Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3890 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3890 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 742/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE‘ DI REGOLAZIONE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE STRAORDINARIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di MILANO n. 9986/2021 depositato il 01/12/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 ARERA, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, contro il decreto dell’1.12. 2021 con cui il Tribunale di Milano ha respinto la sua opposizione avverso il diniego di ammissione al passivo del proprio credito di € 8.500,00, derivante dalla irrogazione di una sanzione pecuniaria conseguente alla violazione dell’obbligo di acquisto di «certificati verdi» relativi all’anno 2013.
1.1 Il Tribunale ha ritenuto che il credito insinuato non potesse essere considerato alla stregua di un credito sopravvenuto nel 2019 in corso di procedura, e come tale astrattamente suscettibile di ammissione, essendosi le sue radici causali verificate nel 2014 quando è emersa la contestata violazione. Si trattava, pertanto, di un credito tardivamente insinuato per causa imputabile alla pubblica amministrazione. In particolare, ad avviso del giudice di primo grado, un procedimento di erogazione della sanzione durato anni e che aveva procastinato la liquidazione della sanzione non costituisse ragione esimente del rispetto dei termini di cui all’art. 101 L.F..
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione ARERA affidandolo affidandolo a quattro motivi. La RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria ha resistito in giudizio con controricorso ed ha, altresì, depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la nullità del decreto impugnato per eccesso di giurisdizione: illegittima decisione del Giudice fallimentare su profili riservati alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 133, lettera l), c.p.a. (art. 360, primo comma, numero 1, c.p.c.).
Il primo motivo è inammissibile; il che esime dall’investire della censura, spiegata ai sensi del numero 1 dell’articolo 360 c.p.c., le Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass., Sez. Un., 19 gennaio 2022, n. 1599).
Ad avviso dell’amministrazione ricorrente, il Tribunale di Milano, nel ritenere che RAGIONE_SOCIALE avesse insinuato il credito con un colpevole ritardo, avrebbe esorbitato dal perimetro della giurisdizione del giudice dell’opposizione allo stato passivo, invadendo la sfera della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità, ai sensi dell’articolo 133, lettera l), c.p.a..
Tale censura non coglie del segno atteso che il giudice di merito, lungi dal pronunciare in via principale e con autorità di giudicato su controversia avente ad oggetto provvedimenti, in particolare sanzionatori, dell’ente, secondo quanto prevede il codice del processo amministrativo, ma si è limitato a scrutinare doverosamente, la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della insinuazione ultra-tardiva, sotto il profilo della non imputabilità del ritardo nella sua proposizione, conoscendo così solo in via incidentale dell’osservanza dei termini per l’adozione del provvedimento detto, con la conseguenza, che, avuto riguardo al criterio del petitum sostanziale, la controversia instaurata dinanzi al Tribunale esulava senz’altro dall’ambito della giurisdizione amministrativa.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 101, quarto comma, L.F. (art. 360, primo comma, numero 3, c.p.c.).
Il secondo motivo è infondato.
Sostiene la ricorrente che i crediti «sopravvenuti» in pendenza della procedura fallimentare sarebbero di per sé stessi sempre ammissibili, mediante insinuazione ultra-tardiva, purché vengano insinuati in un termine ragionevole (insinuazione nel caso di specie effettuata nel giro di soli tre giorni dalla pronuncia del provvedimento sanzionatorio) successivamente al momento del loro venire ad esistenza: soffermandosi sulla durata del procedimento amministrativo volto all’irrogazione della sanzione, dunque, il Tribunale avrebbe finito per sindacare non il termine per la proposizione dell’istanza di ammissione, quanto quello per l’adozione del provvedimento sanzionatorio.
La tesi dell’amministrazione va disattesa, in quando, a prescindere dall’individuazione del termine a partire dal quale l’insinuazione avrebbe dovuto essere proposta, questa Corte ha da tempo chiarito che non v’è corrispondenza biunivoca, se non altro piena, tra «sopravvenienza» del credito e non imputabilità del ritardo nell’insinuazione.
