Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22519 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22519 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 12123 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: SRO CODICE_FISCALE
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: TARGA_VEICOLO
-ricorrente principale-
-controricorrente al ricorso incidentalenei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO) o NOME COGNOMEC.F.: LPR FBA
rappresentato e difeso dall’avvocat CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale-
-controricorrente al ricorso principale-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Cagliari n. 496/2022, pubblicata in data 22 novembre 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
20 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni che assume subiti in conseguenza di condotte diffamatorie da quest’ultimo poste in essere nei suoi confronti, nel periodo dal 7 aprile 2008 al 24 gennaio 2009.
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE DIFFAMAZIONE
Ad. 20/06/2025 C.C.
R.G. n. 12123/2023
Rep.
La domanda è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Cagliari, che ha condannato il convenuto al pagamento, in favore dell’attore, a solo titolo di danno non patrimoniale, dell’importo di € 40.000,00, nonché alla pubblicazione integrale, a sua cura e spese, della sentenza su cinque quotidiani.
La Corte d’a ppello di Cagliari, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ridotto l’importo del risarcimento ad € 31.000,00, condannando il Soru a restituire la differenza frattanto percepita.
Ricorrono sia il COGNOME, sulla base di un unico motivo, sia il Berlusconi, sulla base di due motivi.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Il Berlusconi ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Premessa
Preliminarmente va dato atto che il ricorso del COGNOME è stato notificato prima di quello del Berlusconi: il primo va, pertanto, qualificato come ricorso principale, mentre il secondo come ricorso incidentale.
2. Ricorso principale
Con l’unico motivo del suo ricorso, il Soru denunzia « Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c. -nella specie violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 cod. civ. e art. 595 c.p. nell’interpretazione fornita dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di verità sottesa alla manifestazione della critica nonché in tema di incontinenza delle espressioni da intendersi quale attacco ad hominem ».
Il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso il rilievo diffamatorio delle dichiarazioni rese dal Berlusconi in data 3 febbraio 2009, nel corso di una intervista televisiva (nel corso della trasmissione ‘ Studio
Aperto ‘) . A suo avviso, infatti, la Corte d’a ppello avrebbe « del tutto travisato -applicando falsamente i principi in materia -la critica soggettiva con il fatto sotteso », in quanto « appare del tutto evidente come l’utilizzo di espressioni quali ‘ha fallito in tutto’ e ‘come imprenditore ha fallito’, ‘con il suo carattere torvo e iroso ha distrutto la stessa coalizione che lo sosteneva’ travalicano l’esercizio del diritto di critica po litica e del diritto di satira, consistendo in espressioni gratuitamente lesive dell’onore e della reputazione dell’interessato, specie con riferimento all’accusa di essere un ‘fallito’, con il conseguen te discredito che ne può derivare alla persona nella sua duplice veste di politico e di imprenditore ».
Il motivo è inammissibile.
Esso si risolve, infatti, nella sostanziale richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa (ovvero del mezzo televisivo), « la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti di crona ca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 18631 del 9/06/2022; Sez. 3, ordinanza n. 5811 del 28/02/2019; Sez. 3, ordinanza n. 6133 del 14/03/2018; Sez. 3, sentenza n. 80 del 10/01/2012; Sez. 3, sentenza n. 20138 del 18/10/2005).
Nella specie, la Corte d’appello: in primo luogo, ha affermato che « le espressioni utilizzate, seppure caratterizzate da toni accesi, forti e veementi, non paiono esorbitare dai limiti del requisito della continenza espositiva, considerato che la natura
politica della critica può consentire di valutare con minore rigore detto requisito giacché alcune espressioni perdono la loro carica offensiva se pronunciate in un contesto politico in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati (cfr. Cass. pen. sez. V n. 8/2020) »; ha rilevato, poi, che « sebbene sia vero che molti dei documenti prodotti dall’appellante per comprovare la situazione di crisi dell’azienda Tiscali, hanno data successiva alle sue dichiarazioni, è anche vero che essi documentano una situazione non florida dell’azienda del NOME COGNOME nel periodo antecedente alle dichiarazioni per cui è causa; parimenti è incontestabile che il COGNOME abbia rassegnato le sue dimissioni, stante la mancanza della fiducia necessaria con la sua maggioranza »; ha precisato, infine, che le espressioni utilizzate dal convenuto, « sicuramente aspre e pungenti », erano comunque « finalizzate a denunciare l’incapacità gestionale di NOME COGNOME sia come imprenditore che come politico, per esprimere evidentemente una propria negativa valutazione, necessariamente soggettiva, della sua idoneità a ricoprire la carica di Governatore di una regione afflitta da una grave crisi economica, talché si ritiene che esse fossero rispettose della continenza espositiva, da intendersi come correttezza formale e non superamento dei limiti di quanto strettamente necessario al pubblico interesse (Cass., n. 11.767/2022; n. 841/2015) ».
Gli indicati accertamenti di fatto in ordine alla verità dei fatti sottesi all’esercizio del diritto di critica politica, nonché in ordine alla continenza delle espressioni utilizzate al fine di operare tale critica risultano sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contradittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
Sulla base dei predetti accertamenti di fatto, la decisione deve, d’altra parte, senz’altro ritenersi esente dalle censure in diritto formulate da parte ricorrente, in quanto conforme ai consolidati (e, in effetti, non specificamente contestati neanche dallo
stesso ricorrente) indirizzi di questa Corte, secondo i quali « i n tema di diffamazione con il mezzo televisivo, l’esercizio del diritto di critica quale libera estrinsecazione del pensiero è idoneo a scriminare l’illiceità dell’offesa, a condizione però che siano rispettati i limiti della continenza verbale, della verità dei fatti attribuiti alla persona offesa e della sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della critica » (per tutte: Cass., Sez. 1, ordinanza n. 21651 del 20/07/2023; Sez. 3, ordinanza n. 11767 del 12/04/2022), con la precisazione che « il canone della verità si atteggia diversamente in ipotesi di esercizio del diritto di cronaca, per il quale è richiesta la continenza dei fatti narrati tanto in senso formale quanto in senso sostanziale, e di esercizio del diritto di critica, il quale non si concreta nella mera narrazione dei fatti, ma nell ‘ espressione di un giudizio -necessariamente soggettivo -rispetto ai fatti stessi; perciò, non può pretendersi che l ‘ opinione sia assolutamente obiettiva, potendo essere la stessa esternata anche con l ‘ uso di un linguaggio colorito e pungente, purché non leda l ‘ integrità morale del soggetto » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 4955 del 23/02/2024; Sez. 3, sentenza n. 23576 del 17/10/2013, con specifico riguardo alla critica politica in occasione di competizioni elettorali).
3. Ricorso incidentale
3.1 Con il primo motivo del suo ricorso, il COGNOME denunzia « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 c.p., 2043 e 2059 c.c. e 21 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: la Corte d’Appello ha erroneamente applicato il limite della verità valido in tema di diritto di critica, riferendolo non solo ai dati fattuali di partenza ma anche alla parte valutativa delle dichiarazioni rese ».
Il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha confermato il rilievo diffamatorio (già ritenuto dal giudice di primo grado) delle dichiarazioni da lui rese
durante un comizio tenutosi in Tempio Pausania il 24 gennaio 2009 (del seguente tenore: « Ha fallito, si presentava come moralizzatore, e adesso sta per andare, sembra, sotto processo, perché ha dato un contratto della Sardegna alla RAGIONE_SOCIALE, azienda di pubblicità, e si è fatto dare dalla RAGIONE_SOCIALE un contratto di 30 milioni per la sua azienda, contestualmente »).
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha, in primo luogo, affermato che « Seppure, come evidenziato nell’atto di appello, il NOME COGNOME non ha utilizzato il termine ‘corruzione’, non può revocarsi in dubbio che la condotta ascritta al NOME COGNOME, di aver scambiato l’aggiudicazione di un contratto pubblico per la stipula di un contratto di natura privatistica del valore di € 30.000,00, contrapposta al fatto che si presentava ‘come moralizzatore’, descrive una ipotesi di un accordo corruttivo, non ravvisandosi alcun travisamento da parte del Tribunale del significato delle frasi valutate », precisando che « le dichiarazioni screditano l’offeso, individuandolo come un soggetto che aveva fatto mercimonio della propria funzione pubblica, in una forma apparentemente ipotetica e dubitativa, ma avente un contenuto dotato di un’indiscutibile direzione ed attitudine offensiva ».
Ha, poi, condiviso « la decisione del Tribunale di non ritenere ricorrente l’esimente del diritto di critica politica, in quanto doveva ritenersi assente il requisito della verità del fatto affermato » … … « non potendo ritenersi vero quanto dichiarato dal Silvio Berlusconi solo per il fatto che era di dominio pubblico la notizia che NOME COGNOME fosse stato rinviato a giudizio » (ma per fattispecie di reato diverse dalla corruzione), atteso che « la modifica in senso peggiorativo del contenuto dell’accusa contestata a NOME COGNOME di cui alla dichiarazione valutata, che pure contiene un nucleo di verità, con l’attribuzione allo stesso di un infamante accordo corruttivo, stravolge il fatto inteso come
accadimento di vita puntualmente determinato, assumendo un contenuto diffamatorio ».
Ha confermato, altresì, la valutazione del Tribunale sulla più grave « dannosità dell’affermazione » per « il fatto che essa sia stata resa nell’ambito di un comizio nel corso della campagna elettorale per il rinnovo della Assemblea Regionale in Sardegna (15 e 16 febbraio 2009) e, specificamente, di un intervento a favore del candidato della propria area politica », in quanto « adombrare la partecipazione ad accordi corruttivi di NOME COGNOME in tale sede ha assunto un connotato particolarmente dannoso per l’attenzione dell’opinione pubblica sui profili dei candidati, incidendo grandemente sulla valutazione della sua idoneità a ricoprire la funzione pubblica alla quale ambiva ».
Anche il motivo di ricorso in esame (analogamente a quanto già osservato con riguardo al ricorso principale) si risolve nella sostanziale richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità: è sufficiente, in proposito, rinviare ai medesimi consolidati principi di diritto affermati da questa Corte in materia di accertamento dei presupposti della diffamazione e dei requisiti della eventuale esimente del diritto di critica politica, esposti in relazione al ricorso principale.
La Corte d’appello ha escluso la sussistenza sia del requisito della verità dei fatti esposti, sia del requisito della cd. continenza espositiva, in base ad accertamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contradittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
Sulla base dei predetti accertamenti di fatto, la decisione impugnata deve senz’altro ritenersi esente dalle censure in diritto formulate dal ricorrente (analogamente a quanto affermato con riguardo alle censure, di tenore esattamente contrario, formulate dall’altro ricorrente, a proposito delle dichiarazioni di cui è
stata invece esclusa la natura diffamatoria), in quanto conforme ai consolidati (e, in effetti, non specificamente contestati) indirizzi di questa Corte già esposti nel precedente paragrafo, nonché a quelli per cui, in particolare, « il legittimo esercizio del diritto di critica -anche in ambito politico, ove è consentito il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati -è pur sempre condizionato, come quello di cronaca, dal limite della continenza, intesa come correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse » ( ex multis : Cass., Sez. 3, ordinanza n. 11767 del 12/04/2022; Sez. 3, sentenza n. 841 del 20/01/2015) e « il requisito della verità oggettiva della notizia, anche soltanto putativa, richiede che la notizia sia frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tanto più attento a fronte della diffusività del mezzo impiegato, che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false, dovendo in definitiva l ‘ esercizio del diritto di critica essere connotato non soltanto dalla verità oggettiva della notizia, ma anche dall ‘ astensione dall ‘ impiego di maliziose ambiguità e di espressioni potenzialmente fuorvianti » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 21651 del 20/07/2023; in senso analogo: Sez. 3, sentenza n. 27592 del 29/10/2019).
3.2 Con il secondo motivo del suo ricorso, il COGNOME denunzia « Nullità della sentenza in relazione agli artt. 120 c.p.c. e 360 n. 4 c.p.c., per quanto riguarda l’ordine di pubblicazione della decisione e la conferma di quello disposto in primo grado ».
Anche questo motivo è inammissibile.
In primo luogo, risulta assorbente il rilievo per cui l ‘ordine di pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 120 c.p.c., nonché le modalità con le quali esso deve essere eseguito, costituisce una misura discrezionale e insindacabile del giudice di merito (Cass., Sez. 1, sentenza n. 5722 del 12/03/2014).
In ogni caso, e diversamente da quanto pare (almeno indirettamente) sostenere il ricorrente, da una parte, l’entità del danno risarcibile non può essere automaticamente ridotta per effetto della pubblicazione della sentenza « costituendo tale misura, oggetto di un potere discrezionale del giudice, una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto a ll’ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell’illecito, diversamente dal risarcimento del danno per equivalente che mira al ristoro di un pregiudizio già verificatosi » (Cass., Sez. 1, sentenza n. 1091 del 21/01/2016) e, dall’altra parte, la sentenza di condanna per diffamazione è sempre passibile di pubblicazione, a prescindere dal maggiore o minore lasso di tempo trascorso rispetto all ‘ epoca dei fatti, purché l ‘ offesa alla persona sia suscettibile di riparazione mercè la detta pubblicazione (Cass., Sez. 3, sentenza n. 16078 del 20/12/2001).
La Corte d’appello ha, nella specie, accertato in fatto, sulla base di motivazione adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contradittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, che la pubblicazione della sentenza non era ‘ priva di attualità ‘ in quanto essa era comunque da ritenersi dotata di efficacia ‘ riparativa del discredito causato a NOME COGNOME, nonché che la pubblicazione disposta su cinque quotidiani (tre nazionali e due locali) era congrua, in quanto rispondeva pienamente alla diffusione della dichiarazione diffamatoria avuta nella stampa locale e nazionale, tenendo anche
conto della notorietà del diffamante e del diffamato in campo nazionale.
Le censure del ricorrente finiscono, pertanto, sotto tale profilo, per risolversi sostanzialmente (anche) nella inammissibile contestazione di tali accertamenti di fatto e/o nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove in relazione agli stessi, il che certamente non è consentito nel giudizio di legittimità.
4. Conclusioni
Sono dichiarati inammissibili sia il ricorso principale che quello incidentale.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della reciproca soccombenza di esse, in tale fase.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione , sia principale che incidentale) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-dichiara inammissibile sia il ricorso principale che quello incidentale;
-dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente in via principale e di quello in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-