, ma una questione di individuazione della norma applicabile: detta questione non può che essere risolta in base al principio iura novit curia . D’altronde, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 12310/2015 prendendo posizione sui concetti di ‘domanda nuova’, ‘domanda precisata’ e ‘domanda modificata’ – hanno statuito che la modifica della domanda è sempre ammissibile quando riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia con questa collegata o connessa, quanto meno per alternatività. Ne consegue che non è precluso alla parte di invocare (e non è inibito al giudice di merito di applicare) il criterio speciale di imputazione di responsabilità in luogo di quello generale, originariamente invocato ed applicato.
Né può dirsi, in relazione all’ambito delle contestazioni sviluppate dalle parti nella presente controversia e come da queste somministrate a questa Corte nei soli atti ad essa accessibili, che l’impostazione dell’originaria convenuta sia rimasta condizionata in concreto dalla specifica qualificazione, tenuto conto delle rationes decidendi della gravata sentenza, incentrata sulla valutazione della carenza di prova di diligenza da parte del soggetto danneggiato,
ma pure dell’assenza di specifiche e circostanziate allegazioni sul punto ad opera dell’odierna controricorrente.
Considerazione dirimente può dirsi, peraltro, nella specie, l’improprio e scorretto accollo, da parte della sentenza gravata, al soggetto danneggiato della prova della propria diligenza per conseguire il risarcimento, per di più sia nel caso in cui la fattispecie si sussuma entro l’art. 2043 c.c. (non più sostenibile, attesa la giurisprudenza di legittimità), sia in quello della sussunzione entro l’art. 2052 c.c.
Infatti, occorre rilevare che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che, nel caso di sinistri causati da fauna selvatica, il giudice non deve prima accertare se il danneggiato abbia fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, e, quindi, solo in presenza di tale prova, applicare la presunzione di cui all’art. 2052 c.c. a carico del proprietario dell’animale. È stato precisato, infatti (Cass. n. 16550/2022, n. 4373/2016, n. 200/2002, n. 5783/1997, n. 2717/1983, n. 778/1979, n. 2615 e 1356/1970, n. 1860/1962), che la presunzione di responsabilità a carico del conducente del veicolo concorre, senza prevalere, sulla presunzione di responsabilità a carico del proprietario dell’animale, stabilita dall’art. 2052 c.c. Con la conseguenza che: a) se uno solo dei soggetti interessati superi la presunzione posta a suo carico, la responsabilità graverà sull’altro soggetto; b) se tutti e due vincono la presunzione di colpa, ciascuno andrà esente da responsabilità; c) se nessuno dei due raggiungere la prova liberatoria, la responsabilità graverà su entrambi in pari misura.
Gli altri motivi restano assorbiti dall’accoglimento dei primi due.
Per le ragioni che precedono, accolti i primi due motivi e ritenuti assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata al Tribunale di Macerata, in persona di diverso
magistrato, perché proceda a nuovo esame dell’appello alla stregua dei principi di diritto illustrati nella motivazione che precede.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
Atteso l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi; per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Macerata, in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024, nella camera di