È stato difatti affermato che: «Nuovi crediti concorsuali … possono sorgere … durante tutto l’arco della procedura fallimentare, anche in fasi assai avanzate della stessa … Né potrebbe sostenersi che, costituendo il carattere sopravvenuto del credito stesso ragione di non imputabilità del ritardo dell’insinuazione, quest’ultima sarebbe comunque ammissibile … Non necessariamente, infatti, il credito sorge in epoca successiva alla dichiarazione del fallimento per cause indipendenti da colpa del creditore, e questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, ad esempio, che ciò non avviene per il credito del convenuto in revocatoria che abbia restituito quanto aveva ricevuto» (Cass. 31 luglio 2015, n. 16218). L’esempio, si è
aggiunto, «ben potrebbe essere replicato …: si pensi anche solo all’ipotesi del credito da indennizzo ex art. 104 bis comma 3 legge fall. In definitiva, il punto non sembra sfuggire alla osservazione che – ben potendo la sopravvenienza del credito risultare (per un verso o per altro) imputabile al creditore – l’applicazione della norma dell’art. 101 viene a comportare, per una serie (aperta) di crediti, la privazione della stessa possibilità di insinuarsi nel passivo fallimentare. D’altronde, predicare una automatica e indiscriminata inimputabilità dei crediti sopravvenuti si manifesta, all’evidenza, come un semplice artifizio verbale, in buona sostanza inteso ad occultare il fatto dell’inapplicazione del precetto di cui all’art. 101» (Cass. 10 luglio 2019, n. 18544). Inimputabilità del ritardo e «sopravvenienza» del credito non sono, dunque, situazioni che si sovrappongono in modo perfetto: sicché è ben possibile che il credito «sopravvenga» nel corso della procedura fallimentare a verifica dei crediti compiuta, ma che ciò accada per fatto imputabile allo stesso creditore che, in tal caso, non può soddisfarsi sull’attivo fallimentare.
Tale è la verifica che il Tribunale ha effettuato, ritenendo che il ritardo nell’insinuazione fosse addebitabile all’amministrazione.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101, ultimo comma, L.F. dell’articolo 2, 20º comma, lettera c, della legge n. 481/1995.
Con il quarto motivo è stata dedotta la nullità del decreto per violazione dell’art. 111, sesto comma, della Costituzione, degli articoli 132 c.p.c., primo comma, numero 4, e 118 delle disp. att. c.p.c. (articolo 360, primo comma, numero 4, c.p.c.)..
Il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati, anche se la motivazione deve essere corretta , ex art. 384 ult. comma c.p.c..
In particolare, con il terzo motivo, la ricorrente denuncia l’errore commesso dal Tribunale, per aver confuso il tempo della violazione addebitata ad Ilva con il tempo del relativo accertamento.
Evidenzia, in particolare, ARERA di aver potuto avviare il procedimento sanzionatorio solo dopo che il GSE le aveva comunicato l’esito negativo della verifica sull’adempimento dell’obbligo di acquisto dei «certificati verdi», decorrendo da tale comunicazione il termine previsto dall’art. 45, comma 5°, d.lgs n. 93/2011, entro il quale ARERA poteva avviare il procedimento sanzionatorio. Viene, inoltre, evidenziata la non pertinenza del richiamo, effettuato dal giudice di primo grado, alla giurisprudenza formatasi in materia di crediti dell’amministrazione finanziaria, la quale può insinuarsi al passivo avvalendosi del ruolo con riserva di produzione dei documenti, ai sensi dell’art. 96 L.F., dal momento che ARERA, prima dell’adozione del provvedimento sanzionatorio, non dispone di un titolo utile all’insinuazione con riserva.
Con il quarto motivo, è stata censurata l’apparenza della motivazione adottata dal Tribunale, per aver addebitato il ritardo nell’irrogazione della sanzione omettendo totalmente di prendere in considerazione la reale consistenza della procedura volta alla sua pronuncia.
Ritiene questo Collegio – e qui si innesta la correzione della motivazione di cui si diceva in premessa – che il credito di cui è causa avrebbe dovuto essere insinuato all’esordio del procedimento sanzionatorio intrapreso da ARERA, ed ammesso con riserva (vedi, sul punto, Cass. n. 21813/2023 e 21817/2023).
Va, in primo luogo, osservato che erra la ricorrente nel sostenere che, prima della irrogazione della sanzione applicabile soltanto al termine del procedimento amministrativo – non sorgerebbe alcun credito. Se così fosse, ovvero, se il fatto costitutivo del credito fosse collocato a valle dell’apertura della procedura, il credito insinuato non sarebbe neppure un credito concorsuale, sorto nei
confronti del fallito e suscettibile di essere insinuato nei confronti della procedura concorsuale. Deve, invece, ritenersi che il fatto costitutivo del credito insinuato da RAGIONE_SOCIALE non sia certo il provvedimento, ma l’illecito consumato da Ilva nel violare l’obbligo, normativamente stabilito, di acquisto di «certificati verdi»: il procedimento sanzionatorio è poi soltanto occorso al fine dell’irrogazione della sanzione, consequenziale alla consumazione della violazione.
Dunque, è l’inadempimento dell’obbligo di acquisto dei certificati che genera il credito. Sul punto, il Consiglio di Stato ha osservato che «dall’analisi complessiva dell’assetto normativo si desume come lo scopo principale perseguito, imposto anche dal diritto europeo, sia quello di ripristinare la legalità violata dall’inadempimento dell’obbligo di acquisto dei certificati verdi al fine di tutelare l’interesse pubblico alla promozione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili» (Cons. St. 24 settembre 2015, n. 4487).
Ciò premesso, l’art. 96 L.F. dispone che, tra gli altri, sono ammessi con riserva « 1) i crediti condizionati e quelli indicati nell’ultimo comma dell’articolo 55 ». Quest’ultima disposizione – il terzo comma dell’articolo 55 citato – afferma a propria volta che: «I crediti condizionali partecipano al concorso, a norma degli articoli 96, 113 e 113 bis. Sono compresi tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale ».
La legge discorre dunque qui di «crediti condizionati» e lì di «crediti condizionali», ivi compresi quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale. Non vi è dubbio che, in ragione dell’impiego della congiuntiva «e», che lega ai «crediti condizionati» quelli, ulteriori rispetto ad essi, «indicati nell’ultimo comma dell’articolo 55», che l’insieme di detti «crediti condizionati» ricomprende in sé, quale parte del tutto, i
«crediti condizionali» dell’articolo 55, tra i quali quelli richiedenti la previa escussione dell’obbligato principale, deve parimenti riconoscersi che la nozione di «crediti condizionati» cui si riferisce l’art. 96 è necessariamente più ampia di quella di «crediti condizionali» di cui all’art. 55 L.F..
Essa deve allora essere intesa non come limitata ai soli crediti insorti in forza di un negozio stipulato antecedentemente alla dichiarazione di fallimento, la cui efficacia o risoluzione sia stata subordinata dalle parti, all’atto della stipulazione, al verificarsi di un avvenimento futuro ed incerto, avveratosi successivamente al fallimento, nel quadro di applicazione dell’articolo 1453 c.c., ma di ogni credito, preesistente, la cui ammissione al concorso fallimentare dipenda da un evento futuro ed incerto realizzatosi in corso di procedura.
Non occorre, pertanto, ricorrere all’analogia legis o iuris per giustificare l’ammissione con riserva di tutti quei crediti che, ove si intendesse la nozione di «crediti condizionati», cui fa riferimento l’articolo 96 della legge fallimentare, come riferita ai soli crediti sottoposti alla condizione di cui all’articolo 1453 c.c., non potrebbero esser fatti rientrare in nessuna delle categorie di crediti di cui la legge consente l’ammissione con riserva.
Chiaro esempio di credito condizionale è quello il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione della Corte dei conti. In questo caso, ove venga chiesta l’ammissione al passivo di un tal credito e l’ammissione sia contestata, non viene meno il potere del giudice fallimentare di ammettere il credito con riserva, essendo gli organi fallimentari tenuti a considerare il credito come condizionale ed a sciogliere la riserva in relazione all’esito del processo dinanzi al giudice competente, sì da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento» (Cass., S.U. n. 12371/2008, sulla scia di Cass., S.U. n. 789/1999).
Egualmente è stato detto che: «Qualora, nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria, sia invocata l’ammissione al passivo, contestata con opposizione ex art. 98 legge fall., di un credito il cui accertamento è già devoluto alla giurisdizione di un arbitro straniero, permane il potere del giudice concorsuale di ammettere il credito con riserva, considerandolo come condizionale rispetto all’esito del processo pendente dinanzi al giudice competente» (Cass., S.U. n. 15200/2015).
A tale soluzione – evidenzia quest’ultima pronuncia – «questa Corte è pervenuta alla luce del duplice rilievo per cui, da un canto, va garantita al titolare del credito contestato la possibilità di partecipare al riparto mediante accantonamento in attesa della decisione del giudice competente (decisione che potrebbe intervenire quando la procedura fallimentare è già chiusa, o comunque quando il riparto dell’attivo sia già in tutto o in parte avvenuto); dall’altro, trova comunque applicazione il principio generale per cui, in caso di controversia sul credito sottratta alla cognizione del giudice fallimentare (perché quest’ultimo è carente di giurisdizione, o perché sussiste una competenza inderogabile di altro giudice), gli organi del fallimento devono considerare il credito assimilabile ai crediti condizionati, con facoltà di ammetterlo con riserva, da sciogliersi dopo la definizione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente, in relazione all’esito di tale giudizio».
Nel caso in esame, si versa in una situazione largamente sovrapponibile e che, come tale, merita di essere sottoposta all’applicazione del medesimo principio: e cioè, vi è qui un credito derivante da un illecito collocato all’epoca cui la società ha omesso di acquistare i «certificati verdi», illecito il cui accertamento, con conseguente determinazione della relativa sanzione pecuniaria, è devoluto ad un procedimento amministrativo-sanzionatorio affidato
all’ARERA, ed è destinato a concludersi con un provvedimento di cui alla procedura non resta che prendere atto.
Ora, come la stessa ricorrente rammenta, il procedimento sanzionatorio ha avuto inizio sulla base di una comunicazione proveniente dal Gestore dei servizi energetici S.p.A., inoltrata l’8 giugno 2015, affinché l’ente odierno ricorrente procedesse per quanto di sua competenza all’adozione del ritenuto provvedimento sanzionatorio; di qui, l’ente ha avviato il procedimento sanzionatorio in data 12 novembre 2015, sicché già a tale data essa RAGIONE_SOCIALE era in condizione di far valere il credito in corso d in corso di accertamento, in tal senso da intendere quale credito condizionato, nei limiti della sanzione in concreto applicabile, tenuto conto della disciplina applicabile, avuto riguardo all’entità dei «certificati verdi» non acquistati.
Ciò detto, dal ricorso non risulta a quale data fosse stata fissata l’udienza per l’esame dello stato passivo, ai fini dell’insinuazione tempestiva, e neppure emerge quale fosse il termine finale per l’insinuazione tardiva, mentre, da quanto riferisce il ricorso, a pagina 4, si ha che i Commissari Straordinari avevano proposto l’esclusione integrale del credito «trattandosi di crediti concorsuali insinuati in via ultra-tardiva in assenza di qualsivoglia giustificazione».
In definitiva, per quanto si intende dal ricorso, siamo in presenza di una ultra-tardiva effettuata diversi anni dopo la data in cui l’insinuazione del credito condizionato avrebbe potuto aver luogo.
Il tutto a fronte del principio, al quale questa Corte è, infine, approdata, secondo cui: «In tema di ammissione dei crediti al passivo fallimentare, il disposto dell’ultimo comma dell’art. 101 l. fall., relativo alle domande c.d. ultratardive, va interpretato nel senso che il creditore è chiamato non solo a dimostrare la causa esterna impeditiva della tempestiva o infrannuale sua attivazione, ma anche la causa esterna, uguale o diversa dalla prima, che abbia
cagionato l’inerzia tra il momento della cessazione del fattore impediente e il compimento dell’atto, dovendo escludersi che, venuto meno l’impedimento, la richiesta di ammissione al passivo possa comunque essere presentata entro lo stesso termine (dodici mesi) del quale sia stata allegata l’impossibilità di osservanza, essendo necessaria l’attivazione del creditore in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento »(Cass. n. 11000/2022).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 2.500, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14.1.2025.