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Creditori irreperibili: no alla redistribuzione somme

La Corte di Cassazione ha stabilito che nelle procedure fallimentari soggette alla normativa anteriore alla riforma del 2006, le somme accantonate per i creditori irreperibili non possono essere redistribuite agli altri creditori insoddisfatti. La decisione si fonda sul principio del “ratione temporis”, evidenziando che il deposito di tali somme presso un istituto di credito aveva un effetto liberatorio immediato, facendole uscire definitivamente dal patrimonio del fallimento. Il ricorso di una società creditrice è stato quindi dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Creditori irreperibili: la Cassazione nega la redistribuzione delle somme accantonate

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un’importante questione relativa alle procedure fallimentari e alla sorte delle somme destinate ai creditori irreperibili. La Corte ha confermato un principio fondamentale: nelle procedure avviate prima della riforma del 2006, i fondi accantonati per tali creditori non possono essere ridistribuiti agli altri creditori rimasti insoddisfatti. Questa decisione si basa sull’applicazione della legge vigente all’epoca dei fatti (ratione temporis).

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di una società, creditrice in una procedura di amministrazione straordinaria, di ottenere l’assegnazione delle somme accantonate per altri creditori che non si erano presentati per la riscossione o che erano risultati irreperibili. La società creditrice sosteneva di avere diritto a tali somme per soddisfare, almeno in parte, il proprio credito rimasto insoluto.

Sia il giudice delegato che il Tribunale, in sede di reclamo, avevano respinto la richiesta. La loro decisione si basava sull’interpretazione del vecchio testo dell’art. 117 della Legge Fallimentare, il quale, a differenza della normativa attuale, non prevedeva la possibilità di un riparto supplementare di queste somme. Secondo i giudici di merito, il deposito di tali importi presso un istituto di credito ne determinava la definitiva fuoriuscita dal patrimonio della procedura, con un effetto liberatorio per quest’ultima.

Contro questa decisione, la società creditrice ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la linea interpretativa dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito che la disciplina applicabile è quella vigente al momento dell’apertura della procedura concorsuale. Di conseguenza, non è possibile applicare retroattivamente le modifiche introdotte dalla riforma del 2006, che hanno cambiato la gestione delle somme destinate ai creditori irreperibili.

Le Motivazioni della Decisione sui creditori irreperibili

La Corte ha articolato le sue motivazioni su alcuni punti cardine. In primo luogo, ha sottolineato la chiarezza del testo dell’art. 117 della Legge Fallimentare applicabile ratione temporis. La norma prevedeva che ‘per i creditori che non si presentano o sono irreperibili la somma dovuta è depositata presso un istituto di credito. Il certificato di deposito vale quietanza’.

Questo ‘effetto liberatorio’ era cruciale: il deposito delle somme comportava la loro immediata e definitiva fuoriuscita dal patrimonio del fallimento. La procedura, una volta effettuato il deposito, era liberata da ogni obbligo ulteriore, e le somme erano da considerarsi definitivamente assegnate ai creditori destinatari, sebbene non ancora materialmente riscosse.

La riforma del 2006 ha introdotto un meccanismo diverso, stabilendo che tali somme rimangono nella disponibilità della procedura per un certo periodo, consentendone la successiva redistribuzione. Tuttavia, questa nuova disciplina non può essere applicata a procedure più vecchie, per le quali vale il principio previgente.

Inoltre, la Corte ha respinto le questioni di legittimità costituzionale e di contrasto con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). I giudici hanno chiarito che, una volta che le somme sono uscite dal patrimonio del fallimento, gli altri creditori non possono vantare alcun diritto di proprietà su di esse. Pertanto, la mancata redistribuzione non costituisce una privazione della proprietà, ma una semplice conseguenza della scelta discrezionale compiuta dal legislatore dell’epoca.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio di stretta legalità e di irretroattività della legge. Per le procedure concorsuali aperte prima della riforma del 2006, le somme accantonate per i creditori irreperibili sono definitivamente uscite dall’attivo fallimentare al momento del loro deposito. Di conseguenza, gli altri creditori insoddisfatti non possono chiederne l’assegnazione a loro favore. Questa pronuncia offre un importante chiarimento per la gestione delle procedure più datate, confermando che le modifiche normative successive non possono alterare gli effetti giuridici di atti già compiuti secondo la legge allora in vigore.

Cosa succede alle somme destinate ai creditori irreperibili nelle procedure fallimentari avviate prima della riforma del 2006?
Secondo la legge dell’epoca (principio ratione temporis), queste somme venivano depositate presso un istituto di credito. Tale deposito aveva un effetto liberatorio e determinava la loro definitiva fuoriuscita dal patrimonio del fallimento, impedendone la successiva redistribuzione.

Perché, secondo la vecchia normativa, i creditori insoddisfatti non possono chiedere l’assegnazione di queste somme?
Non possono chiederla perché il deposito delle somme per i creditori irreperibili aveva un ‘effetto liberatorio’. Questo significa che il denaro usciva immediatamente e permanentemente dalla disponibilità della procedura fallimentare, venendo considerato come già assegnato ai destinatari, anche se non materialmente riscosso.

La vecchia disciplina sui creditori irreperibili viola la Costituzione o la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non vi è alcuna violazione, in quanto gli altri creditori non possono vantare alcun diritto di proprietà su somme che sono già legalmente uscite dal patrimonio del fallimento. La mancata redistribuzione è una conseguenza di una scelta discrezionale del legislatore di quel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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