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Danni da animali: chi paga se il cane è di un altro?

Il proprietario di un gregge, danneggiato dall’attacco di un cane pastore, cita in giudizio il proprietario dell’animale. Quest’ultimo tenta di trasferire la colpa al proprio dipendente, custode di fatto del cane. La Corte di Cassazione, confermando le sentenze precedenti, stabilisce che la responsabilità per i danni da animali ricade su chi ne trae un’utilità, non sul mero custode. Il ricorso viene dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danni da animali: chi paga tra proprietario e custode? La Cassazione fa chiarezza

La questione della responsabilità per i danni da animali è un tema di grande rilevanza pratica. Cosa succede se il cane che provoca un danno è affidato a un’altra persona? Risponde il proprietario o chi se ne stava occupando in quel momento? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la responsabilità non si basa sulla mera “custodia”, ma sull'”utilizzazione” dell’animale per un proprio interesse.

I Fatti di Causa

Un allevatore subiva ingenti danni al proprio gregge a seguito dell’aggressione da parte di un cane da pastore. L’allevatore decideva quindi di agire in giudizio contro il proprietario del cane per ottenere il risarcimento. Il proprietario, a sua volta, chiamava in causa un suo dipendente, sostenendo che fosse quest’ultimo il vero custode dell’animale e, di conseguenza, il responsabile del danno. Il dipendente, infatti, si occupava della proprietà dove il cane viveva e provvedeva ai suoi bisogni, soprattutto durante le assenze del proprietario.

L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello davano ragione all’allevatore danneggiato, condannando il proprietario del cane al risarcimento. Le corti di merito ritenevano che la responsabilità non potesse essere trasferita al dipendente. Insoddisfatto, il proprietario ricorreva alla Corte di Cassazione, basando le sue doglianze su un presunto “omesso esame di un fatto controverso e decisivo”: a suo dire, i giudici non avevano adeguatamente considerato che la custodia di fatto dell’animale era esercitata esclusivamente dal suo dipendente.

La Responsabilità per danni da animali secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per chiarire in modo definitivo i criteri di imputazione della responsabilità ai sensi dell’art. 2052 del Codice Civile. Secondo gli Ermellini, il ricorso si fondava su un presupposto giuridico errato.

La norma, infatti, non lega la responsabilità alla nozione di “custodia”, come avviene per i danni da cose (art. 2051 c.c.), bensì a quella di “utilizzazione”. Risponde dei danni chi si serve dell’animale per trarne un’utilità, che sia di natura economica, funzionale o anche solo di compagnia. Il fatto che l’animale sia materialmente accudito da un terzo non è di per sé sufficiente a escludere la responsabilità del proprietario, se l’utilizzo dell’animale continua a rispondere a un interesse di quest’ultimo.

Nel caso specifico, il cane era tenuto nella proprietà del ricorrente per soddisfare un suo interesse (fosse esso di guardia o di compagnia). Il dipendente, accudendolo, agiva semplicemente come un ausiliario del proprietario, senza trarre un interesse proprio e autonomo dall’animale.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione su due pilastri principali.

Il primo, di natura sostanziale, riguarda l’interpretazione dell’art. 2052 c.c. La giurisprudenza costante, richiamata nell’ordinanza, stabilisce che il fondamento della responsabilità risiede nel principio per cui “chi fa uso dell’animale nell’interesse proprio e per il perseguimento di proprie finalità… è tenuto a risarcire i danni arrecati ai terzi”. La responsabilità grava, alternativamente, sul proprietario o su chi si serve dell’animale, non sul custode in quanto tale. Per trasferire la responsabilità, sarebbe stato necessario dimostrare che il dipendente utilizzava il cane per un interesse personale e autonomo, con un proprio “potere di autonoma gestione”, circostanza non provata né adeguatamente allegata.

Il secondo pilastro è di natura processuale. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile anche in applicazione del principio della “doppia decisione conforme”. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano raggiunto la medesima conclusione, era preclusa la possibilità di contestare in Cassazione l’accertamento dei fatti, come la riconducibilità dell’aggressione al cane del ricorrente o la quantificazione del danno.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio in materia di responsabilità per danni da animali. La sentenza chiarisce che delegare la cura quotidiana del proprio animale a terzi (come dog-sitter, dipendenti o familiari) non solleva automaticamente il proprietario dalla responsabilità per i danni che questo potrebbe causare. La responsabilità permane in capo a chiunque utilizzi l’animale per un proprio interesse. Solo nel caso in cui un terzo acquisisca un potere di gestione autonomo sull’animale per un fine proprio, la responsabilità potrà essere a lui trasferita. Una lezione importante per tutti i proprietari di animali, che devono essere consapevoli delle proprie responsabilità civili, al di là di chi si occupi materialmente del loro amico a quattro zampe.

Chi è responsabile per i danni causati da un animale secondo l’art. 2052 c.c.?
Secondo la Corte di Cassazione, la responsabilità ricade sul proprietario dell’animale o su chi se ne serve per un determinato periodo di tempo, traendone un’utilità o un interesse proprio. La responsabilità non si fonda sulla custodia materiale, ma sul principio di utilizzazione.

Affidare il proprio cane a un’altra persona, come un dipendente, esclude la responsabilità del proprietario?
No, non necessariamente. Se il terzo si limita ad accudire l’animale per conto del proprietario, la responsabilità rimane in capo a quest’ultimo, poiché l’utilizzo dell’animale continua a soddisfare un suo interesse (es. guardia, compagnia). La responsabilità si trasferisce solo se il terzo acquisisce un potere di gestione autonomo sull’animale per perseguire un interesse proprio.

Cosa significa “doppia decisione conforme” e quali conseguenze ha sul ricorso in Cassazione?
È un principio processuale secondo cui, se la sentenza della Corte d’Appello conferma integralmente la decisione del Tribunale, non è possibile presentare ricorso in Cassazione per motivi legati a un’errata valutazione dei fatti. Questo limita il giudizio di legittimità alle sole questioni di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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