Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28839 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28839 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/10/2025
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliera
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 5191 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto da
COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nei confronti di
NOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
NOME (C.F.: CODICE_FISCALE 78L09 I874B)
rappresentato e difeso dall ‘a vvocato NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonché RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata- per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Firenze n. 1529/2021, pubblicata in data 10 agosto 2021; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
16 ottobre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE DANNI PROVOCATI DA ANIMALI
Ad. 16/10/2025 C.C.
R.G. n. 5191/2022
Rep.
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell’aggressione, da parte di un cane pastore di proprietà di quest’ultimo, nei confronti di un suo gregge . Sono stati chiamati in causa NOME, indicato come custode del cane di proprietà del convenuto, nonché RAGIONE_SOCIALE, assicuratrice della responsabilità civile di quest’ultimo .
La domanda dell’attore è stata accolta dal Tribunale di Grosseto nei confronti del solo COGNOME; è stata, altresì, accolta la domanda di garanzia di questi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’a ppello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre il COGNOME, sulla base di tre motivi.
Resistono con distinti controricorsi il NOME ed il NOME.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’
altra intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
La parte ricorrente nonché il controricorrente NOME hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Il ricorso non risulta regolarmente notificato all’intimato NOME.
Questi ha, però, depositato controricorso, in data 5 agosto 2025: in tale controricorso, oltre a far presente l’omessa notifica del ricorso, spiega difese anche nel merito.
La costituzione del NOME ha sanato il vizio di contraddittorio determinato dall’omessa notifica del ricorso, tenuto conto che quest’ultimo era stato regolarmente notificato agli altri legittimati passivi e, di conseguenza, non avrebbe potuto esserne
Ric. n. 5191/2022 – Sez. 3 – Ad. 16 ottobre 2025 – Ordinanza – Pagina 2 di 9
dichiarata l’inammissibilità, dovendo eventualmente disporsi semplicemente l’integrazione del contraddittorio, mediante una nuova notificazione al NOME: integrazione del contraddittorio ormai superflua, essendosi il NOME costituito.
Per quanto attiene al merito del ricorso, va premesso che tutti e tre i motivi alla base dello stesso denunziano « omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti » ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 5, c.p.c..
Ma tali censure sono in radice inammissibili, in quanto non consentite, in caso di cd. doppia decisione conforme nel giudizio di merito, certamente sussistente nella specie in relazione alle questioni controverse, ai sensi dell’art. 348 ter , ultimo comma, c.p.c., disposizione abrogata, ma sostanzialmente oggi trasfusa nel comma 4 dell’art. 360 c.p.c. .
In ogni caso, i singoli motivi del ricorso devono ritenersi inammissibili anche per altre e indipendenti ragioni, di cui è opportuno dare sinteticamente conto.
Con il primo motivo si denunzia « paragrafi 4 e 5 pag. 7 della sentenza di appello – Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all ‘ art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. per avere la Corte escluso il potere di governo e, quindi, di custodia dell ‘ animale da parte del COGNOME NOME nonché per aver ritenuto non provato che il COGNOME abbia potuto avere periodi di assenza dalla propria villa ».
3.1 Le censure poste al base del motivo di ricorso in esame sono fondate su un assunto di diritto erroneo e, cioè, l’assunto secondo il quale, ai sensi dell’art. 2052 c.c., dei danni causati dagli animali risponde chi ha, in concreto, la temporanea ‘ custodia ‘ dell’animale, in qualche modo assimilando tale fattispecie normativa a quella dell’art. 2051 c.c., relativo alle cose.
Al contrario, la fattispecie normativa speciale di imputazione della responsabilità prevista dall’art. 2052 c.c., non è affatto
costruita sulla nozione di ‘ custodia ‘, bensì su quella di ‘ utilizzazione ‘ , ovvero -dovrebbe forse dirsi, più precisamente -di ‘ sfruttamento economico o funzionale ‘: risponde dei danni chi utilizza l’animale per trarne una propria utilità.
Del resto, lo stesso art. 2052 c.c. esclude espressamente che abbia rilievo, ai fini della responsabilità, il fatto che l’utilizzatore dell’animale ne abbia la custodia o meno.
In altri termini, dei danni causati dagli animali risponde, alternativamente, il proprietario, ovvero il soggetto che si serve dell’animale per soddisfare un proprio interesse , non il suo custode, in quanto tale.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disposizione per cui « chi si serve di un animale è responsabile dei danni dallo stesso cagionati per il tempo in cui lo ha in uso, trova il proprio fondamento nel principio per cui chi fa uso dell’animale nell’interesse proprio e per il perseguimento di proprie finalità, anche se non economiche, è tenuto risarcire i danni arrecati ai terzi che siano causalmente collegati al suddetto uso » (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10189 del 28/04/2010: in questa decisione è stata esclusa la responsabilità di un militare che aveva subito danni a causa della conAVV_NOTAIOa di un cavallo che montava per servizio e che, quindi, era evidentemente nella sua custodia di fatto; nel medesimo senso si pone la giurisprudenza di questa stessa Corte sulla responsabilità del maneggio per i danni causati dai cavalli affidati ai cavalieri che li noleggiano, fondata sul principio per cui ci si può servire di un animale anche tramite terzi, cui l’animale è affidato e, in tal caso, la responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. grava comunque sul soggetto che si serve dell’ animale tramite il terzo, e non sul terzo affidatario e, cioè, custode temporaneo dello stesso; cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 979 del 21/01/2010; Sez. 3, Sentenza n. 14743 del 17/10/2002; Sez. 3, Sentenza n. 12025 del 12/09/2000; Sez. 3, Sentenza n. 12307 del 04/12/1998).
È, quindi, evidente che la stessa prospettazione del ricorrente, secondo cui il cane responsabile del danno, pacificamente di sua proprietà, avrebbe dovuto ritenersi nella ‘ custodia ‘ del suo dipendente NOME, quale custode della proprietà dove era tenuto l’animale, in quanto egli era spesso a lungo assente da detta proprietà e il NOME si occupava, pertanto, del cane e dei suoi bisogni, non è sufficiente, già in diritto ancor prima che in fatto, ad escludere la sua responsabilità ai sensi dell’art. 2052 c.c ., non avendo alcun rilievo la effettiva ‘custodia’ dell’animale e non essendo, d’altronde, neanche stata adeguatamente allegata, prima ancora che provata, una situazione tale da configurare una utilizzazione dell’animale da parte del NOME per la soddisfazione di un interesse proprio.
Quello che pare emergere chiaramente dagli atti di causa è che il cane del COGNOME era utilizzato nella sua proprietà (non ha rilievo stabilire se per fini di difesa o di compagnia) e, pertanto, esso era affidato al custode di tale proprietà, affinché questi lo accudisse, ma comunque per soddisfare un interesse proprio del COGNOME e non certo un interesse del suo dipendente.
3.2 L a corte d’appello solo apparentemente sembra avere assunto a fondamento della sua decisione il principio per cui avrebbe rilievo, ai fini della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., se il cane era nella ‘custodia’ del NOME o meno e, in tale ottica, abbia escluso proprio tale eventualità in fatto.
In realtà l’errore di diritto , nella sentenza impugnata, è solo apparente perché la corte d’appello, in definitiva, nel decidere sui motivi di gravame, si è limitata a confermare la sentenza di primo grado, in cui viene enunciato espressamente quanto segue: « nel caso di specie, non soltanto non è in alcun modo stato provato che il COGNOME abbia incaricato il COGNOME di custodire il cane, in quanto custode della villa -non potendo in tal senso ritenersi sufficiente la mera circostanza che il proprietario abbia lasciato l’animale nella proprietà affidata al custode ma in
ogni caso si sarebbe comunque trattato di una custodia nell’interesse del proprietario, priva di potere di autonoma gestione dell’animale per un proprio interesse , che sola può far scattare la liberazione del proprietario dalla responsabilità ».
Dunque, la corte d’appello, laddove afferma che non « risulta provato che il COGNOME abbia potuto avere periodi di assenza dalla propria villa, tanto lunghi, da poter sostenere che il ‘pastore tedesco’ fosse oramai nell’esclusivo rapporto di fatto con il dipendente, tanto da ingenerare la costante presenza di un rapporto di custodia, dal quale far discendere le responsabilità di cui si discute » ha, implicitamente, ma inequivocabilmente, affermato che non è stata raggiunta la prova della sussistenza, in capo al NOME, di un « potere di autonoma gestione dell’animale per un proprio interesse ».
3.3 Stando così le cose, il motivo di ricorso in esame:
a) per un verso, risulta manifestamente infondato in diritto (e, come tale, è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis , comma 1, n. 1, c.p.c.), in quanto contesta la decisione sulla base di un assunto giuridico erroneo e, cioè, che avrebbe rilievo il rapporto di custodia di fatto dell’animale (più precisamente, avrebbe rilievo chi sia il soggetto nella cui ‘ sfera di controllo ‘ si trova l’animale, ovvero chi abbia la ‘ materiale disponibilità ‘ dello stesso) e non l’interesse che la sua utilizzazione è diretta a soddisfare;
b) per altro verso, è inammissibile: b1) sia perché non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della statuizione impugnata, più sopra chiarita; b2) sia perché si risolve in una sostanziale contestazione della valutazione delle prove in ordine all’accertamento di fatto sull’individuazione del suddetto interesse, che la corte d’appello ha accertato essere esclusivamente quello del proprietario del cane, e non quello del custode della proprietà dove veniva tenu to l’animale,
indipendentemente dal fatto che fosse proprio il custode del l’immobile a soddisfare i bisogni di quest’ultimo, in assenza del proprietario.
Con il secondo motivo si denunzia « paragrafo 6-12- pa2. 78 della sentenza di appello -Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all ‘ art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. per avere la Corte ascritto il sinistro al pastore tedesco di proprietà del COGNOME ».
Il ricorrente contesta l’accertamento di fatto svolto dai giudici del merito in ordine alla riconducibilità dell’aggressione al gregge dell’attore al suo cane.
Il motivo è inammissibile, in quanto le censure con esso formulate si risolvono, in sostanza, nella contestazione di un accertamento di fatto fondato sulla prudente valutazione delle prove da parte dei giudici del merito (con doppia decisione conforme), sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove stesse, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
È, poi, appena il caso di rilevare che è del tutto inconferente, anche in diritto, il richiamo alla regola di giudizio sul nesso di causa tra conAVV_NOTAIOa ed evento cd. del « più probabile che non », in quanto, nella specie, è in contestazione l’attribuibilità della conAVV_NOTAIOa all’animale di proprietà del convenuto, che deve essere accertata in fatto sulla base del materiale probatorio disponibile (accertamento rispetto al quale non ha alcun rilievo la regola dell’accertamento del rapporto di causalità), e non il n esso di causa tra tale conAVV_NOTAIOa e l’evento dannoso .
Non è, infatti, in dubbio (né potrebbe esserlo) che, una volta stabilito che l’aggressione al gregge sia effettivamente ed esclusivamente imputabile al cane del COGNOME, la morte delle pecore sia in nesso di causa con la conAVV_NOTAIOa del cane stesso.
Altrettanto è a dirsi per il richiamo, al di fuori dei presupposti normativi che lo consentirebbero, al cd. fatto notorio.
Con il terzo motivo si denunzia « paragrafo 6-12 pag. 8-9 della sentenza di appello – Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all ‘ art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., circa la quantificazione del quantum debeatur ».
Secondo il ricorrente , la corte d’appello avrebbe liquidato erroneamente anche il danno derivante dall’abbattimento di alcune pecore che, a suo dire, secondo le valutazioni del primo consulente tecnico nominato, non era in realtà conseguenza dell’aggressione del suo cane.
Il motivo è inammissibile, dal momento che anche le censure con esso formulate si risolvono, in sostanza, nella contestazione di un accertamento di fatto fondato sulla prudente valutazione delle prove da parte dei giudici del merito (con doppia decisione conforme), sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove stesse, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Inoltre, il motivo di ricorso non è sufficientemente specifico, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., nel richiamare il contenuto degli atti difensivi e gli esatti termini in cui la specifica questione con esso posta era stata eventualmente oggetto dei motivi di gravame avanzi nel corso del giudizio di secondo grado.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo, con distrazione, per quelle spettanti al NOME, in favore del suo difensore, avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che ha reso la dichiarazione di anticipo prescritta dall’art. 93 c.p.c..
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole: a) per il controricorrente COGNOME, in complessivi € 2.400,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge; b) per il controricorrente NOME, in complessivi € 3.100,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore del difensore, avvocato AVV_NOTAIO COGNOME;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P .R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 16 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME