Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34362 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 34362 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
Con ricorso, depositato innanzi al Tribunale di Gorizia, NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE impugnavano l’ordinanza ingiunzione, prot. n. AMB/ORD/51/2018, emessa in data 4 settembre 2018 e notificata il 10 settembre 2018, nonché i presupposti verbali di accertamento e contestazione del 12 dicembre 2013, notificati in data 16 dicembre 2013, con cui la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia irrogava una sanzione amministrativa di euro 209.300, contestando ai ricorrenti, quali responsabili in solido, la violazione degli artt. 193 e 258 d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, per avere effettuato n. 805 trasporti di rifiuti non pericolosi costituiti da sansa di olive indicando nel formulario il codice CER errato, lamentando, in via preliminare, la violazione dell’art. 14 l. n. 689/1981, per non essere state notificate tempestivamente le violazioni agli stessi ascritte; nel merito, l’insussistenza dell’elemento soggettivo nella condotta e l’erronea qualificazione da parte degli agenti accertatori della sansa disoleata quale rifiuto e non come sottoprodotto, ragione per la quale non doveva ritenersi soggetta alla compilazione del relativo formulario per il trasporto. Inoltre, i ricorrenti deducevano la non sanzionabilità del mero trasporto per essere stato effettuato per
conto di terzi: infatti, la sansa già disoleata era stata trasportata su mezzi della società Rossi RAGIONE_SOCIALE, di cui NOME COGNOME era legale rappresentante, dallo stabile di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, di cui lo stesso COGNOME era amministratore unico, sino al sito di stoccaggio della centrale termoelettrica sita a Monfalcone.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della Regione, il Tribunale di Gorizia, all’esito dell’istruttoria svolta con l’acquisizione documentale, con la sentenza n. 174/2019, deposita il 16 maggio 2019, rigettava l’opposizione con condanna alle spese.
In virtù di impugnazione interposta dal COGNOME e dalle originarie società ricorrenti, la Corte d’appello di Trieste, nella resistenza dell’Amministrazione, con sentenza n. 498 del 2020, rigettava il gravame.
A sostegno della decisione il Collegio di secondo grado, respinta preliminarmente l’eccezione di tardività della notifica del provvedimento sanzionatorio, per essere intervenuta ai sensi dell’art. 14 l. n. 689/1981, ossia in seguito al nulla osta rilasciato dall’autorità giudiziaria procedente nei confronti dello stesso NOME COGNOMEquale indagato nell’ambito di una più ampia attività investigativa penale avente ad oggetto un traffico illecito di rifiuti), nel merito, qualificava la sansa già disoleata, oggetto del trasporto, quale rifiuto speciale e non quale sottoprodotto, in mancanza dei requisiti previsti dall’art. 184 bis del d.lgs. n. 152/2006. RAGIONE_SOCIALE infatti, non risultava svolgere attività di produzione della sansa al termine di un ciclo produttivo industriale, ma aveva il solo ruolo di intermediario acquirente della stessa già esausta per il suo incenerimento nella centrale termoelettrica di Monfalcone. Rigettava, altresì, il motivo di gravame relativo alla denuncia di violazione dell’art. 3 l. n. 689/1981, ravvisando l’elemento soggettivo della colpa nella errata compilazione dei documenti previsti per il trasporto.
Qualificata la sansa quale rifiuto, era evidente l’applicabilità degli adempimenti e degli obblighi di cui agli artt. 188, 189, 190 e 193 del d.lgs. n. 152/2006, a detta dei quali non vi è alcuna distinzione tra il trasporto di rifiuti propri o di rifiuti di terzi.
Infine, la Corte d’appello di Trieste dichiarava infondata la censura relativa alla mancata applicazione del cumulo giuridico di cui all’art. 8 l. n. 689/1981, argomentando dal requisito della non unicità dell’azione costituita da n. 805 trasporti, quindi da una pluralità di azioni.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Trieste hanno proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sulla base di nove motivi, cui ha resistito la Regione autonoma FVG con controricorso.
