Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23677 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23677 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12460/2022 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
-ricorrente –
contro
ENTE INDIRIZZO ,
-intimato – per la cassazione della sentenza n. 1736/2021 della CORTE d’APPELLO di Palermo pubblicata il 30.10.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18.6.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 906/2016, pubblicata il 24.10.2016, il Tribunale di Termini Imerese, in parziale accoglimento della domanda svolta da NOME COGNOME titolare dell’azienda agricola ‘RAGIONE_SOCIALE‘, condannava
Responsabilità civile della PA -Danni da fauna selvatica -Danno evitabile
l’Ente Parco delle Madonie al pagamento dell’indennizzo per i danni arrecati alla sua azienda dalle protratte invasioni di fauna selvatica (nella specie, cinghiali) proveniente dal parco confinante.
Il Tribunale, accertato il concorso colposo dell’attore nella misura del 35%, condannava l’ente convenuto al pagamento: ‘ -per l’anno 2007, alla somma di euro 15.486,20 a titolo di danni subiti in relazione alle piante da reimpiantare nonché di danni da cicatrizzazione delle piante rimaste danneggiate, ed alla somma di € 25.688,078, per indennizzo da mancata produzione dei red diti, detratto l’importo già ricevuto; -per l’anno 2009, alla somma di euro 8.685,00 per il costo delle piante da reimpiantare, di euro 4.518,00 per i frutti pendenti, e di euro 9.764,651 per il mancato reddito, detratto l’importo già ricevuto; -per l’anno 2010, alla somma di € 2.316,00 per danni alle piante, alla somma di euro 1.028,48 per i frutti pendenti ed alla somma di euro 3.588, 00’ . A carico del convenuto erano poste le spese di lite e di CTU.
La Corte d’Appello di Palermo con sentenza pubblicata il 30.10.2021, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dall’Ente Parco delle Madonie, rigettato l’appello incidentale svolto dall’Orlando, in parziale riforma della sentenza gravata rideterminava il dovuto in euro 19.993,24 all’attualità, detratto ‘eventuale altro importo già pagato’, oltre gli interessi moratori al tasso legale dalla sentenza al saldo.
La Corte d’appello, inoltre, compensava per 2/3 le spese di lite del primo grado, ponendo il residuo a carico dell’Ente Parco delle Madonie. Le spese dell’appello erano compensate per 1/3, ponendo il residuo a carico dell’Orlando.
Per quanto ancora di interesse ai fini del presente giudizio, la Corte d’appello, premesso che in base alla l egge 157/1992 e alla legge regionale della Regione Siciliana n. 394/1991 la PA è tenuta a provvedere all’indennizzo dei danni cagionati dalla fauna selvatica insistente nel parco ‘indipendentemente ed a prescindere dall’individuazione di un criterio di imputazione, ed in funzione della sola prova del verificarsi dell’evento
dannoso ‘, affermava a carico dell’Orlando un concorso colposo ex art. 1227, comma secondo, cod. civ. nella misura dell’80% per la grave negligenza nella gestione del fondo e delle colture, sia in relazione alle razionali operazioni colturali come già evidenziato dal Tribunale, che aveva ridotto il danno del 35%, sia riguardo alla mancata realizzazione di idonee barriere protettive tali da scoraggiare le incursioni dei cinghiali.
La Corte d’appello , conclusivamente, affermava: ‘ Era, dunque, onere dell’appellante incidentale porre in essere tutte le adeguate precauzioni atte a prevenire l’invasione del proprio fondo da quegli animali e conseguentemente ad evitare il rischio di subire il danneggiamento delle colture ivi esistenti’.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di due motivi. L’Ente Parco delle Madonie è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Il ricorrente non ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata ‘violazione ed errata applicazione dell’art. 2043 e dell’art. 1176, comma II, cod. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.’.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia riconosciuto a suo carico un concorso di colpa ‘ex art. 1176 comma II c.c.’ dell’80%, basando la decisione sul rilievo che le condizioni del fondo, condotto in locazione e descritte dal C.T.U., e la mancanza della recinzione, fossero a lui ascrivibili in via prevalente.
L’Orlando osserva che i danni cagionati da fauna selvatica rientrano nella fattispecie di cui all’art. 2043 cod. civ. e che, conseguentemente, per l’affermazione della responsabilità dell’ente convenuto ‘deve essere individuato un concreto comportamento doloso ascri vibile’ ad esso. Nella
vicenda oggetto di causa non era emerso alcun comportamento o provvedimento posto in essere dell’Ente Parco delle Madonie teso a evitare il ripetersi delle continue invasioni dei suidi selvatici negli anni 2007-2010, che avevano distrutto il meleto biologico impiantato nel fondo.
Al cospetto dei danni provocati dalle invasioni degli animali, spiega oggi l’Orlando, egli aveva deciso di evitare di spendere tempo e denaro per ripristinare il meleto come aveva fatto in passato, tanto da disdire nel 2013 il rapporto con l’organo preposto al controllo della produzione biologica . N essun concorso colposo era riscontrabile a suo carico, ma solo ‘una resa incondizionata davanti ad una situazione che non dava adito a tregue’. Con il che si spiega lo stato del meleto nel 2013 al momento del sopralluogo del C.T.U., mentre i verbali redatti in contraddittorio con i funzionari del Parco negli anni 2007, 2008 e 2010 attestavano le opere di ripristino fino ad allora attuate.
