Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12471 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12471 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9206-2021 r.g. proposto da:
COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Rende (CS), alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Cropani (CZ), alla INDIRIZZO, in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME .
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 1625/2020, della CORTE DI APPELLO di CATANZARO, pubblicata il giorno 05/12/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 24/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Banca di Credito Cooperativo della Pre Sila -Scigliano chiese ed ottenne dal Tribunale di Cosenza il decreto ingiuntivo n. 624/2004 con cui venne ordinato ad NOME COGNOME ed al marito NOME COGNOME il pagamento, in suo favore, della somma complessiva di € 46.291,30, oltre interessi e spese della procedura monitoria. La Banca allegò di avere concesso al COGNOME un’apertura di credito in conto corrente, garantita da fideiussione della moglie, ma il rapporto non aveva avuto un regolare svolgimento.
1.1. L’opposizione promossa dalla COGNOME e dal COGNOME (poi deceduto nel corso del giudizio) avverso il suddetto decreto fu accolta dal medesimo tribunale che, con sentenza del 3 ottobre 2016, n. 2013, pronunciata nel contraddittorio con Credito Cooperativo Centro RAGIONE_SOCIALE così dispose: « Accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 624/04 e condanna il Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente p.t., al pagamento di € 4 3,46, oltre interessi legali dal dì della domanda sino al soddisfo, in favore di NOME COGNOME Rigetta la domanda riconvenzionale. Condanna Credito RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente p.t. al pagamento delle spese di lite che liquida ».
Decidendo il gravame proposto contro questa sentenza dal RAGIONE_SOCIALE, l’adita Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 5 dicembre 2020, n. 1615, resa nel contraddittorio con NOME COGNOME così dispose: « In parziale riforma dell’impugnata sentenza, condanna NOME al pagamento, in favore del Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 27.938,18, oltre interessi legali dalla data del 19 aprile 2004 al soddisfo; c onferma, nel resto, l’impugnata sentenza; dichiara compensati per metà, tra
le parti, i compensi relativi ad entrambi i gradi di giudizio e condanna COGNOME al pagamento, in favore del Credito Cooperativo Centro Calabria -Società Cooperativa, della restante metà dei compensi liquidati, per l’intero, relativamente al primo grado di giudizio, in complessivi € 4.000,00, e, relativamente al presente grado, in complessivi € 5.000,00, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfetario nella misura del 15%; pone, le spese relative alle espletate consulenze tecniche di ufficio, definitivamente, per metà a carico del RAGIONE_SOCIALE e per la restante metà a carico di NOME ».
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte, disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla Zupo: i ) rilevò, innanzitutto, che, « in sede monitoria, la Banca ha prodotto la lettera di apertura di conto corrente, in cui non risulta indicato il tasso di interesse convenuto, né alcuna condizione relativa alla commissione di massimo scoperto »; ii ) osservò, poi, « in merito alla tardività della produzione documentale operata dalla Banca oltre il termine perentorio di cui all’art. 184 cod. proc. civ., eccepita dalla COGNOME, nel costituirsi nel presente grado, che: i medesimi opponenti, hanno formulato richiesta di ordine di esibizione, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. di tutti gli atti e documenti inerenti al rapporto di contro corrente; tale richiesta è stata ribadita in sede di memoria istruttoria; con ordinanza del 16 novembre 2010, il primo giudice ha, condivisibilmente, ritenuto ammissibile la documentazione depositata dalla banca nel corso dell’espletamento delle indagini tecniche, in quanto ‘il consenso all’utilizzazione … deve ritenersi implicito nel fatto che lo stesso opponente ha espressamente richiesto ordine alla banca di esibizione dei documenti stessi, oltre ad aver richiesto la c.t.u.’; si è proceduto al successivo espletamento della consulenza tecnica, senza alcuna immediata contestazione della predetta ordinanza »; iii ) dispose la rinnovazione delle indagini tecniche « per determinare il saldo tenendo conto, se possibile, della documentazione prodotta relativa al periodo giugno-ottobre 1999, partendo dal saldo zero, se non diversamente determinabile, e applicando gli interessi legali senza alcuna capitalizzazione e senza commissione di massimo
scoperto »; iv ) diede atto che il nominato consulente aveva « determinato il saldo finale alla data del 19 aprile 2004 (di chiusura del conto) partendo dal saldo alla data dell’8 giugno 1999, saldo ricondotto a zero ‘non essendo diversamente determinabile’ » ed aveva affermato che detto saldo finale ‘ senza capitalizzazione alcuna degli interessi, senza c.m.s. ed applicando per il conteggio il tasso legale, ammonta ad € 27.938,18 in dare (a debito del correntista ‘; v ) condivise le conclusioni del consulente, « osservando, quanto alla censura mossa dalla difesa della COGNOME a tale elaborato, circa l’applicazione al rapporto degli ‘addebiti relativi alle spese periodiche (spese di chiusura)’, che alcuna specifica contestazione, in proposito, è stata mossa dalla COGNOME e dal COGNOME in sede di opposizione , né alcuna richiesta in tal senso è stata formulata in occasione del conferimento dell’incarico al consulente di primo grado ».
Per la cassazione di questa sentenza, NOME COGNOME ha promosso ricorso affidato a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, corredato da analoga memoria, RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso sono preceduti da una premessa in cui il difensore della ricorrente deduce che « La Corte di Appello di Catanzaro ha valutato in maniera sommaria e superficiale le argomentazioni difensive prospettate dall’appellata, in particolare relativamente alla tardiva e incompleta produzione documentale da parte dell’appellante ed il mancato ass olvimento dell’onere della prova nel giudizio di accertamento negativo del credito. Ciò ha comportato, a parere della presente difesa, che il Giudice di II grado, ha violato i dettami di cui all’art. 2697, comma 1, c. p.c. in materia di onere probatorio e ha accolto parzialmente il gravame proposto dalla Banca, senza che il creditore abbia assolto all’onere della prova e senza motivare analiticamente la sua decisione in relazione ad ognuna delle questioni sollevate specificamente dalle parti del giudizio. Il Giudice del gravame avrebbe dovuto, nel caso di specie, verificare preliminarmente se la Banca,
avesse, o meno, assolto all’onere probatorio di cui all’art. 2697, comma 1, c.p.c. ».
2. Il primo motivo di ricorso, rubricato « Nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 184 c.p.c. (nel testo ante riforma legge n. 80/2005), e all’art. 2697 c.c. », contesta alla corte distrettuale di avere errato nell’applicazione della disciplina di cui all’art. 184 cod. proc. civ., nella sua formulazione anteriore alla riforma del 2005, in tema di perentorietà dei termini ivi previsti. Si assume che « La disciplina delle preclusioni in genere (quindi anche in particolare delle preclusioni istruttorie) è una disciplina di ordine pubblico processuale tesa ad assicurare la concentrazione ed il sollecito svolgimento del processo, che rappresenta un obiettivo del sistema processuale imposto al giudice (il quale, in base al disposto dell’art. 175 c.p.c., deve esercitare i propri poteri al fine di garantire il sollecito svolgimento del processo). Tale esigenza, peraltro, riceve un’espressa copertura costituzionale dall’ art. 111 della Costituzione. La natura pubblicistica della disciplina delle preclusioni comporta che la decadenza, nel caso di specie dall’attività istruttoria, conseguente al verificarsi della preclusione, deve essere rilevata d’ufficio dal giudice e non può essere rimessa all’accordo delle parti (come prevede peraltro l’art. 153 c.p.c. in materia di termini perentori). . Nel caso di specie, l’omessa produzione documentale ha comportato la decadenza istruttoria della parte opposta in primo grado e, di c onseguenza, l’inutilizzabilità dei documenti ai fini decisori e, quindi, il mancato assolvimento dell’onere probatorio circa l’esistenza del credito da parte della banca. La decadenza istruttoria maturata in capo alla Banca, che, si ribadisce, non ha prodo tto nei termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c., gli estratti conto, i contratti con le condizioni del c/c n. 06/01/0000869, ed il contratto di apertura credito in c/c , non può essere aggirata attraverso l’attribuzione al CTU del potere di acquisire d’ufficio la documentazione colpevolmente non prodotta dalla Banca in giudizio nei termini di rito, pena la violazione del principio dell’onere della prova e della perentorietà dei termini di cui all’art. 184 c.p.c. ». Si contesta, inoltre,
l’affermazione della corte distrettuale secondo cui « si è proceduto al successivo espletamento della consulenza tecnica, senza alcuna immediata contestazione della predetta ordinanza ». Si rappresenta, infine, che « Il potere conferito al Giudice in merito all’ordine di esibizione, va distinto dalla produzione in giudizio dei documenti cui la parte è tenuta in base ai principi sull’onere della prova. Infatti, tale potere non può essere esercitato in funzione sostitutiva di tale onere probatorio, né l’istanza dell’altra parte, in relazione all’esercizio di tale potere, può avere effetto modificativo dell’incombenza legale, ossia non può costituire rinuncia al beneficio derivante dall’applicazione del principio dell’onere della prova . Ne consegue che tale potere non può essere esercitato al fine di colmare le lacune probatorie delle parti ».
2.1. Questa doglianza si rivela infondata nel suo complesso.
2.2. È opportuno, ricordare, innanzitutto, che la consulenza tecnica, pur non rientrando nella categoria dei mezzi di prova, afferisce all’istruzione probatoria (come testimoniato, del resto, dalla collocazione delle disposizioni che la riguardano nella sezione terza del capo secondo del titolo primo del libro secondo del codice di procedura civile, intitolato -per l’appunto -‘ Dell’istruzione probatoria ‘). L’attività del consulente può consistere (e generalmente consiste), dunque, nell’assistere il giudic e nella valutazione tecnica delle prove raccolte (consulenza cd. deducente), ma può divenire essa stessa un mezzo di prova, allorquando, come osservato in dottrina, si traduca ‘ nell’indagare direttamente per ricostruire dei fatti, sia sotto il profilo dinamico (cause), sia sotto il profilo cinematico (svolgimento), per poi riferire al giudice quanto ha rilevato, osservando le tracce di ciò che è avvenuto, e quanto ha appreso, informandosi ‘. In quest’ultimo caso, la consulenza tecnica viene defin ita ‘ percipiente ‘, ad indicare che l’ausiliario è incaricato (non solo della valutazione ma, ancor prima) dell’accertamento di fatti, la cui stessa percezione richiede il possesso di cognizioni tecniche.
Fattispecie affatto peculiare di consulenza tecnica, poi, è quella prevista dall’art. 198 cod. proc. civ., il quale detta una specifica disciplina relativa ad una particolare figura di consulente tecnico, quello incaricato di un esame
contabile. Le più significative caratteristiche distintive di tale istituto, rispetto a quello generale della consulenza tecnica, riguardano la maggiore estensione delle facoltà riconosciute all’ausiliario sotto due profili: a ) la espressa previsione della possibilità, subordinata comunque all’assenso delle parti, di esaminare anche documenti non prodotti in giudizio; b ) la esperibilità di un tentativo di conciliazione delle parti, suscettibile, in esito positivo, di sfociare in un documento avente efficacia e valore di titolo esecutivo.
Indipendentemente dalla natura ‘ deducente ‘ o ‘ percipiente ‘ della consulenza, al c.t.u. è riconosciuto un generale potere di acquisizione documentale (e di informazioni). Per quel che riguarda le parti, l’art. 90, comma 2, disp. att. cod. proc. civ., dispone che ‘ il consulente non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e istanze di parte consentite dall’articolo 194 del codice ‘ (il quale, per l’appunto, consente alle parti di ‘ presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze ‘). L’art. 194, comma 1, ultimo parte, cod. proc. civ. prevede, altresì, che, oltre che ‘ a domandare chiarimenti alle parti ‘ e ‘ a eseguire piante, calchi e rilievi ‘, il consulente possa essere autorizzato ‘ ad assumere informazioni da terzi ‘. Nell’ambito dell’esame contabile, poi, è previsto che il consulente possa ‘ esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa ‘ (art. 198 cod. proc. civ.). È assai ricorrente, del resto, nella giurisprudenza di legittimità, l’afferma zione per cui « rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli » ( cfr . Cass. n. 13428 del 2007. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche, ex aliis , pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2133 del 1973; Cass. n. 4644 del 1989; Cass. n. 13686 del 2001; Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 1901 del 2010; Cass. n. 2671 del 2020; Cass. n. 1763 del 2024).
2.3. Tanto premesso, e concentrando l’attenzione sull’esatta delimitazione del potere di acquisizione documentale conferito al consulente tecnico d’ufficio, va rimarcato che si tratta di un potere che trae le sue
coordinate dalla funzione svolta dalla c.t.u. e dal suo rapporto con i poteri istruttori delle parti (e del giudice), quali delineati dal legislatore in coerenza con i principi ispiratori sottesi alla struttura del processo civile, primo fra tutti il princ ipio dispositivo in materia di prova (espresso dall’art. 115 cod. proc. civ.). Si deve tenere conto, peraltro, del peculiare regime cui soggiace la consulenza ‘ contabile ‘ (che è quella svoltasi nella controversia in esame), nell’ambito della quale, come si è già anticipato, l’art. 198 cod. proc. civ. consente al c.t.u. -con il consenso delle parti -di esaminare documenti non prodotti.
In relazione a tali profili, nella impugnata sentenza si legge (come si è già riferito nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘) che va puntualizzato, « in merito alla tardività della produzione documentale operata dalla Banca oltre il termine perentorio di cui all’art. 184 cod. proc. civ., eccepita dalla Zupo, nel costituirsi nel presente grado, che: i medesimi opponenti, hanno formulato richiesta di ordi ne di esibizione, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. di tutti gli atti e documenti inerenti al rapporto di contro corrente; tale richiesta è stata ribadita in sede di memoria istruttoria; con ordinanza del 16 novembre 2010, il primo giudice ha, condivisibilmente, ritenuto ammissibile la documentazione depositata dalla banca nel corso dell’espletamento delle indag ini tecniche, in quanto ‘il consenso all’utilizzazione … deve ritenersi implicito nel fatto che lo stesso opponente ha espressamente richiesto ordine alla banca di esibizione dei documenti stessi, oltre ad aver richiesto la c.t.u.’; si è proceduto al successivo espletamento della consulenza tecnica, senza alcuna immediata contestazione della predetta ordinanza ».
Orbene, è doveroso muovere dal rilievo che Cass., SU, 1 febbraio 2022, n. 3086, ha distinto i poteri di acquisizione del c.t.u.: avendo cioè riguardo, rispettivamente, al quadro delle attività definite, in termini generali, dall’art. 194 cod. proc. civ. ed alla specificità dell’esame contabile di cui all’art. 198 del medesimo codice. Ha affermato, in proposito, che, sul piano generale (quindi in ogni consulenza tecnica), il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione di queste
ultime, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti stesse, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio. Ha precisato, inoltre, che, in materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 cod. proc. civ., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rendano necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle e ccezioni (sent. cit., punto 41. In senso conforme, su quest’ultimo aspetto, si vedano anche Cass., SU, n. 6500 del 2022; Cass. n. 34600 del 2022; Cass. n. 12348 del 2023, nonché, in motivazione, Cass. n. 31744 del 2023; Cass. n. 35175 del 2023).
Come rimarcato -affatto condivisibilmente -da Cass. n. 5370 del 2023 ( cfr . pag. 7 e ss. della motivazione), la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite « non ha tuttavia obliterato il dato del ‘previo consenso delle parti’ che il comma 2 dell’art. 198 cit. fa assurgere a presupposto condizionante l’acquisizione dei detti documenti da parte del consulente contabile. È significativo, al riguardo, quanto argomentato dalle Sezioni Unite per dar ragione dei più ampi poteri -comprensivi dell’apprensione di scri tti che comprovano fatti principali -di cui dispone l’esperto nell’ipotesi della consulenza che implichi la necessità dell’esame di documenti e di registri contabili. Ha osservato al riguardo la Corte: ‘a da sé che se, come si crede dall’interpretazione corrente, nell’esegesi dell’art. 198 c.p.c., comma 2, si reputa che i documenti non prodotti esaminabili e, se del caso, utilizzabili dal consulente, previo consenso delle parti, siano i documenti a comprova dei fatti accessori, la norma smarrisce ogni connotato di originalità e diviene un’inutile doppione delle attività che il consulente è ordinariamente abilitato,
in ragione del mandato ricevuto, a svolgere senza bisogno del consenso delle parti. L’assunto, sostanzialmente abrogante, a cui conduce questa interpretazione nel dire, in pratica, che il consulente contabile può fare le stesse cose che può fare un qualsiasi consulente non contabile, si colora poi di un ulteriore effetto che ne evidenzia gli esiti paradossali, dato che, postulando la previa acquisizione del consenso delle parti, il compito del consulente contabile che intenda estendere il raggio delle proprie investigazioni anche ai fatti accessori viene ad essere gravato di un onere formale (il consenso delle parti), al cui rispetto egli non è di norma tenuto, il che in un campo, in cui per la complessità delle questioni tecniche da affrontare, dovrebbe essere consentita al consulente una più ampia libertà di giudizio e quindi una più ampia libertà di indagine, svilisce in modo irreparabile le finalità che la norma si propone di perseguire’ (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2022, n. 3086, cit., punto 31). Come è agevole cogliere, le Sezioni Unite non considerano affatto superflua l’acquisizione del consenso delle parti quanto all’utilizzo, da parte del c.t.u., dei documenti, non precedentemente prodotti, comprovanti fatti principali, ma anzi ne enfatizzano la previsione, dando conto di come quel consenso sarebbe privo di fondamento giustificativo, sul piano logico, se l’esperto, nel corso dell’esame di cui all’art. 198 c.p.c., potesse ricevere dalle parti i soli documenti comprovanti fatti accessori (che possono sempre riceversi ex art. 194). In tal modo, il consenso delle parti, nell’impianto motivazionale della sentenza, concorre a definire i contorni di un disegno legislativo che assegna all’art. 198 c.p.c. una sua precisa specialità: ed è quasi superfluo aggiungere che da tale consenso le Sezioni Unite non potevano certamente prescindere, dal momento che nessuna operazione interpretativa avrebbe permesso di manipolare il testo normativo amputandolo di un elemento che ne costituisce parte integrante. In definitiva, le Sezioni Unite hanno individuato, bensì, una specialità nella disposizione di cui all’art. 198: ma ciò sul piano dell’acquisizione della prova dei fatti principali che non sono oggetto di allegazione (per cui cfr. pure, da ultimo, Cass. 24 novembre 2022, n. 34600), senza con ciò ammettere l’apprensione di documenti in assenza del consenso di cui si è detto ».