Il ricorso è stato inizialmente avviato alla trattazione in camera di consiglio e con ordinanza interlocutoria n. 28077/2023, pronunciata all’esito dell’adunanza camerale del 27 maggio 2023, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, in considerazione della rilevanza delle questioni giuridiche da trattare.
In prossimità della pubblica udienza del giorno 13 febbraio 2024 il Pubblico Ministero, in persona del dott. NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.
Hanno, altresì, depositato memorie ex art. 378 c.p.c. sia i ricorrenti sia la controricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14 l. n. 689/1981, per non avere il giudice del merito riconosciuto la maturata decadenza dell’Amministrazione dal potere sanzionatorio, avendo la stessa notificato l’ordinanza ingiunzione oltre i termini previsti dalla legge, anche tenendo conto della data di rilascio del
nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria competente per l’indagine penale.
Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., per la violazione e la falsa applicazione dell’art. 24 l. n. 689/1981, poiché la connessione oggettiva costituisce l’unico caso di differimento della notificazione del provvedimento amministrativo in seguito ad una valutazione di pregiudizialità effettuata dal Giudice penale. Fattispecie che ad avviso dei ricorrenti non ricorrerebbe nel caso in esame stante la sentenza di assoluzione di NOME COGNOME
Il primo e il secondo motivo sono infondati e, per la connessione logica e argomentativa che li avvince, è possibile la loro trattazione congiunta.
La costante giurisprudenza di legittimità sancisce che, « in tema di sanzioni amministrative, al di fuori dell’ipotesi di connessione per pregiudizialità, disciplinata dall’art. 24 della l. n. 689 del 1981, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, il termine stabilito dall’art. 14 della citata legge per la notificazione della contestazione decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria all’autorità amministrativa, posto che, qualora fosse consentito agli agenti accertatori di contestare immediatamente all’indagato la violazione amministrativa, l’autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall’art. 329 cod. proc. pen. » (Cass. 5 novembre 2009, n. 23477; Cass. 30 marzo 2010, n. 7754; Cass. 20 aprile 2018, n. 9881).
La massima citata evidenzia che, secondo l’art. 14 l. n. 689 del 1981, ove non sia possibile procedere a contestazione immediata della violazione amministrativa, gli estremi devono essere notificati entro novanta giorni dall’accertamento (comma 2); inoltre, qualora
gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti eseguiti nel contesto di un’indagine penale, il suddetto termine di novanta giorni decorre dal momento in cui tali atti, relativi alla violazione, sono ricevuti dall’autorità amministrativa competente in seguito all’emanazione di un nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria procedente (comma 3).
L’art. 24 l. n. 689 del 1981, invece, disciplina l’ipotesi della connessione per pregiudizialità, che ricorre quando l’esistenza di un reato dipende dall’accertamento di una violazione amministrativa, attribuendo all’autorità giudiziaria competente a conoscere il reato la cognizione anche della violazione amministrativa (comma 1): la vis attractiva della fattispecie penale, comportando lo spostamento della competenza in capo al giudice penale in ordine alla violazione amministrativa, preclude fin dall’origine ogni potere sanzionatorio della P.A. e, con esso, lo svolgimento di qualsiasi attività preordinata a tal fine; pertanto, essendosi chiuso il procedimento penale, qualora gli atti vengano trasmessi all’autorità amministrativa, questa, divenuta nuovamente competente, è legittimata ad avvalersi, ai fini dell’assunzione delle proprie determinazioni, di tutti gli atti, gli accertamenti e le deduzioni difensive svolti in quella precedente sede.
Quella disciplinata dall’art. 24 legge cit., quindi, è una soltanto delle ipotesi di connessione che in astratto possono verificarsi fra l’illecito amministrativo e quello penale. Si tratta della connessione per pregiudizialità, mentre, fra quelle non espressamente previste, vi è anche la connessione c.d. probatoria che ricorre quando, come nella specie, gli elementi rilevanti ai fini della prova dell’illecito amministrativo sono acquisiti nell’ambito di un procedimento penale senza che fra l’illecito amministrativo ed il reato sussista il rapporto di dipendenza e pregiudizialità previsto dal citato art. 24.
