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Danni cani randagi: la colpa va provata?

Un cittadino ha citato in giudizio un comune e un’ASL per i danni subiti a seguito dell’aggressione da parte di un cane randagio. Dopo una condanna in appello, il comune ha presentato ricorso in Cassazione. Con un’ordinanza interlocutoria, la Suprema Corte non decide il caso, ma lo rinvia a pubblica udienza per affrontare la fondamentale questione di diritto: per ottenere il risarcimento per i danni da cani randagi, la vittima deve dimostrare la colpa specifica dell’ente pubblico?

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danni da Cani Randagi: la Cassazione si Interroga sulla Prova della Colpa

Il tema dei danni cani randagi è una questione ricorrente nelle aule di tribunale, che bilancia la sicurezza dei cittadini con le responsabilità delle amministrazioni pubbliche. Con una recente ordinanza interlocutoria, la Corte di Cassazione ha deciso di fermarsi a riflettere su un punto cruciale: chi subisce un’aggressione deve provare la colpa specifica del Comune per ottenere un risarcimento? La risposta a questa domanda potrebbe cambiare l’approccio a questi casi in tutta Italia.

La Vicenda Processuale

I fatti sono semplici e, purtroppo, non rari. Un cittadino viene aggredito e morso da un cane randagio. Decide quindi di citare in giudizio sia il Comune che l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) competente per ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Inizialmente, il tribunale di primo grado respinge la sua richiesta. Il cittadino non si arrende e impugna la decisione davanti alla Corte d’Appello, che ribalta il verdetto e condanna in solido il Comune e l’ASL a risarcirlo.

Insoddisfatto, il Comune porta la questione fino all’ultimo grado di giudizio, proponendo ricorso alla Corte di Cassazione. L’argomento principale del Comune è che la sentenza d’appello sarebbe errata perché non è stata fornita la prova di una specifica condotta colposa a suo carico.

La Questione sulla Prova della Colpa per i Danni da Cani Randagi

Il nodo della questione, che la Cassazione ha ritenuto di importanza fondamentale, riguarda l’onere della prova. Secondo il modello generale di responsabilità per fatto illecito, previsto dall’articolo 2043 del Codice Civile, chi chiede un risarcimento deve dimostrare tre elementi: il danno subito, il comportamento illecito di un altro soggetto e il nesso di causalità tra i due. Inoltre, deve provare la ‘colpa’ o il ‘dolo’ di chi ha agito.

Nel contesto dei danni cani randagi, questo si traduce in una domanda: il cittadino morso deve limitarsi a provare l’aggressione e il danno, oppure deve spingersi oltre e dimostrare che il Comune (o l’ASL) ha agito con negligenza, ad esempio non attivando adeguati servizi di accalappiamento o non monitorando il territorio? Provare una tale ‘colpa’ organizzativa può essere estremamente difficile per un singolo individuo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, con questa ordinanza, non fornisce ancora una risposta definitiva. Al contrario, prende atto della rilevanza della questione. I giudici la definiscono di ‘rilievo nomofilattico’, un termine tecnico che indica l’importanza di una decisione per garantire che la legge venga applicata in modo uguale e coerente in tutto il Paese.

Proprio per questa ragione, il Collegio ha ritenuto che una questione così delicata e con potenziali impatti su innumerevoli casi simili non potesse essere decisa in una camera di consiglio (una riunione più ristretta e con procedura semplificata). Ha quindi disposto il rinvio della causa alla pubblica udienza della Sezione, dove il dibattito sarà più ampio e approfondito, consentendo un esame completo di tutti gli aspetti giuridici coinvolti.

Conclusioni

L’ordinanza interlocutoria non chiude la partita, ma la apre a uno scenario più ampio. La decisione di rinviare a pubblica udienza segnala che la Suprema Corte è pronta a una riflessione profonda sulla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione per il fenomeno del randagismo. La sentenza finale, che seguirà l’udienza pubblica, è attesa con grande interesse perché potrebbe consolidare l’orientamento esistente o introdurre nuovi principi, chiarendo definitivamente quale sia il percorso che le vittime di aggressioni da cani randagi devono seguire per vedere tutelati i propri diritti. Si tratta di stabilire un punto fermo sull’equilibrio tra oneri probatori del cittadino e doveri di protezione e controllo degli enti pubblici.

Qual è la questione principale che la Corte di Cassazione ha deciso di approfondire?
La questione fondamentale è se, per ottenere il risarcimento dei danni causati da cani randagi, il cittadino danneggiato debba provare una specifica condotta colposa (negligenza o imprudenza) da parte dell’ente pubblico (Comune o ASL) responsabile del controllo del randagismo, secondo lo schema dell’art. 2043 del codice civile.

La Corte di Cassazione ha dato ragione al Comune o al cittadino?
In questa ordinanza, la Corte non ha dato ragione a nessuna delle parti. Ha semplicemente ritenuto la questione legale troppo importante per essere decisa con una procedura semplificata e ha rinviato il caso a una pubblica udienza per una discussione più approfondita. La decisione sul merito non è stata ancora presa.

Cosa significa che la questione ha “rilievo nomofilattico”?
Significa che la questione giuridica è di particolare importanza per garantire un’interpretazione della legge corretta e uniforme su tutto il territorio nazionale. La futura sentenza della Corte avrà quindi valore di principio e guiderà la risoluzione di tutti i casi simili in Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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