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Credito TFR fallimento: ammesso anche senza versamenti

Una lavoratrice si opponeva al rigetto parziale della sua richiesta di ammissione al passivo fallimentare della sua ex società. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16928/2024, ha accolto il suo ricorso, affermando che il credito TFR nel fallimento deve essere ammesso per intero, indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro abbia versato o meno le quote al Fondo di Tesoreria INPS. Il diritto del lavoratore a insinuarsi nel passivo per il proprio TFR è incondizionato.

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Credito TFR nel fallimento: Ammissione al passivo garantita

Con la recente ordinanza n. 16928/2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale a tutela dei lavoratori: il credito TFR in caso di fallimento del datore di lavoro deve essere ammesso integralmente allo stato passivo. Questa tutela vale indipendentemente dal fatto che le quote siano state versate o meno al Fondo di Tesoreria INPS. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso

Una lavoratrice si era rivolta al Tribunale per chiedere l’ammissione allo stato passivo del fallimento della sua ex società datrice di lavoro. La sua richiesta includeva retribuzioni, contributi previdenziali e l’intero Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato.

Il Tribunale aveva accolto solo in parte le sue domande. In particolare, aveva escluso una cospicua parte del TFR, ritenendo che la lavoratrice non avesse provato a quale periodo si riferisse la somma non versata (se prima o dopo la riforma del 2007) e che, per il periodo precedente, l’azione spettasse all’INPS. Inoltre, aveva riconosciuto solo parzialmente i crediti per contributi, basandosi su una dichiarazione dei redditi e su buste paga non firmate.

Insoddisfatta, la lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione per la parte di TFR non ammessa. A sua volta, la società fallita ha proposto un ricorso incidentale, contestando l’ammissione dei crediti per contributi basata su prove a suo dire inefficaci.

La gestione del credito TFR nel fallimento secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione del Tribunale, accogliendo pienamente le ragioni della lavoratrice. Il punto centrale della sentenza è che il diritto del lavoratore a insinuarsi nel passivo fallimentare per l’intero TFR non può essere messo in discussione.

I giudici hanno chiarito che, ai fini dell’ammissione al passivo, è irrilevante la distinzione tra TFR maturato prima del 31 dicembre 2006 e quello maturato successivamente, quando è stato introdotto l’obbligo di versamento al Fondo di Tesoreria INPS per le aziende con più di 50 dipendenti.

La posizione del lavoratore e del datore di lavoro

Il datore di lavoro, anche dopo la riforma, non diventa un mero intermediario di pagamento per conto dell’INPS (adiectus solutionis causa). Egli rimane il debitore principale dell’obbligazione di corrispondere il TFR. Il lavoratore, quindi, ha sempre il diritto di chiedere l’ammissione del suo intero credito allo stato passivo del datore di lavoro fallito.

Il mancato versamento delle quote al Fondo di Tesoreria è una questione che riguarda il rapporto tra il datore di lavoro e l’INPS, ma non può pregiudicare il diritto del lavoratore a vedere riconosciuto il suo credito nel fallimento.

La decisione sul ricorso incidentale

La Corte ha invece rigettato il ricorso della società fallita. I giudici hanno ritenuto che la valutazione del Tribunale sulle prove (dichiarazione dei redditi e buste paga, seppur non firmate) fosse logica e coerente. Il Tribunale aveva correttamente utilizzato la dichiarazione dei redditi come prova certa dell’esistenza del debito (an debeatur) e le buste paga per determinarne l’importo esatto (quantum), senza incorrere in vizi di motivazione.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione sottolineando che la normativa sul Fondo di Garanzia e sul Fondo di Tesoreria INPS è stata creata per offrire una tutela aggiuntiva al lavoratore, non per limitarne i diritti. Il diritto fondamentale è quello di vedere ammesso il proprio credito TFR nel fallimento del datore. La distinzione tra i periodi di maturazione diventa rilevante solo in una fase successiva, ovvero quando l’INPS, dopo aver pagato il lavoratore, si surroga nei suoi diritti per recuperare le somme dal fallimento.

Per il lavoratore, invece, l’ammissione al passivo è un diritto unitario e inscindibile per l’intero importo maturato, poiché il datore di lavoro resta l’unico debitore. La mancata allegazione dell’esistenza di una cessione del credito a un fondo di previdenza complementare ha ulteriormente rafforzato questa conclusione.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la decisione del Tribunale e, decidendo nel merito, ha ammesso la lavoratrice allo stato passivo del fallimento per l’intero importo del TFR richiesto, oltre interessi. Ha inoltre condannato la società fallita al pagamento delle spese legali. Questa ordinanza rappresenta un’importante conferma: il diritto del lavoratore al TFR è pienamente tutelato anche in caso di crisi aziendale, e l’onere di provare l’avvenuto versamento delle quote ricade sul datore di lavoro, non sul dipendente.

Se il datore di lavoro fallisce senza aver versato il TFR, il lavoratore ha diritto a chiederlo interamente nel fallimento?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il lavoratore ha sempre diritto a chiedere l’ammissione al passivo fallimentare per l’intero importo del TFR maturato, in quanto il datore di lavoro è e rimane il debitore principale di tale somma.

La distinzione tra TFR maturato prima e dopo il 31 dicembre 2006 è importante per l’ammissione al passivo del lavoratore?
No, ai fini dell’ammissione del credito del lavoratore allo stato passivo, questa distinzione è irrilevante. Il lavoratore ha diritto all’ammissione per l’intero importo. La distinzione rileva solo nei rapporti successivi tra il Fondo di Garanzia INPS e la procedura fallimentare.

Le buste paga senza firma possono essere usate come prova in un processo?
Sì, possono essere utilizzate. Nel caso specifico, il giudice le ha ritenute valide per determinare l’importo del credito (quantum), dopo aver accertato l’esistenza del diritto (an) sulla base di altre prove con data certa, come la dichiarazione dei redditi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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