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Danni da fauna selvatica: il concorso di colpa

Un’azienda agricola ha subito ingenti danni da fauna selvatica (cinghiali) provenienti da un parco naturale. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che attribuiva all’agricoltore un concorso di colpa dell’80% per non aver adottato idonee misure di protezione del proprio fondo, come recinzioni adeguate. Il ricorso dell’agricoltore è stato dichiarato inammissibile perché basato su un presupposto giuridico errato (responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.) invece che sul corretto regime di indennizzo previsto da leggi speciali.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danni da Fauna Selvatica: Quando l’Agricoltore è Corresponsabile?

La questione dei danni da fauna selvatica alle colture agricole è un problema sentito e complesso, che contrappone le esigenze di tutela ambientale a quelle di protezione delle attività produttive. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sul riparto di responsabilità, sottolineando il dovere dell’agricoltore di adottare misure preventive per mitigare i danni. Il caso analizzato vede un’azienda agricola subire ingenti perdite a causa delle incursioni di cinghiali provenienti da un’area protetta.

I Fatti di Causa: L’azienda agricola contro il Parco

Il titolare di un’azienda agricola citava in giudizio l’Ente Parco confinante per ottenere un indennizzo a seguito dei continui danni provocati da cinghiali alle sue piantagioni tra il 2007 e il 2010.

In primo grado, il Tribunale riconosceva il diritto all’indennizzo ma accertava un concorso di colpa dell’agricoltore nella misura del 35%. La situazione cambiava radicalmente in appello: la Corte territoriale, riformando parzialmente la sentenza, elevava la percentuale di concorso colposo dell’agricoltore fino all’80%. La motivazione risiedeva nella grave negligenza riscontrata nella gestione del fondo e, soprattutto, nella mancata realizzazione di idonee barriere protettive (come una recinzione) che avrebbero potuto scoraggiare le incursioni degli animali.

La Questione Giuridica: Risarcimento o Indennizzo?

Il punto centrale della controversia, che si rivelerà decisivo in Cassazione, riguarda il corretto inquadramento giuridico della responsabilità. L’agricoltore, nel suo ricorso, ha tentato di inquadrare la vicenda nell’ambito della responsabilità extracontrattuale generale (art. 2043 c.c.), che richiede la prova di un comportamento doloso o colposo dell’Ente Parco.

Tuttavia, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato un diverso e specifico quadro normativo. Le leggi in materia (L. 157/1992 e L. 394/1991) prevedono un sistema di indennizzo, e non di risarcimento, per i danni da fauna selvatica in aree protette. Questo regime prescinde dall’accertamento di una colpa dell’ente gestore e si basa sulla sola prova del danno subito, ponendo però l’accento anche sul dovere del danneggiato di prevenire o limitare il pregiudizio.

La Ripartizione della Responsabilità per i danni da fauna selvatica

La Corte d’Appello ha ritenuto che l’agricoltore avesse l’onere di porre in essere tutte le precauzioni adeguate per prevenire l’invasione del proprio fondo. La mancata adozione di tali misure, considerate un’ordinaria diligenza, ha giustificato l’attribuzione di una quota di responsabilità preponderante (80%) a suo carico, riducendo drasticamente l’importo dell’indennizzo dovuto dall’Ente Parco.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’agricoltore inammissibile per due ragioni fondamentali.

In primo luogo, il ricorrente ha basato le sue censure su un presupposto giuridico errato. Ha lamentato la violazione dell’art. 2043 c.c., norma che la Corte d’Appello aveva esplicitamente escluso, fondando la propria decisione sul regime speciale dell’indennizzo. Il ricorso, quindi, non criticava il reale fondamento giuridico della sentenza impugnata (il decisum), risultando così non pertinente.

In secondo luogo, le doglianze dell’agricoltore miravano, in sostanza, a ottenere una nuova valutazione dei fatti (come lo stato del fondo e l’onerosità dell’installazione di una recinzione), un’operazione preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non può riesaminare il merito della controversia, ma solo verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi precedenti.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: l’agricoltore che subisce danni da fauna selvatica non è un mero spettatore passivo, ma ha un preciso onere di cooperazione per evitare o ridurre il danno. La mancata adozione di misure protettive, quali recinzioni o altri sistemi di dissuasione, può essere qualificata come concorso colposo e comportare una drastica riduzione dell’indennizzo. La decisione chiarisce inoltre che la responsabilità degli enti parco per tali eventi è regolata da un regime di indennizzo basato su leggi speciali, che si distingue dalla responsabilità per fatto illecito generale.

Chi è responsabile per i danni da fauna selvatica proveniente da un parco?
L’ente gestore del parco è tenuto a corrispondere un indennizzo sulla base di leggi speciali, indipendentemente da una sua colpa specifica. Tuttavia, la responsabilità non è esclusiva, poiché l’agricoltore danneggiato ha il dovere di adottare misure preventive.

Cosa si intende per concorso di colpa dell’agricoltore in caso di danni da fauna selvatica?
Si riferisce alla negligenza dell’agricoltore nel proteggere adeguatamente le proprie colture. Nel caso di specie, la mancata installazione di idonee barriere protettive per scoraggiare l’ingresso dei cinghiali è stata considerata una grave negligenza, che ha portato a una riduzione dell’indennizzo dell’80%.

Perché la Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’agricoltore inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava su un fondamento giuridico errato (la responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 c.c.), mentre la decisione della Corte d’Appello era correttamente basata sul regime speciale di indennizzo. Di conseguenza, il ricorso non criticava la reale motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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