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Critica politica e diffamazione: i limiti del diritto

Un politico ha citato in giudizio un avversario per diffamazione a seguito di dichiarazioni rese in TV e durante un comizio. La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibili i ricorsi di entrambe le parti, ha tracciato una linea netta tra la critica politica, anche aspra, e la diffamazione. La Corte ha stabilito che definire un avversario un ‘fallito’ rientra nella critica politica se basata su fatti noti, mentre attribuirgli falsamente un accordo corruttivo costituisce diffamazione perché altera la verità dei fatti.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Critica Politica o Diffamazione? La Cassazione Traccia i Confini

Nel fervore del dibattito pubblico, qual è il confine tra una legittima e aspra critica politica e un’affermazione diffamatoria? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema delicato, analizzando un caso che vedeva contrapposti due esponenti politici di primo piano. La decisione offre chiarimenti fondamentali sui limiti del diritto di critica, specialmente quando si toccano la reputazione e l’onore personale.

I Fatti del Caso: Scontro tra Politici in TV e in Piazza

La vicenda nasce dall’azione legale intentata da un politico e imprenditore contro un suo avversario per una serie di dichiarazioni ritenute lesive della propria reputazione, rilasciate tra il 2008 e il 2009. Le affermazioni incriminate erano state fatte in due contesti diversi: un’intervista televisiva e un comizio elettorale.

Nel corso dell’intervista, l’accusato aveva definito l’avversario un ‘fallito’ sia come imprenditore che come politico, criticandone aspramente l’operato. Durante il comizio, invece, le accuse si erano fatte più specifiche, insinuando un presunto accordo corruttivo legato all’aggiudicazione di contratti pubblici e privati.

I giudici di merito avevano valutato diversamente le due situazioni: mentre le espressioni usate in TV erano state ricondotte nell’alveo della critica politica, le accuse mosse durante il comizio erano state giudicate diffamatorie. La Corte d’Appello aveva quindi ridotto l’importo del risarcimento, spingendo entrambe le parti a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte e la Critica Politica

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi, confermando di fatto la valutazione dei giudici d’appello. La decisione si fonda su una distinzione cruciale tra l’espressione di un’opinione, per quanto pungente, e l’attribuzione di un fatto specifico e falso.

L’Appello Principale: Quando la Critica è Aspra ma Legittima

Il politico che si riteneva diffamato contestava che espressioni come ‘ha fallito in tutto’ o ‘come imprenditore ha fallito’ potessero rientrare nel legittimo esercizio della critica. La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente inquadrato tali frasi nel contesto del dibattito politico. In tale ambito, è consentito l’uso di ‘toni accesi, forti e veementi’ e la valutazione sulla continenza espositiva deve essere meno rigorosa.

Secondo i giudici, quelle espressioni, sebbene dure, erano finalizzate a denunciare un’incapacità gestionale dell’avversario e a esprimere una valutazione negativa sulla sua idoneità a ricoprire cariche pubbliche. Trattandosi di un giudizio soggettivo, ancorato a fatti noti (come la situazione di crisi aziendale e le dimissioni politiche), esso rientrava nei limiti della critica politica.

L’Appello Incidentale e i Limiti della Critica Politica

Di segno opposto la valutazione sulle accuse di corruzione. L’altro politico sosteneva di aver semplicemente esercitato il suo diritto di critica, basandosi sulla notorietà di un’indagine a carico dell’avversario. La Cassazione ha respinto questa tesi, evidenziando come le sue affermazioni avessero ‘stravolto’ la realtà.

L’accusa mossa durante il comizio non era una semplice opinione, ma l’attribuzione di un fatto specifico e infamante: uno scambio corruttivo. Sebbene esistesse un ‘nucleo di verità’ (l’avversario era effettivamente sotto indagine), il reato contestato era diverso. Attribuirgli un infamante accordo corruttivo ha significato modificare in senso peggiorativo il contenuto dell’accusa, superando il requisito della verità del fatto, indispensabile anche nell’esercizio del diritto di critica.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito i principi consolidati che regolano la materia. L’esercizio del diritto di critica, per essere considerato legittimo (e quindi scriminante rispetto al reato di diffamazione), deve rispettare tre limiti: la verità del fatto storico posto a fondamento dell’opinione espressa, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la continenza espositiva.

La Cassazione ha chiarito che il canone della verità si atteggia diversamente per la critica rispetto alla cronaca. Mentre la cronaca esige una narrazione quanto più possibile oggettiva, la critica si esprime in un giudizio necessariamente soggettivo. Tuttavia, questa soggettività non può mai prescindere da un nucleo di fatti veri. Non è consentito ‘travisare’ o ‘stravolgere’ i fatti per sostenere la propria tesi critica.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che, soprattutto nel contesto politico, l’uso di un linguaggio colorito e pungente è ammesso, ma non deve mai ledere l’integrità morale del soggetto, trasformandosi in un attacco personale (ad hominem) basato su fatti falsi o alterati.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un importante vademecum per orientarsi nel dibattito pubblico. La conclusione è chiara: la critica politica, anche la più veemente, è tutelata finché si esprime come un giudizio di valore su fatti veri. Si può criticare aspramente l’operato di un politico, definendolo inadeguato o fallimentare, se tale giudizio si basa su circostanze reali e di pubblico dominio. Tuttavia, quando la critica si trasforma nell’attribuzione di un fatto specifico, preciso e falso, soprattutto se infamante come un reato, si oltrepassa il confine della legalità e si entra nel campo della diffamazione. La verità del fatto narrato rimane un presupposto invalicabile, anche per la più accesa delle battaglie politiche.

È possibile definire un avversario politico un ‘fallito’ senza commettere diffamazione?
Sì, secondo la Corte è possibile. Se tale giudizio si inserisce in un contesto di critica politica, si fonda su un nucleo di fatti veri (es. difficoltà aziendali o fallimenti politici noti) e non trascende in un gratuito attacco personale, rientra nel legittimo esercizio del diritto di critica, che in ambito politico ammette toni aspri e vibrati.

Qual è la differenza tra diritto di cronaca e diritto di critica in tema di diffamazione?
Il diritto di cronaca richiede la narrazione di fatti in modo tendenzialmente oggettivo e formale. Il diritto di critica, invece, consiste nell’espressione di un giudizio o di un’opinione, che per sua natura è soggettiva. Può quindi essere espressa con un linguaggio più colorito e pungente, ma a condizione che si fondi su un fatto storico vero e non leda l’integrità morale della persona.

Accusare un politico di un reato specifico è diffamazione se il fatto non è vero?
Sì. La Corte ha stabilito che attribuire a una persona un fatto preciso e falso, come un accordo corruttivo inesistente, costituisce diffamazione. Anche se esiste un ‘nucleo di verità’ (come un’indagine per reati diversi), modificare la realtà dei fatti in senso peggiorativo per screditare l’avversario ‘stravolge il fatto’ e fa venir meno l’esimente del diritto di critica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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