Denuncia come e rronea, pertanto, ‘l’applicazione del principio di cui all’art. 1176, comma II, c.c.’, così come l’omesso esame di un punto decisivo della controversia sollevato con l’appello incidentale. La recinzione del fondo è una facoltà e non un obbligo a carico del proprietario, mentre i rimedi, prospettati dall’Ente Parco come a suo carico (l’uso di r ecinzione elettrificata o munita di laser), sarebbero stati così onerosi da rendere la coltivazione del tutto antieconomica. Né la recinzione esistente, neanche lungo l’intero confine e peraltro erroneamente attribuita al ricorrente, era un mezzo idoneo ad arginare le invasioni.
Il motivo si espone a un primo rilievo di inammissibilità ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Il ricorrente assume che la vicenda oggetto di causa, nella quale si lamentano danni provocati da fauna selvatica, debba essere inquadrata nell’ambito dell’art. 2043 cod. civ. e che, conseguentemente, l’affermazione della responsabilità del convenuto presupponesse una condotta ascritta al convenuto, ora configurata alla stregua di ‘un concreto comportamento doloso ascrivibile all’Ente pubblico’ (pagina 10 del ricorso), ora , così
piegando verso un profilo colposo, ‘adottando una politica di salvaguardia degli interessi dei coltivatori del Parco o realizzando una recinzione ben più incisiva di quella esistente ed erroneamente attribuita al titolare dell’azienda RAGIONE_SOCIALE (pagina 15 del ricorso, rig he da 14 a 17).
Il ricorrente ha omesso del tutto di considerare la motivazione resa d alla Corte d’appello , la quale a pagina 4 (da riga 6 a riga 23), si è così espressa: «Va evidenziato che il procedimento in esame ha ad oggetto la richiesta di indennizzo per i danni causati dalla fauna selvatica all’azienda condotta dall’odierno appellato (nella fattispecie da incursioni di suinidi), siccome previsto dalle leggi sopra richiamate. Giova rilevare infatti che il ristoro per tali danni è stato previsto dalla legge speciale n. 157/1992, secondo cui ‘ per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti ‘ . Inoltre, per quanto di interesse, l’art. 15 della Legge Reg. n. 394/1991 ha disposto che l’Ente parco è tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica che insiste all’interno del parco. Va precisato che la Pubblica Amministrazione con la suddetta tutela indennitaria in luogo di quella risarcitoria, è obbligata, come già rilevato dal primo Giudice a corrispondere un in dennizzo all’agricoltore, ‘indipendentemente ed a prescindere dall’individuazione di un criterio di imputazione, ed in funzione della sola prova del verificarsi dell’evento dannoso… ‘ ».
Ancora, a pagina 6 della sentenza (da riga 14 a riga 19) si legge: ‘ È bene comunque evidenziare che la circostanza dedotta dall’Ente Parco delle Madonie, in merito all’onere delle prova, interessa altra e diversa ipotesi, relativa alla responsabilità extracontrattuale della P.A., per danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli che, per quanto prima dedotto, non si attaglia al caso in esame, atteso che tale materia non è regolata da apposita legislazione, come quella in esame (cfr. Cass. Civ. n. 5722 del 27.02.2019) ‘ .
Il ricorrente ha ignorato completamente tali parti della motivazione, prospettando una censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, là dov e ha lamentato una violazione dell’art. 2043 cod. civ., la cui applicazione è stata espressamente esclusa dalla corte palermitana, venendo in rilievo ai sensi dell’art. 26 l. 157/1992 un danno ‘non altrimenti risarcibile’.
Di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio’ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074, che ribadisce il principio di diritto similare affermato da Cass. n. 359 del 2005, nel senso che «Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. »; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
Va, tuttavia, segnalato che l’art. 15 citato dalla Corte d’appello è quello della legge statale n. 394/1991 (‘Legge quadro sulle aree protette’),
che detta i principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese. Tale legge all’art. 15, comma terzo, l. 394/1991 prevede che: ‘L’Ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco’.
In secondo luogo, e il dato rileva sempre in termini di inammissibilità, il motivo è privo degli elementi atti a permettere di ritenere come correttamente formulato il vizio di violazione e falsa applicazione di legge.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313; sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4178; sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7394; sez. lav., 16 luglio 2010, n. 16698; sez. V, 4 aprile 2013, n. 8315; sez. III, 30 dicembre 2015, n. 26610; sez. lav., 11 gennaio 2016, n. 195; 12 ottobre 2017, n. 24054; sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; sez. V, 19 settembre 2024, n. 25182). In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b)
quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.
Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata.
