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Credito prededucibile: no al professionista del fallito

Un professionista ha richiesto l’ammissione al passivo fallimentare in prededuzione per un’attività svolta a favore del fallito dopo la dichiarazione di fallimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che il credito prededucibile sorge solo da attività degli organi della procedura e non del fallito stesso. L’attività del fallito, seppur legittima, non genera costi opponibili alla massa dei creditori.

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Credito prededucibile: spetta al professionista incaricato dal fallito?

La questione del credito prededucibile rappresenta un tema cruciale nel diritto fallimentare, poiché determina quali debiti debbano essere soddisfatti con priorità assoluta rispetto agli altri. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali riguardo al compenso del professionista incaricato direttamente dal soggetto fallito dopo l’apertura della procedura concorsuale, negandone la natura prededucibile.

I Fatti di Causa: l’Incarico Professionale Dopo la Dichiarazione di Fallimento

Un professionista aveva agito in giudizio per ottenere l’ammissione al passivo di una società fallita, chiedendo che il suo compenso fosse riconosciuto come credito prededucibile. La sua attività professionale era stata svolta su incarico della società già dichiarata fallita. Il Tribunale, in prima istanza, aveva respinto la richiesta, sostenendo che, sebbene al fallito residui una limitata e autonoma legittimazione processuale, gli effetti e i costi dell’attività da lui svolta non possono essere imputati alla procedura fallimentare e, di conseguenza, alla massa dei creditori.

La Decisione della Cassazione e il concetto di credito prededucibile

Il professionista ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia di crediti prededucibili, tracciando una linea netta tra le attività svolte dagli organi della procedura e quelle poste in essere dal fallito.

Il Criterio Soggettivo: Solo gli Organi Concorsuali Generano Crediti Prededucibili

Il punto centrale della decisione risiede nel cosiddetto “criterio soggettivo”. La Corte ha affermato che, affinché un credito sorto in occasione della procedura possa essere considerato prededucibile ai sensi dell’art. 111 della Legge Fallimentare, non è sufficiente il solo collegamento temporale. È necessario che il credito sia direttamente riferibile all’attività degli organi della procedura (curatore, comitato dei creditori, giudice delegato). Solo gli impegni assunti da questi soggetti sono considerati funzionali agli scopi della procedura concorsuale e, pertanto, possono gravare sulla massa. Le attività intraprese autonomamente dal debitore, anche se astrattamente permesse, non generano obbligazioni che possono essere pagate in via prioritaria, in quanto non sono espressione della volontà degli organi concorsuali.

L’Inammissibilità delle Questioni Nuove in Sede di Legittimità

Un secondo motivo di ricorso, basato sull’asserito vantaggio che l’attività del professionista avrebbe portato alla massa creditoria (avendo depurato il patrimonio da passività fiscali non dovute), è stato giudicato inammissibile per la sua novità. La Corte ha ricordato che non è possibile introdurre per la prima volta in sede di Cassazione questioni che implicano accertamenti di fatto e che non sono state precedentemente trattate dal giudice di merito. Il ricorrente avrebbe dovuto non solo allegare di aver sollevato la questione in precedenza, ma anche indicare l’atto specifico in cui lo aveva fatto, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di tutela della par condicio creditorum. Ammettere in prededuzione i crediti derivanti da iniziative autonome del fallito significherebbe consentire a quest’ultimo di gravare il patrimonio fallimentare con costi non controllati né autorizzati dagli organi della procedura, alterando l’ordine di soddisfazione dei creditori. La natura prededucibile è una deroga eccezionale che si giustifica solo quando la spesa è sostenuta nell’interesse della massa e per volontà degli organi che la rappresentano. L’attività del fallito, seppur esercitata in base a una residua legittimazione, produce effetti che ricadono unicamente nella sua sfera giuridica, incluse le spese legali.

Le conclusioni

La decisione riafferma un orientamento rigoroso e consolidato: il compenso del professionista incaricato dal soggetto fallito non costituisce un credito prededucibile. Per i professionisti, ciò implica la necessità di ricevere l’incarico direttamente dagli organi della procedura (in primis dal curatore, previa autorizzazione) se si vuole avere la garanzia del pagamento in via prioritaria. Affidarsi a un incarico conferito dal solo fallito espone al rischio di non poter opporre il proprio credito alla massa dei creditori, rimanendo di fatto un creditore personale del soggetto fallito, con scarse probabilità di soddisfazione.

Il compenso del professionista incaricato dal fallito (dopo la dichiarazione di fallimento) è un credito prededucibile?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il compenso per un’attività professionale svolta su incarico del fallito non costituisce un credito prededucibile, poiché non deriva da un’attività degli organi della procedura fallimentare.

Perché il credito del professionista del fallito non è stato considerato prededucibile in questo caso?
Perché, secondo l’orientamento consolidato, un credito è prededucibile solo se è riferibile all’attività degli organi della procedura (es. curatore) e funzionale agli scopi della stessa. Gli impegni assunti autonomamente dal fallito, anche se legittimi, non possono gravare sulla massa dei creditori.

È possibile introdurre per la prima volta in Cassazione la questione del vantaggio arrecato alla massa fallimentare?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile tale motivo perché costituisce una questione nuova, che implica accertamenti di fatto non svolti nei gradi di merito. Il ricorrente ha l’onere di dimostrare di aver già sollevato la questione dinanzi al giudice precedente, indicando l’atto specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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