L’interpretazione sistematica della normativa in esame, in questo modo, induce a ritenere che, anche nell’ipotesi in cui la violazione
amministrativa emerga dagli atti penali senza che ricorra l’ipotesi della connessione per pregiudizialità del reato con l’illecito amministrativo, gli agenti accertatori non possano trasmettere gli atti all’autorità amministrativa senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, atteso che spetta a quest’ultima verificare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, ove ritenga che non sussistono i relativi presupposti, adottare gli eventuali provvedimenti per la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa: la previsione del segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p., che anche gli agenti accertatori sono tenuti ad osservare, impedisce che questi possano assumere l’iniziativa di portare a conoscenza dell’indagato, attraverso la contestazione della violazione amministrativa, gli elementi raccolti nell’ambito delle indagini penali, la cui divulgazione potrebbe compromettere l’andamento delle indagini stesse. E, in tal caso, il termine per la notificazione del provvedimento di cui all’art. 14, il cui rispetto è posto in capo all’autorità amministrativa procedente, non può che decorrere dalla ricezione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria secondo quanto stabilito dal comma 3. In tali casi, dunque, il termine di novanta giorni, di cui all’art. 14 della l. n. 689 del 1981, decorre dal nulla osta rilasciato dall’autorità giudiziaria in favore della P.A. competente a sanzionare l’illecito amministrativo, al fine di permetterle l’utilizzo degli atti rilevanti, confluiti nel fascicolo del pubblico ministero e presupposto sia dell’attività investigativa che di quella accertativa.
Nella specie, nel giudizio di merito è stato accertato che tale termine di novanta giorni per la notificazione della contestazione è stato rispettato dall’autorità amministrativa competente, la quale ha notificato i provvedimenti sanzionatori in termini, ed in particolare nei giorni 16 e 18 dicembre 2013, dopo il rilascio del nulla osta dell’autorità giudiziaria del 25 ottobre 2013 (v. controricorso a p. 15, circostanza non contestata dai ricorrenti).
Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., per avere la Corte d’appello di Trieste omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. In particolare, non avrebbe tenuto conto che il nulla osta del Pubblico Ministero era stato rilasciato il 1° febbraio 2012, mentre gli atti di contestazione erano stati notificati solo in data 19 dicembre 2013, con la conseguenza che non sarebbero stati rispettati i termini previsti dall’art. 14 l. n. 689/1981.
Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere il giudice del gravame omesso di esaminare la nota n. 27566/08 del 3 ottobre 2008 della Provincia di Gorizia, con la quale è stato affermato che il deposito e la lavorazione delle sanse disoleate non necessitano di autorizzazioni provinciali alla gestione dei rifiuti rilasciata ai sensi del d.lgs. 152/2006 e della legge regionale n. 30/1987 stante l’impossibilità di poterla qualificare a priori e in via presuntiva quale rifiuto.
Inoltre, con il sesto motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., per avere il giudice di merito omesso di esaminare, quale fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, l’avvenuta archiviazione da parte dell’Amministrazione delle posizioni di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE c/o terzi per una situazione identica a quella dei ricorrenti. In particolare, il giudice di merito non avrebbe esaminato il provvedimento, prodotto dai ricorrenti, adottato dall’Amministrazione resistente nei confronti dei soggetti sopra indicati, nel quale viene espressamente affermato che la classificazione quale rifiuto del ‘ polpino di olive esauste denocciolato ‘ sarebbe oggettivamente estranea alla sfera di cognizione del trasportatore, dovendosi per di più escludere
‘ qualsivoglia responsabilità a titolo di colpa ex art. 3 c. 2 della L. n. 689/81 ‘.
Tutte e tre le censure sono inammissibili sotto molteplici profili.
Va in primo luogo osservato che, ricorrendo nel caso di specie un’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter commi 4 e 5 c.p.c., è inammissibile la censura ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., sollevata con i sopraesposti motivi di ricorso, e ciò non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi il fatto che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (da ultimo, Cass. 9 marzo 2022 n. 7724). La doglianza prospettata per di più, in particolare per quanto attiene al quinto e al sesto motivo, è inammissibile in quanto si risolve in una mera critica all’apprezzamento del giudice di merito, al fine di ottenere un riesame delle produzioni documentali, non ammissibile in sede di legittimità. Del resto, il ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare l’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, dando così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. 13 gennaio 2020, n. 331; Cass. 23 marzo 2017, n. 7523; Cass. 4 novembre 2010, n. 24679; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).
Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., si lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 689/1981 per non avere il giudice di merito ritenuto sussistere il difetto dell’elemento soggettivo nella condotta illecita, dal momento che nei ricorrenti era radicata la convinzione che la sansa trasportata non doveva essere qualificata quale rifiuto, ma quale sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184 bis del d.lgs. 152/2006.
Il motivo è infondato.
Va premesso che la sansa disoleata, in difetto dei requisiti previsti dall’art. 184 -bis del d.lgs. n. 152/2006 per la qualificazione come sottoprodotto, è riconosciuta dalla costante giurisprudenza penale di legittimità quale rifiuto, sottoponendola per il relativo trattamento alla rispettiva disciplina in materia (Cass. pen. 1° febbraio 2019 n. 4952; Cass. pen. 8 gennaio 2013 n. 512; Cass. pen. 21 gennaio 2008 n. 3088).
La suddetta disposizione normativa prevede cogenti condizioni, il cui concomitante rispetto sottrae una determinata sostanza o oggetto al regime dei rifiuti, rendendo invece applicabile la disciplina prevista per i sottoprodotti; in particolare, occorre che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni (Cass. pen. 6 marzo 2020 n. 9056): « a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana ».
La Corte di merito nella sentenza impugnata (v. p. 5 del provvedimento) ha rilevato che, nel caso di specie, l’attività di trattamento della sansa da parte dei ricorrenti non aveva ad oggetto un sottoprodotto, difettandone i suddetti requisiti previsti dalla normativa in esame, bensì aveva ad oggetto un rifiuto, non svolgendo la RAGIONE_SOCIALE attività di produzione o di trasformazione della sansa, avendo la società soltanto il ruolo di intermediario, in quanto acquistava questa già disoleata da terzi come sansa esausta, stoccandola nel proprio deposito, prima del suo conferimento alla centrale termoelettrica di Monfalcone per il successivo incenerimento.
Inoltre, la Corte d’appello, constatando l’insussistenza nell’attività dei ricorrenti di un processo industriale che potesse far ritenere la sansa disoleata quale sottoprodotto, ha concluso per la sua qualificazione come rifiuto, confermando l’illiceità della condotta ed escludendo, in osservanza della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2017 n. 22082), qualsiasi riferimento alla presenza o meno dell’elemento soggettivo della colpa, rilevato che la RAGIONE_SOCIALE è una persona giuridica solidalmente responsabile con il trasgressore materiale delle norme violate. Infatti, secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione, « in tema di sanzioni amministrative, la solidarietà prevista dall’art. 6 della l. n. 689 del 1981 non si limita ad assolvere una funzione di garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, sicché l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale », per cui il comma 3 dell’art. 6 l. n. 689/1981 non ammette alcuna rilevanza dell’elemento soggettivo per la persona giuridica obbligata in solido, né la possibilità di alcuna prova liberatoria per l’insussistenza della colpevolezza, contrariamente a quanto previsto
per l’elemento soggettivo della persona fisica autrice materiale della condotta illecita. In effetti, nei confronti di quest’ultima, secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, l’art. 3 della l. n. 689 del 1981 pone, in capo ad essa, una presunzione di colpa, riservando all’autore del fatto vietato l’onere di provare di aver agito in difetto dell’elemento soggettivo (da ultimo v. Cass. 10 agosto 2023 n. 24386; Cass. 9 marzo 2020 n. 6625; Cass. 8 febbraio 2016 n. 2406; Cass. 2 marzo 2016 n. 4114).