Il vizio di falsa applicazione di norma di legge ricorre quando il giudice di merito”, dopo avere individuato e ricostruito – e ciò “sulla base delle allegazioni e delle prove offerte dalle parti e comunque all’esito dello svolgimento dell’istruzione cui ha proceduto” – “la «quaestio facti», cioè i termini ed il modo di essere della c.d. fattispecie concreta dedotta in giudizio, procede a ricondurre quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe stata riconducibile o ad una qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe stata una cui avrebbe potuto essere ricondotta, in tal modo incorrendo in errore” (v. Cass., sez. III, 29 agosto 2019, n. 21772; cui adde Cass., sez. I, 4 novembre 2021, n. 31839; Cass., sez. III, 11 marzo 2021, n. 6941; sez. V, 25 settembre 2019, n. 23851; sez. I, 5 agosto 2019, n. 16700; sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; sez. III, 31 maggio 2018, n. 13745; sez. III, 30 aprile 2018, n. 10320; sez. III, 13 marzo 2018, n. 6035).
Per contro, è estranea all’ambito applicativo dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (v. Cass., sez. I, sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., sez., I, 4 novembre 2021, n. 31839; Cass., sez. III, 4 marzo 2022, n. 7187).
Tale è, per l’appunto, il caso di specie, perché il ricorrente non si limita a prendere il fatto così come accertato nel corso del giudizio, ma pretende in questa sede di procedere a una rilettura delle emergenze istruttorie,
inferendo solo all’esito un errore di diritto che ha portato ad affermare l’esistenza di un concorso colposo ex art. 1227, comma secondo, cod. civ. a suo carico.
Il ricorrente chiede quest’oggi l’accertamento che lo stato del meleto al momento del sopralluogo nel 2013 da parte del C.T.U. non è la conseguenza di una sua incuria nella conduzione del fondo, ma ‘una resa incondizionata davanti ad una situazione che non dava adito a tregue’ , salvo puntare sulla mancata adozione da parte dell’Ente Parco di ‘una politica di salvaguardia degli interessi dei coltivatori del Parco o realizzando una recinzione ben più incisiva di quella esistente ed erroneamente attribuita al titolare dell’azienda RAGIONE_SOCIALE. Profilo, quest’ultimo, del tutto inconferente a fronte della ritenuta natura oggettiva dell’affermata responsabilità del convenuto ‘indipendentemente ed a prescindere dall’individuazione di un criterio di imputazione, ed in funzione della sola prova del verificarsi dell’evento dannoso’ (v., sempre, la motivazione della sentenza, resa a pagina 4, da riga 21 a riga 23).
Il ricorrente allude poi, senza preoccuparsi di chiarirlo, all’omesso esame di un punto decisivo della controversia sollevato con l’appello incidentale (pagina 13 del ricorso, riga da 16 a 17).
Escluso che il fatto omesso possa considerarsi la sostanziale dismissione del meleto, si potrebbe pensare alla questione della recinzione che a dire del ricorrente sarebbe stato onere dell’ente pubblico creare, per contenere gli animali selvatici, ma senza che sia stato chiarito se e dove la Corte d’appell o fosse stata investita della questione. La corte, al contrario, ha preso in esame tale profilo proprio per suffragare il concorso dell’Orlando sul piano del danno evitabile per la ‘mancata realizzazione di barriere protettive (recinzione) che sicuramente avrebbero scoraggiato le incursioni dei cinghiali’ (pagina 7 , da riga 28 a riga 30).
Conclusivamente, non spetta a questa Corte procedere all’esame del merito dell’accertato concorso ex art. 1227, comma secondo, cod. civ. e, quindi, alla possibilità per il creditore di mitigare il danno secondo l’ordinaria
diligenza, potendo soltanto verificare la conformità al diritto della decisione a livello di interpretazione della fattispecie astratta o della corretta sussunzione in essa della fattispecie concreta.
Né tantomeno è consentito censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi, come già detto, neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 comma primo, n. 5, cod. proc. civ., ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia posto a suo carico le spese del primo grado per 1/3 e quelle del giudizio di appello nella misura di 2/3.
Il motivo è inammissibile, perché privo dello sviluppo di una effettiva e comprensibile censura.
L’Orlando , in primo luogo, ha omesso di inquadrare il vizio, sì che non è dato comprendere quale sia la censura espressa, e vieppiù prospetta in modo assertorio che la statuizione sarebbe ‘del tutto ingiusta’ alla luce della responsabilità principale ed esclusiva dell’Ente Parco delle Madonie .
Peraltro, il ricorrente equivoca il senso della decisione, poiché le spese del primo grado non sono state poste a suo carico per un terzo, come è dato leggere nel ricorso, ma sono state compensate per 2/3 tra le parti, ponendo il residuo a carico dell’Ente Parco delle Madonie . Ad ogni modo, non è dato comprendere se oggetto di impugnazione sia stata, e in quali termini, la disposta compensazione.
Non meno incomprensibile è la censura relativa alle spese della fase di appello, le quali effettivamente sono state poste a carico dell’appellante incidentale nella indicata misura, compensando il residuo terzo.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese per essere rimasto intimato l’Ente Parco delle Madonie.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della