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Danni da cani randagi: la prova del danno non basta

Una cittadina, aggredita da un branco di cani randagi, ha visto respinta la sua richiesta di risarcimento. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di danni da cani randagi, non è sufficiente dimostrare l’aggressione, ma è necessario provare una specifica colpa dell’amministrazione pubblica (come l’ASL) nella gestione del servizio di prevenzione del randagismo. La responsabilità, infatti, si fonda sull’art. 2043 c.c. e l’onere della prova grava interamente sul danneggiato.

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Pubblicato il 30 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danni da cani randagi: non basta dimostrare l’aggressione per il risarcimento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema sensibile e diffuso: i danni da cani randagi. Il caso riguarda una cittadina che, dopo essere stata aggredita da un branco di cani, ha intrapreso un lungo percorso legale per ottenere il risarcimento. La decisione finale della Suprema Corte fornisce chiarimenti fondamentali sull’onere della prova, specificando che la semplice dimostrazione dell’aggressione subita non è sufficiente per far scattare la responsabilità della Pubblica Amministrazione.

I Fatti: Un’aggressione e la richiesta di risarcimento

Nel 2015, una donna veniva aggredita da un branco di cani randagi su una pubblica via, riportando lesioni con postumi permanenti. La donna citava in giudizio il Comune, ritenendolo responsabile per non aver garantito la sicurezza dei cittadini e per non essersi dotato di un canile adeguato. Il Comune, a sua volta, chiamava in causa l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e la propria compagnia assicurativa. Sia il Giudice di Pace che il Tribunale in appello respingevano la domanda, sostenendo che la danneggiata non aveva fornito la prova della colpa degli enti pubblici coinvolti.

La responsabilità per danni da cani randagi: una questione di colpa

La Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale: la responsabilità per i danni causati da animali randagi non rientra nell’ambito dell’art. 2052 c.c. (danno cagionato da animali), che presuppone un rapporto di proprietà o custodia. La responsabilità della Pubblica Amministrazione va invece inquadrata nell’ambito della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. Questo significa che la responsabilità sorge solo in presenza di un comportamento colposo (commissivo o omissivo).

Inoltre, la Corte specifica che la competenza a gestire il fenomeno del randagismo è definita dalle leggi regionali. Nel caso specifico (Regione Puglia), la legge affida all’ASL il compito di cattura e recupero dei cani, mentre al Comune spetta la gestione dei canili per l’accoglienza degli animali già recuperati. Di conseguenza, l’azione per la mancata cattura dei cani andava rivolta all’ASL e non al Comune, che risulta privo di legittimazione passiva.

L’onere della prova nel caso di danni da cani randagi

Il cuore della sentenza risiede nella definizione dell’onere della prova. La Cassazione stabilisce che il cittadino che subisce danni da cani randagi deve provare tre elementi:

1. La condotta colposa dell’ente: Non basta dimostrare che un cane randagio ha causato un danno. È necessario provare una specifica negligenza da parte dell’ente preposto (l’ASL). Ad esempio, dimostrare che il servizio di prevenzione era inesistente, dotato di risorse insufficienti, operava solo saltuariamente o non rispondeva alle segnalazioni.
2. Il danno subito.
3. Il nesso di causalità tra la condotta colposa e il danno.

La sola presenza di un cane vagante, che per sua natura è imprevedibile, non costituisce di per sé prova di una colpa dell’amministrazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della cittadina, ritenendo che la sua argomentazione — secondo cui, una volta provata l’aggressione, spetterebbe all’ASL dimostrare di aver agito diligentemente — invertirebbe erroneamente l’onere della prova. La Corte ha chiarito che alcuni suoi precedenti, apparentemente a sostegno di tale tesi, sono stati male interpretati. Quei precedenti si riferivano alla prova del nesso causale, che può essere presunta tramite la teoria della “concretizzazione del rischio” ma solo dopo che l’attore ha già dimostrato la condotta colposa dell’ente.

La Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: la responsabilità della P.A. per i danni da randagi è soggetta all’art. 2043 c.c. Il danneggiato deve provare la colpa dell’amministrazione (cioè l’insufficiente organizzazione del servizio di prevenzione) e il nesso di causa. La colpa non può essere desunta dal solo fatto che l’incidente sia avvenuto.

Le conclusioni: cosa significa questa sentenza per i cittadini

Questa pronuncia consolida un orientamento rigoroso. Per i cittadini danneggiati da animali randagi, ottenere un risarcimento diventa un percorso giuridicamente complesso. Non è sufficiente presentare un referto medico e la testimonianza dell’aggressione. È indispensabile condurre un’indagine approfondita sull’operato dell’ASL competente, raccogliendo prove concrete che dimostrino una specifica e colpevole inefficienza nella gestione del servizio di prevenzione del randagismo. Ciò richiede un’azione legale ben strutturata e supportata da prove documentali e testimoniali che vadano oltre la semplice narrazione dell’evento dannoso.

Chi è responsabile per i danni causati dai cani randagi?
La responsabilità per i danni da cani randagi ricade sull’ente pubblico a cui la legge regionale affida specificamente il compito di cattura e controllo del randagismo, solitamente l’Azienda Sanitaria Locale (ASL). Tale responsabilità si fonda sull’art. 2043 c.c., quindi richiede la prova di una colpa.

Per ottenere il risarcimento, è sufficiente dimostrare di essere stati morsi da un cane randagio?
No. Secondo la sentenza, non è sufficiente. Il danneggiato ha l’onere di provare non solo l’aggressione e il danno, ma anche una specifica condotta colposa dell’ente preposto, come ad esempio l’insufficiente organizzazione del servizio di prevenzione e cattura.

Cosa deve fare concretamente un cittadino per dimostrare la colpa della Pubblica Amministrazione?
Il cittadino deve fornire prove concrete che il servizio di prevenzione del randagismo non funzionava correttamente. Ad esempio, può dimostrare che l’ASL non aveva destinato risorse adeguate, che il servizio esisteva solo sulla carta, che le segnalazioni dei cittadini venivano ignorate o che gli interventi erano solo sporadici e inefficaci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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