In tal caso, però, la Corte di merito (v. p. 6 della sentenza impugnata) ha rilevato che se da un lato, la condizione per cui « la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze » (art. 6 comma 3 l. 689/1981), è stato ampiamente dimostrato dalle copie dei formulari e dall’ulteriore materiale probatorio a disposizione, confermando la sussistenza della responsabilità solidale della persona giuridica, dall’altro, non è stato adempiuto l’onere probatorio posto in capo al Ferrari, autore materiale della condotta, circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo della colpevolezza nell’esecuzione dell’attività illecita di trasporto.
Con il settimo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., i ricorrenti lamentano l’omesso esame, quale fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, della sentenza di assoluzione in sede penale del ricorrente NOME COGNOME legale rappresentante delle due società, per cui il giudice avrebbe dovuto applicare la garanzia prevista dall’art. 652 c.p.p.
Il motivo è infondato.
Premessa l’erroneità del riferimento all’art. 652 c.p.p., non essendo il presente un giudizio civile di danno, trattandosi invece di un giudizio civile di opposizione a sanzione amministrativa, non
sussistono neanche i presupposti per l’applicazione dell’art. 654 c.p.p., data la mancata costituzione di parte civile della Regione Friuli-Venezia Giulia nel giudizio penale, per cui la sentenza di assoluzione penale non può produrre effetti di giudicato esterno nel presente giudizio. È indiscusso, infatti, che, mentre l’efficacia del giudicato di assoluzione prevista dall’art. 652 c.p.p., comma 1, si determina nei confronti del danneggiato che sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, anche se non si sia costituito, l’efficacia del giudicato di condanna o di assoluzione prevista dall’art. 654 c.p.p. presuppone che il danneggiato si sia anche effettivamente costituito in giudizio. Per questo, la costante giurisprudenza di legittimità riconosce che « l’art. 654 cod. proc. pen., diversamente dall’art. 652 relativo ai giudizi civili di risarcimento del danno, esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione » (Cass. 29 novembre 2018 n. 30838; Cass. 2 marzo 2010 n. 4961; Cass. 13 agosto 2007 n. 17652).
L’efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile nel giudizio civile, di cui all’art. 654 c.p.p., postula, infatti, sotto il profilo soggettivo, la perfetta coincidenza delle parti tra i due giudizi, vale a dire che non soltanto l’imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale. E poiché l’art. 654 c.p.p. limita, sotto l’aspetto soggettivo, gli effetti del giudicato penale che esso prevede solo nei confronti dei soggetti che abbiano assunto la qualità di parti del processo penale, un tale effetto non si può profilare a vantaggio dell’imputato e verso le altre parti del giudizio civile se queste non si siano, come nel caso in esame, costituite parti civili nel processo penale (Cass. 6 dicembre 2022 n. 35782, che richiama Cass. n. 2975 del 2005, la quale, in un’azione di responsabilità nei confronti
di amministratore di RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che alla sentenza penale non potesse riconoscersi efficacia di giudicato in ordine all’accertamento negativo dei fatti materiali assunti ad oggetto della imputazione penale di bancarotta, non essendosi il fallimento della società ed uno dei soci costituiti parti civili nel processo penale). Ne consegue che, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., nei giudizi civili o amministrativi non di danno, come quello di opposizione a ordinanza sanzionatoria di illecito amministrativo, il giudicato penale di assoluzione, non è opponibile a soggetti, quale l’ente sanzionatore, non intervenuti nel relativo processo (Cass. n. 11352 del 2014; Cass. n. 15344 del 2020, secondo la quale, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., nei giudizi civili o amministrativi non di danno, come quello di opposizione a cartella esattoriale, il giudicato penale di assoluzione non è opponibile a soggetti, quale l’ente impositore, che non abbiano partecipato al relativo processo; Cass. n. 20325 del 2006, la quale, nel fare applicazione del suindicato principio in materia di responsabilità da circolazione stradale, con riferimento a giudizio di risarcimento dei danni promosso – in conseguenza di sinistro determinato dalla presenza di una lastra di ghiaccio sulla sede stradale – dal danneggiato nei confronti della società concessionaria dell’appalto della relativa manutenzione, ha escluso l’efficacia preclusiva del giudicato di assoluzione formatosi nei confronti del legale rappresentante della società medesima, in quanto tratto a giudizio nella qualità di imputato senza che la stessa venisse anch’essa ivi citata, ai sensi dell’art. 83 c.p.p., quale responsabile civile).
Quindi, nella specie la sentenza del Tribunale penale n. 318/2019 che ha pronunciato l’assoluzione per i capi da uno a quattro, mentre per i restanti ne ha dichiarato la prescrizione, non può produrre alcun effetto nel giudizio presente giudizio civile, ai sensi dell’art. 644 c.p.p., stante la mancata costituzione di parte civile dell’Amministrazione pubblica.
Con l’ottavo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 8 l. n. 689/1981, per non avere il giudice di merito applicato l’istituto del cumulo giuridico in materia di sanzioni amministrative, trattandosi di ben n. 805 violazioni della medesima norma. Secondo i ricorrenti, infatti, l’art. 8 non sarebbe applicabile al caso di specie, in quanto questo rientrerebbe in uno dei casi della clausola di salvaguardia posta in apertura della disposizione, per la quale vi sarebbe una diversa disposizione di legge che permette l’applicazione del cumulo giuridico e, in particolare, si tratterebbe dell’art. 258, comma 9 d.lgs. n. 152/2006. Questo comma, però, sarebbe stato introdotto solo con il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, entrato in vigore il 26 settembre 2020, data successiva rispetto al tempus in cui era stata commessa e sanzionata la condotta illecita, per cui – a detta dei ricorrenti trattandosi di una disposizione più favorevole, il comma 9 dell’art. 258 doveva essere applicato in virtù del principio di retroattività della disposizione più favorevole, anche se nel caso si tratta di una sanzione di tipo amministrativo, in ossequio dell’ultimo orientamento della sentenza della Corte Costituzionale n. 63/2019 e dell’art. 7 della CEDU.
Con il nono motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 comma 2 del c.p.c., per avere il giudice di secondo grado violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo lo stesso escluso l’applicabilità del cumulo giuridico in seguito al rilievo che non vi fosse l’unicità ma la pluralità di azioni. L’ottavo motivo è fondato anche se per ragioni diverse da quelle dedotte con la censura, alla luce dello ius superveniens , risultando pertanto assorbito il nono.
La legge n. 191 del 15 dicembre 2023, disponendo la ” Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n.
145, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili “, con l’art. 8quater ha aggiunto il comma 9bis all’art. 258 del d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) riguardante le sanzioni per la violazione degli obblighi di tenuta dei registri di carico e scarico e dei formulari per il trasporto dei rifiuti.
Il nuovo comma 9bis dell’art. 258 prevede testualmente che « le disposizioni di cui al comma 9 si applicano a tutte le violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, per le quali non sia intervenuta sentenza passata in giudicato ». A sua volta, il comma 9 dispone che « chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni di cui al presente articolo, ovvero commette più violazione della stessa disposizione, soggiace alla sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata sino al doppio. La stessa sanzione si applica a chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di cui al presente articolo ».
Lo ius superveniens , pertanto, consente di applicare l’istituto del cumulo giuridico al caso di specie, in cui si sono configurate ben 805 violazioni delle norme riguardanti la tenuta dei registri e dei formulari per il trasporto dei rifiuti.
Sicché, va accolto l’ottavo motivo, assorbito il nono e rigettati i restanti; la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste che, in diversa composizione, considererà la nuova disciplina legislativa di cui sopra ai fine del computo della sanzione e all’esito regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo motivo del ricorso, dichiara assorbito il nono e rigettati i restanti mezzi; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda