Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1498 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1498 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24771/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente – nonché contro
–
Oggetto:
Lavoro
pubblico
contrattualizzato
Dirigenti
–
‘
Perdenti
incarico’
–
Facoltà di
opzione
–
Individuazione
legittimato – Punteggio
– Criteri
R.G.N. 24771/2018
Ud. 19/12/2023 CC
AZIENDA UNITA’ SANITARIA INDIRIZZO
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5168/2017, depositata il 21/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 19/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 5168/2017 del 21 febbraio 2018, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione degli appellati RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Latina n. 11354/2013 del 17 ottobre 2013, la quale, a propria volta, aveva rigettato le domande della medesima NOME COGNOME.
Quest’ultima, infatti, aveva adito il Tribunale di Latina e, premesso di essere stata dichiarata assieme a NOME COGNOME dirigente ‘perdente incarico’ per effetto della soppressione della UOC presso cui prestava servizio, aveva dedotto la illegittimità delle deliberazioni con le quali, dopo che le era stata riconosciuta la facoltà di opzione per uno dei due incarichi indicati dalla AZIENDA USL LATINA, era poi stata esclusa da tale facoltà, essendo risultato che NOME COGNOME presentava un più elevato punteggio di valutazione e che quindi ad esso spettava l’esercizio dell’opzione.
L’odierna ricorrente aveva quindi chiesto dichiararsi la illegittimità delle due deliberazioni, accertarsi il suo diritto ad esercitare l’opzione, condannarsi la AZIENDA RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni, quantificati in € 250.000,00.
Nel respingere l’appello di NOME COGNOME la Corte territoriale – per quello che ancora rileva nella presente sede -ha, in primo luogo, disatteso il motivo di gravame concernente i criteri di calcolo dei punteggi dei due dirigenti.
La Corte d’appello, infatti, ha rilevato che il criterio adottato utilizzo del quinquennio 2001-2006, non essendo stati fissati obiettivi per il 2005 -non risultava né in contrasto con alcuna norma di legge né caratterizzato da profili di arbitrarietà, risultando giustificata la scelta della AZIENDA RAGIONE_SOCIALE di non considerare gli anni 2007 e 2008, atteso che la valutazione dell’anno 2007 non era disponibile al momento della decisione e che l’anno 2008 era successivo alla riorganizzazione della struttura.
La Corte capitolina, quindi, ha ritenuto assorbiti sia l’ulteriore motivo di gravame con il quale veniva dedotto un illegittimo esercizio della discrezionalità amministrativa, sia le doglianze concernenti il mancato espletamento di attività istruttoria.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso NOME COGNOME
È rimasta intimata AZIENDA USL LATINA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 31, CCNL 1996 per la Dirigenza Medica e Veterinaria; 17, CCNL integrativo del 2004 per la Dirigenza
Medica e Veterinaria; 9, comma 1, lett. h), CCNL 2002-2005; 24, CCNL 2005 per la Dirigenza Medica e Veterinaria; 24, comma 10, CCNL 03.11.2005 Area Dirigenza Medica e Veterinaria e SPTA, nonché la ‘violazione dell’Atto Aziendale del 2008, violazione del disposto della nota della Direzione Generale aziendale n. 19246 del 02.10.2008’ .
Il ricorso impugna la decisione della Corte d’appello di Roma nella parte in cui la stessa ha ritenuto immune da vizi la procedura di comparazione della ricorrente e del controricorrente NOME COGNOME argomentando che una corretta applicazione dei criteri comparativi – a cominciare dalla adeguata individuazione dei periodi di comparazione -avrebbe condotto ad attribuire alla ricorrente un punteggio superiore.
Contesta alla motivazione impugnata caratteri di incomprensibilità nella conferma della correttezza dell’individuazione dei periodi da assumere come base per la comparazione e deduce l’arbitrarietà della scelta operata sul punto da parte della AZIENDA USL LATINA
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché testualmente -‘omessa c/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia -lesione di un diritto soggettivo della ricorrente, mutamento delle mansioni, diminuzione della corrispondente retribuzione -risarcimento dei danni’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe omesso ogni motivazione in ordine al rigetto del secondo motivo di impugnazione, omettendo in tal modo di esaminare le ripercussioni lesive che la ricorrente avrebbe subito per effetto dei provvedimenti di cui assume la illegittimità.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la violazione degli artt. 115, 132, 191, 245 c.p.c. e 118
disp. att. c.p.c., nonché -testualmente -‘omessa c/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia -non ammissione delle prove richieste’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui ha disatteso le istanze istruttorie della ricorrente.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Questa Corte deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della
sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Il ricorso ora in esame si sottrae radicalmente ai canoni di adeguata formulazione del motivo ex art. 360, n. 3), c.p.c. al punto da omettere l’individuazione di qualsivoglia passaggio della decisione impugnata nel quale possa ravvisarsi una ipotesi di violazione o falsa applicazione di legge.
Il motivo di ricorso -quand’anche integrato con le deduzioni svolte nelle premesse generali del ricorso stesso (pag. 10 segg.) viene ad invocare una cospicua serie di previsioni della contrattazione collettiva -peraltro non tutte coincidenti sul piano della vigenza temporale -senza assolutamente raffrontare concretamente con essa il contenuto della decisione impugnata e senza illustrare sotto quale profilo quest’ultima sarebbe venuta a porsi in conflitto con tali previsioni , limitandosi ad imputare alla decisione della Corte capitolina caratteri di arbitrarietà ed incomprensibilità affermati in via del tutto apodittica.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Ciò per due ragioni.
La prima è che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2014, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c. che preclude l’ammissibilità di un motivo di ricorso riferito all’art. 360, n. 5) c.p.c. , dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
La seconda è costituita dai riferimenti del motivo alla ‘omessa e/o insufficiente’ motivazione, dal momento che, a seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., con L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Inammissibile, infine, è anche il terzo motivo.
Le ragioni sono identiche a quelle già esposte con riferimento al secondo motivo.
Si può solo aggiungere -dolendosi la ricorrente della mancata ammissione di mezzi istruttori -che in ogni caso l’ammissibilità concernente detto profilo sarebbe comunque dipesa dalla rituale indicazione dei mezzi istruttori richiesti, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché dalla dimostrazione sia
dell’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia del diverso esito che avrebbe avuto la pronuncia in assenza di quell’errore, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19985 del 10/08/2017).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 19 dicembre