2.4. È evidente, dunque, alla stregua dell’appena riportata pronuncia, che l’odierna, descritta censura della ricorrente non merita seguito, posto che l’argomentazione con cui la corte distrettuale ha disatteso l’eccezione di quest’ultima di tardività dell a produzione della banca opposta/appellante risulta pienamente coerente con i riportati principi rinvenibili nelle pronunce di legittimità fin qui esaminate, avendo la medesima corte, con accertamento di natura fattuale qui non ulteriormente sindacabile (se non sotto il profilo del vizio motivazionale, qui, però non dedotto), valutato come esistente il consenso dell’opponente/appellata alla produzione, in sede di c.t.u., di quella documentazione desumendolo, del tutto logicamente, dal fatto che proprio la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto, in precedenza, ordinarsene alla banca, ex art. 210 cod. proc. civ., la relativa esibizione.
2.5. Resta solo da dire, allora, che, come si legge in Cass. n. 1763 del 2024 ( cfr . pag. 18 e ss. della motivazione): i ) « con riferimento ai documenti probatori di fatti principali, la barriera preclusiva posta dal legislatore è valicabile, nel corso della consulenza contabile, in presenza del necessario previo consenso delle parti. Tale consenso, perciò, ha valore condizionante rispetto all’esame dei documenti non prodotti in precedenza (cfr., appunto, la citata Cass. n. 5370 del 2023) ». In altri termini, l’attenuazione del sistema basato sulle preclusioni istruttorie può in definitiva avvenire, nell’ambito della consulenza tecnica di natura contabile, unicamente col consenso delle parti, come si evince chiaramente dell’art. 198 cod. proc. civ., comma 2, al fine di non violare il principio dispositivo ed il principio del contraddittorio ( cfr ., in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 30160 del 2023 Cass. n. 22880 del 2023); ii ) l’art. 198, comma 2, cod. proc. civ. « non vincola l’espressione del consenso a specifiche forme rituali. Attesa la sua centralità, nell’ottica della disposizione in esame, il consenso delle parti che permetta al nominato c.t.u. contabile l’esame e l’utilizzo di documentazione non prodotta precedentemente in giudizio deve essere valutato con particolare attenzione da parte del giudice. La norma, come si è anticipato, non fornisce indicazioni circa la “forma” che detto consenso deve assumere in subiecta materia , sicché appare indiscutibile che esso possa risultare sia in forma espressa che in
modo tacito o implicito o per facta concludentia . Ciò che necessita è che sia inequivoco, soprattutto ove desunto in forma tacita o implicita, sicché elemento essenziale per la sua valutazione in queste ultime ipotesi è che sia ben chiaro e definito l’oggetto sul quale vi è la manifestazione di assenso proveniente dalla parte. In altri termini, il consenso è inequivoco quando l’atteggiamento acquiescente assunto dalla parte processuale sia interpretabile come adesione alla possibilità, per il c.t.u. contabile, di esaminare ed utilizzare anche la documentazione predetta »; iii ) come recentemente sancito da Cass. n. 3947 del 2025, « Il consulente tecnico d’ufficio, nei limiti delle indagini che gli sono affidate e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire su incarico del giudice quei documenti – necessari al fine di dare risposta ai quesiti – per i quali le parti avevano presentato tempestiva istanza istruttoria richiedendo l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., pur se relativi ai fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare, senza che tale attività incorra nella sanzione da nullità relativa di cui all’art. 157 c.p.c. ». Proprio in quest’ottica, dunque, è assolutamente condivisibile la conclusione della corte territoriale che, come si è già anticipato, ha valutato come esistente il consenso dell’opponente/appellata alla produzione, in sede di c.t.u., della documentazione prodotta dalla banca desumendolo, del tutto logicamente, dal fatto che proprio la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto, in precedenza, ordinarsene alla banca, ex art. 210 cod. proc. civ., la relativa esibizione.
Esigenze di completezza, infine, impongono di ricordare, in goni caso, che l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio ex art. 198 cod. proc. civ., per illegittima utilizzazione di documenti, è relativa e deve essere formalmente proposta – a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 157, comma 2, cod. proc. civ. – dalla parte nella prima istanza o udienza successiva al deposito della consulenza medesima; a nulla rilevando che detta contestazione sia stata mossa dal consulente tecnico di parte durante i lavori peritali ( cfr . Cass. n. 31744 del 2023; Cass. n. 1763 del 2024). Su tale specifico profilo, nulla riferisce invece, la doglianza in esame.
3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso denunciano rispettivamente, in sintesi:
II) « Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 primo comma, numero 3 e 5, cod. proc. civ. in relazione all’art. 2697 c.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero la mancata produzione dei contratti e delle condizioni del c/c, del contratto di apertura credito in c/c e di parte degli estratti conto ». Si ascrive alla corte territoriale, in sostanza, di non avere considerato che, ove la banca (come nella specie) rivendichi la sussistenza e legittimità di un proprio credito pecuniario, ha l’onere di fornire la prova della fondatezza di siffatta pretesa, attraverso la produzione in giudizio del contratto e degli estratti conto relativi all’intero rapporto di conto corrente (nella specie, data inizio 3 giugno 1999; data fine 19 aprile 2004) oggetto della sua rivendicazione e della contestazione dell’ingiunto;
III) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per incompletezza della documentazione prodotta dalla Banca e conseguente calcolo del saldo finale partendo da saldo zero ». Si deduce, tra l’altro, che « La quantificazione del credito maturato attraverso un saldo iniziale incerto e di valore indefinito pregiudica la ricostruzione delle movimentazioni poste in atto nei periodi successivi. Ebbene, nel caso di specie, l’incompletezza della documentazione prodotta dalla banca non è sufficiente a provare l’andamento del rapporto per i primi quattro mesi, in quanto non è possibile conoscere gli elementi che hanno regolato il rapporto in tale periodo temporale. Conseguentemente, il calcolo del saldo finale del conto corrente oggetto di causa deve essere effettuato partendo dal c.d. saldo ‘0’ a far data dall’1/10/1999 (inizio data in cui risultano prodotti in giudizio gli estratti conto scalari) calcolando gli interessi al tasso legale (non essendo state prodotte le condizioni contrattuali relative al rapporto) senza alcuna capitalizzazione, escludendo, inoltre, ogni percentuale di massimo scoperto (non essendo state prodotte le condizioni contrattuali né altro documento relativo agli affidamenti). . Diversamente, acconsentendo ad una ricostruzione del periodo iniziale (a partire dal giorno 08/06/1999) del rapporto attraverso la c.d. lista movimenti i Giudici di merito
hanno violato il principio di equivalenza dell’onere della prova tra la banca che agisce in giudizio per il recupero del credito, e il correntista che resiste a tale domanda. Detti documenti non valgono certo a supplire l’incompletezza della documentazione prodotta dall’opposta ».
Queste censure, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento.
3.1. Invero, proprio con riguardo al tema degli oneri probatori in controversie, che vedano contrapposti banca e correntista, aventi ad oggetto la rideterminazione del saldo di un conto corrente bancario al fine di espungerne poste illegittimamente ivi addebitate, la recente Cass. n. 1763 del 2024 (alla cui ampia motivazione, per la parte qui di interesse, può farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. In senso analogo, si vedano, in motivazione, anche le successive Cass. nn. 4043, 4067, 5387, 11270 ed 11577 del 2024), ha puntualizzato ( cfr ., in particolare i §§ 2.9, 2.9.2. 2.9.4. 2.9.5. e 2.9.6 delle ‘ Ragioni della decisione ‘), tra l’altro, che, nelle controversie aventi ad oggetto un rapporto di conto corrente bancario: a ) « l’istituto di credito ed il correntista sono onerati della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall’art. 2697 cod. civ. »; b ) « Una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (oppure la non debenza di commissioni di massimo scoperto o, ancora, il non corretto calcolo dei giorni valuta) e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, l’accertamento del dare ed avere può attuarsi con l’impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi (cfr. Cass. n. 22290 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023). Questi ultimi, infatti, non costituiscono l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Essi -come rimarcato dalla già menzionata Cass. n. 37800 del 2022 (e sostanzialmente ribadito dalle più recenti Cass. n. 10293 del 2023 e Cass. n. 22290 del 2023) -consentono di avere un appropriato riscontro dell’identità e della
consistenza delle singole operazioni poste in atto; tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, allora, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito: i) ben può valorizzare altra e diversa documentazione, quale, esemplificativamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710 cod. civ., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. 10 maggio 2007, n. 10692 e Cass. 25 novembre 2010, n. 23974), o, ancora, gli estratti conto scalari (cfr. Cass. n. 35921 del 2023; Cass. n. 10293 del 2023; Cass. n. 23476 del 2020; Cass. n. 13186 del 2020), ove il c.t.u. eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali, spettando, poi, al giudice predetto la concreta valutazione di idoneità degli estratti da ultimo a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (come già opinato proprio dalla citata Cass. n. 13186 del 2020, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito), oppure, come sancito da altra recentissima pronuncia di questa Corte , -anche la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking , se non contestata in modo chiaro, circostanziato ed esplicito dalla banca quanto alla sua non conformità a quanto evincibile dal proprio archivio (cartaceo o digitale); ii) parimenti, può attribuire rilevanza alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ. »; c ) « È innegabile, peraltro, che malgrado la richiamata, vasta tipologia di documentazione utilizzabile per la integrale ricostruzione delle operazioni che si sono susseguite sul conto (spesso in un arco temporale anche molto ampio), non sempre sia possibile addivenire a quel risultato, sicché, solo in tale ipotesi al giudice di merito sarà consentito
utilizzare, dandone adeguata giustificazione, i metodi di calcolo che ritenga più idonei al raggiungimento comunque di un risultato che rispecchi quanto più possibile l’avvenuto effettivo sviluppo del rapporto tra le parti »; d ) « In quest’ottica, dunque, potrà certamente trovare applicazione anche il criterio dell’azzeramento del saldo o del cd. saldo zero, il quale, pertanto, altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi il meccanismo d ella ripartizione dell’oner e probatorio tra le parti sancito dall’art. 2697 cod. civ. ».
3.2. La medesima pronuncia, inoltre, indica le modalità di effettuazione dei conteggi da parte del giudice (o del consulente di ufficio da lui eventualmente nominato), ove ritenga di avvalersi del criterio dell’azzeramento del saldo (così non escludendo, d unque, diverse modalità di ricalcolo del saldo medesimo), per l’ipotesi di riscontrata incompletezza degli estratti conto. In particolare, si è ivi stabilito che « se la banca agisca in giudizio per il pagamento dell’importo risultante a saldo passivo e d il correntista chieda, a sua volta, la rideterminazione del saldo, concludendo o per la condanna dell’istituto di credito a pagare in proprio favore o per l’accoglimento della domanda di quest’ultimo in misura inferiore rispetto a quella originariamente formulata, l’eventuale carenza di alcuni estratti conto o, comunque di altra documentazione che consenta l’integrale ricostruzione dell’andamento del rapporto, comporta che: i) per quanto riguarda la banca, il calcolo del dovuto potrà farsi: ia) nell’ipot esi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto (ricordandosi, in proposito, che la banca non può sottrarsi all’assolvimento di un tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Cfr. Cass. n. 13258 del 2017; Cass. n. 7972 del 2016; Cass. n. 19696 del 2014; Cass. n. 1842 del 2011; Cass. n. 23974 del 2010; Cass. n. 10692 del 2007), azzerando il saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest’ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e procedendo, poi, alla rideterminazione del saldo finale utilizzando la completa documentazione
relativa al periodo successivo fino alla chiusura del conto (o alla data della domanda); i-b) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, azzerando i soli saldi intermedi: intendendosi, con tale espressione, che non si dovrà tenere conto di quanto eventualmente accumulatosi nel periodo non coperto da documentazione, sicché si dovrà ripartire, nella prosecuzione del ricalcolo, dalla somma che risultava a chiusura dell’ultimo estratto conto disponibile (la banca, cioè, perde solo quello che si sarebbe accumulato nel periodo non coperto dagli estratti conto mancanti, sicché il dato finale risulterà abbattuto di quella somma); ii) per quanto riguarda, invece, il correntista che lamenti l’illegittimo addebito di importi non dovuti (per anatocismo, usura, pagamento di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, commissioni di massimo scoperto etc.) e ne chieda la restituzione, egli si trova, in realtà, in posizione praticamente analoga a quella della banca, atteso che il calcolo del dovuto potrà farsi tenendo conto che: iia) nell’ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto, egli o dimostra l’eventuale vantata esistenza di un saldo positivo in suo favore, o di un minore saldo negativo a suo carico (ma, in tal caso, la corrispondente documentazione vale per entrambe le parti, per il congegno di acquisizione processuale), o beneficia comunque dell’azzeramento del saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest’ultimo non coincida , appunto, con il primo estratto del rapporto) e della successiva rideterminazione del saldo finale avvenuta utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura (o alla data della domanda); ii-b) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, anche in tal caso, egli, se sostiene che in quei periodi si è accumulata una somma a suo credito o un minore importo a suo debito per effetto, ad esempio di anatocismo e/o usura e/o pagamento di interessi ultralegali non pattuiti e/o commissioni di massimo scoperto non concordate, lo deve provare, producendo la corrispondente documentazione che, in tal caso, però, nuovamente sarà utilizzabile anche per la controparte, sempre per il congegno di acquisizione processuale. Altrimenti, beneficerà del meccanismo di azzeramento del/i saldo/i intermedio/i nel significato in
precedenza chiarito, con l’evidente risultato che la banca, per quel/quei periodo/i, non ottiene niente ed il correntista, per lo stesso o gli stessi periodi, nulla recupera. Questi, cioè, è come se non ci fossero, posto che nessuno ha provato che cosa sia successo. Con la conseguenza che l’estratto conto immediatamente successivo, e tutti i successivi ancora, devono essere corretti ricollegando l’ultimo saldo disponibile al primo saldo in cui ricominciano ad essere presenti gli estratti conto. In questo modo, dunque, il problema del rischio di due saldi difformi viene meno e, in buona sostanza, il meccanismo dell’azzeramento (anche di quello, prima definito intermedio, per eventuali intervalli temporali in cui mancano gli estratti conto) funziona allo stesso modo sia per la banca che per il correntista ».
3.3. Fermo tutto quanto precede, la sentenza oggi impugnata, laddove, come si è già detto ( cfr . § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘), dopo aver premesso che il nominato consulente aveva « determinato il saldo finale alla data del 19 aprile 2004 (di chiusura del conto) partendo dal saldo alla data dell’8 giugno 1999, saldo ricondotto a zero ‘non essendo diversamente determinabile’ » ed aveva affermato che detto saldo finale ‘ senza capitalizzazione alcuna degli interessi, senza c.m.s. ed applicando per il conteggio il tasso legale, ammonta ad € 27.938,18 in dare (a debito del correntista ‘, condivise le conclusioni del consulente, si rivela affatto coerente con i principi tutti fin qui esposti nei precedenti §§ 3.1 e 3.2., sicché le doglianze in esame non possono trovare alcun seguito.
Il quarto motivo di ricorso, infine, rubricato « Violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma II , c.p.c. », contesta la sentenza impugnata laddove, dichiarati compensati per metà, tra le parti, i compensi relativi ad entrambi i gradi di giudizio, ha condannato, poi, la Zupo al pagamento, in favore del Credito Cooperativo Centro RAGIONE_SOCIALE, della loro parte residua. Si assume che la corte distrettuale ha « erroneamente applicato il principio della soccombenza parziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui la banca si è vista revocare il provvedimento monitorio con richiesta di riconoscimento di un credito di euro 46.291,30, a fronte di una condanna in favore della Sig.ra COGNOME per euro 43,46, ma anche
relativamente al gravame proposto, se è vero come è vero che, dalla richiesta della Banca, di riconoscimento di un credito di euro 46.291,30 si è pervenuti ad una statuizione pari a circa la metà ovvero euro 27.938,18 ».
4.1. Questa doglianza si rivela inammissibile ex art. 360bis .1 cod. proc. civ.
In proposito, infatti, è sufficiente ricordare che la qui condivisa giurisprudenza di legittimità ha chiarito, da tempo, che: i ) il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole ( cfr., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 30851, 30539 e 15883 del 2023; Cass. n. 9785 del 2022; Cass. n. 13356 del 2021; Cass. n. 6369 del 2013; Cass. n. 406 del 2008; Cass. n. 15787 del 2000); ii ) in materia di compensazione delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15883, 9014e 3308 del 2023; Cass. n. 37825 del 2022; Cass. n. 10685 del 2019).
In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità, stante il principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, atteso il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della menzionata ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria
verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di NOME COGNOME e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, che si liquidano in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile