Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18585 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18585 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7052/2020 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano in R.G. n. 30/1981 depositato il 19/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/5/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, EM) domandava, quale creditore concorsuale di RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria (nel prosieguo ITEM), l’assegnazione
delle somme accantonate in favore dei creditori irreperibili, sino alla concorrenza del proprio credito ammesso al passivo della procedura e rimasto insoddisfatto.
Il giudice delegato disattendeva tale istanza ritenendo che il tenore dell’art. 117 l. fall., nel testo applicabile ratione temporis ed a differenza del più recente disposto della norma, non attribuisse ai creditori rimasti insoddisfatti il diritto di ottenere le somme accantonate per gli irreperibili.
Il Tribunale di Milano rigettava il reclamo presentato da E.M. ex art. 26 l. fall., aderendo all’orientamento interpretativo già assunto dalla Corte di legittimità e fatto proprio dal giudice delegato. Evidenziava, in particolare, che il testo dell’art. 117, comma 3, l. fall. applicabile ratione temporis , ispirandosi a criteri del tutto diversi da quelli adottati dalla successiva riforma, non comprendeva la fattispecie in esame fra quelle idonee a giustificare un riparto supplementare.
Sosteneva che l’esclusione della possibilità di procedere alla redistribuzione in caso di mancata riscossione delle somme accantonate non si traduceva in una violazione delle regole del concorso, in quanto il versamento delle stesse presso un istituto bancario, comportandone l’immediata e definitiva fuoriuscita dal patrimonio della procedura e l’ingresso in quello dell’assegnatario, con effetto liberatorio nei confronti della prima, costituiva una concreta espressione del concorso e una modalità di attuazione della garanzia patrimoniale.
Aggiungeva che ad analoghe conclusioni si doveva pervenire anche nel caso in cui il versamento fosse stato fatto nelle forme previste per i depositi giudiziari, ai sensi dell’art. 2 r.d. 149/2010, con la conseguente applicazione dell’art. 2 d.l. 143/2008 ( ai sensi del quale le somme depositate, una volta trascorsi cinque anni senza che le stesse fossero state reclamate, rientravano nel fondo unico giustizia), dato che il deposito doveva sempre avere luogo a nome
dell’assegnatario e la devoluzione conseguente alla scadenza del termine quinquennale non incideva in alcun modo sul patrimonio della procedura, ma operava esclusivamente a danno di quest’ultimo .
Osservava, infine, che la circostanza secondo cui ad estinguersi per effetto della devoluzione al fondo unico giustizia non fosse un diritto incluso nell’attivo del fallimento, ma il credito vantato dall’assegnatario nei confronti della banca o del gestore del servizio postale, faceva apparire non pertinenti le argomentazioni difensive che sostenevano come tale disciplina si ponesse in contrasto con l’art. 1 del primo protocollo aggiuntivo CEDU, dato che il credito aveva ad oggetto somme sulle quali i creditori non assegnatari non potevano considerarsi titolari di alcun diritto e non essendo così configurabile una privazione della proprietà.
EM ha proposto ricorso per la cassazione del decreto di rigetto del reclamo, depositato in data 19 dicembre 2019, prospettando un unico motivo di doglianza, a cui ha resistito, con controricorso, Equitalia Giustizia s.p.a.
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione del combinato disposto degli artt. 117 l. fall., 47, comma 1, e 3 Cost. e 1, protocollo 1, CEDU: l’art. 117 l. fall. , nel testo applicabile ratione temporis , nulla dispone -riconosce la ricorrente -in ordine al diritto dei creditori rimasti insoddisfatti di pretendere l’assegnazione a loro favore delle somme accantonate nell’interesse dei creditori irreperibili e non reclamate da costoro.
Questo diritto deve però essere tutelato -suggerisce EM -, in conformità con quanto previsto dagli artt. 47, comma 1, Cost., 1, protocollo 1, CEDU e 2740 cod. civ., aderendo a una soluzione
interpretativa che porti a riconoscere che le somme accantonate a favore dei creditori irreperibili debbono essere utilizzate per incrementare la soddisfazione dei creditori chirografari che ne abbiano fatto richiesta, in coerenza con lo scopo del sistema normativo fallimentare e con la tutela del credito garantita dalla Costituzione e dalla CEDU, disattendendo le conclusioni a cui è giunto il tribunale, che comportano un beneficio per lo Stato italiano a discapito dei creditori rimasti insoddisfatti in sede concorsuale.
La tesi già fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità non può quindi considerarsi convincente, perché il deposito delle somme accantonate risponde a un’esigenza di natura economica e non preclude in alcun modo l’assegnazione delle stesse ai creditori insoddisfatti che ne abbiano fatto richiesta.
Un simile assunto, inoltre, comporta un grave pregiudizio per i creditori rimasti parzialmente insoddisfatti, impedendo loro di incrementare la percentuale di soddisfazione dei propri crediti a fronte di somme ancora disponibili e provenienti dalla liquidazione del patrimonio del fallito, è contraria alla ratio della disciplina del deposito delle somme destinate ai creditori irreperibili, secondo cui Equitalia Giustizia s.p.a. svolge il ruolo di mero depositario senza incamerare le somme in via definitiva, e confligge con l’unica interpretazione costituzionalmente orientata possibile, resa esplicita dal nuovo testo dell’art. 117 l. fall..
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis cod. proc. civ.
5.1 L’odierna ricorrente non pone in contestazione che alla fattispecie in esame, riguardante una procedura concorsuale avviata prima dell’introduzione del nuovo testo dell’art. 117 l. fall. ad opera dell’art. 107 d. lgs. 5/2006, debba trovare applicazione il disposto dell’art. 117, comma 3, l. fall. vigente ratione temporis (a mente del quale ‘ per i creditori che non si presentano o sono irreperibili la somma dovuta è depositata presso un istituto di credito. Il certificato
di deposito vale quietanza ‘ ) e riconosce che ‘ la norma in esame nulla dispone circa la sussistenza del diritto rivendicato da EM ‘ (pag. 10 del ricorso), diritto che dunque non trova alcun espresso riconoscimento nel contenuto letterale del disposto legislativo.
Il chiaro disposto della norma non può che portare a dare continuità agli approdi a cui la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4514/2019) è già giunta – in termini condivisi da questo collegio -quando ha sostenuto che l’ultimo inciso della norma in discorso, ‘ attribuendo al deposito delle somme presso l’istituto di credito un effetto liberatorio, formalmente attestato dal certificato di deposito, ne determinava la fuoriuscita immediata dal patrimonio del fallito e dalla disponibilità del fallimento, dispensando gli organi di quest’ultimo dai successivi adempimenti, e rendendo pertanto superflua l’ulteriore disciplina introdotta dal decreto di riforma. Quest’ultima, invece, consentendo di provvedere alla redistribuzione delle somme depositate, nel caso in cui i creditori ai quali sono state assegnate non si siano presentati a riscuoterle entro cinque anni o risultino irreperibili, postula che, quanto meno fino alla scadenza del predetto termine, le medesime somme rimangano nella disponibilità del fallimento, in tal modo impedendo di attribuire al deposito efficacia liberatoria. Ed era proprio tale efficacia ad escludere, nel sistema previgente, la possibilità di procedere ad una nuova distribuzione delle somme depositate presso l’istituto bancario, che dovevano ritenersi ormai definitivamente assegnate ai creditori indicati nel piano di riparto, e depositate nel loro interesse ‘.
Si tratta, in definitiva, di una scelta discrezionale compiuta dal legislatore dell’epoca, in senso difforme da quanto stabilito dalla disciplina introdotta dal d. lgs. 5/2006, secondo cui soltanto nel caso previsto dal secondo comma dell’art. 117 l. fall. (credito soggetto a condizione sospensiva non ancora verificata) la somma depositata poteva essere fatta oggetto di riparto supplementare fra gli altri creditori, mentre nelle altre ipotesi in cui i creditori non si fossero
presentati o fossero risultati irreperibili si doveva procedere a un deposito che, determinando la fuoriuscita immediata della somma dal patrimonio del fallito e dalla disponibilità del fallimento, impediva alla procedura di riottenere la disponibilità della stessa.
L’assegnazione delle somme depositate allo Stato costituisce poi il frutto del fatto che il versamento sia avvenuto « nelle forme previste per i depositi giudiziari, e quindi, ai sensi dell’art. 2 del r.d. 10 marzo 1910, n. 149, presso l’ufficio postale incaricato del relativo servizio, con la conseguente applicabilità dell’art. 2 del d.l. 16 settembre 2008, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, ai sensi del quale, trascorsi cinque anni senza che siano state reclamate, le somme depositate rientrano nel Fondo unico giustizia, istituito con detto decreto, per essere destinate alle finalità dallo stesso previste ‘, sicché ‘ la devoluzione conseguente alla scadenza del predetto termine non incide in alcun modo sul patrimonio fallimentare, in quanto, comportando l’estinzione del credito vantato dall’assegnatario nei confronti del gestore del servizio postale, opera esclusivamente a suo danno ‘.
5.2 È opportuno aggiungere come non sia neppure possibile fare ricorso a un’interpretazione estensiva del disposto dell’art. 117, comma 2, l. fall., nel testo applicabile ratione temporis , o al procedimento per analogia al fine di soddisfare la richiesta di EM di distribuzione delle somme non reclamate dai creditori irreperibili.
Infatti, l’attività interpretativa giudiziale è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto previamente il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa (v., da ultimo, Cass., Sez. U., 7337/2024); nel caso di specie la norma faceva espresso riferimento « »
«
un’espressione di inequivoca puntualità che non è possibile in alcun modo dilatare.
L’analogia postula poi (cfr. Cass., Sez. U., 38596/2021) che sia correttamente individuata una lacuna normativa del sistema, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’ incipit del precetto dell’art. 12, comma 2, preleggi (« se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione … »); nel caso di specie non è ravvisabile alcuna lacuna, ma il legislatore ha compiuto una scelta discrezionale ritenendo che solo la somma depositata perché corrispondente a un credito soggetto a condizione sospensiva non ancora verificata potesse essere fatta oggetto di riparto supplementare fra gli altri creditori, mentre nelle altre ipotesi in cui i creditori non si fossero presentati o fossero risultati irreperibili si doveva procedere a un deposito che, determinando la fuoriuscita immediata della somma dal patrimonio del fallito e dalla disponibilità del fallimento, impediva alla procedura di riottenere la disponibilità della stessa.
5.3 Risulta, infine, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’odierna ricorrente, dato che la disciplina di cui all’art. 117, comma 3, l. fall. applicabile ratione temporis , nel prevedere l’efficacia liberatoria del deposito presso l’istituto di credito ed escludendo la possibilità di un riparto supplementare delle somme spettanti ai creditori che non si siano presentati a riscuoterle o che siano rimasti irreperibili, non vìola alcuna disposizione costituzionale, né si pone in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo aggiuntivo alla CEDU, in quanto tali somme, dopo l’assegnazione, fuoriescono dalla disponibilità del fallimento e non possono formare oggetto di alcun diritto dei creditori rimasti insoddisfatti (cfr. Cass. 4514/2019, Cass. 36050/2021).
In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 10.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 14 maggio 2025.