Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12180 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12180 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 590 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato
NOME COGNOME;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE ;
intimata avverso la sentenza n. 220/2020 depositata il 7 aprile 2020 della Corte di appello di Cagliari.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025
dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo con cui era stato loro intimato il pagamento della somma di euro 31.072,92 quale quota residua di rimborso del finanziamento contratto per l’acquisto di un impianto fotovoltaico fornitogli da RAGIONE_SOCIALE. Gli opponenti avevano domandato in via principale la risoluzione del contratto di finanziamento a norma dell’art. 125 -quinqueies t.u.b., lamentando inadempienze della società venditrice con riguardo alla fornitura dell’ impianto oggetto del proprio acquisto.
Nella resistenza d ell’ingiungente RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Oristano ha revocato il decreto ingiuntivo, ha dichiarato risolto il contratto di finanziamento e ha condannato l’intimante alla restituzione delle somme da questa riscosse a titolo di ratei, maggiorate degli interessi.
2 . ─ La sentenza di primo grado e stata impugnata da Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., succeduta a RAGIONE_SOCIALE in ragione di una fusione per incorporazione.
In esito al giudizio di gravame, in cui si sono costituiti i predetti COGNOME e Deiana, la Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 7 aprile 2020, in riforma della pronuncia del Tribunale di Oristano, ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo. Il Giudice dell’impugnazione ha ritenuto, in sintesi, che alla fattispecie oggetto di causa fosse applicabile la decadenza prevista dall’art. 132 c . cons.: ha quindi rilevato che la denuncia dei difetti di conformità del bene risultava essere stata operata tardivamente, oltre il termine di due mesi dalla data della scoperta dei vizi lamentati.
Per la cassazione della pronuncia di appello ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali fanno valere quattro motivi
di impugnazione. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE subentrata in forza di scissione societaria a Banca Monte dei Paschi di Siena nel rapporto di credito oggetto di causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 121 e 125quinqueies t.u.b.. Viene dedotto che nel caso di inadempimento del fornitore dei beni e dei servizi l’azione diretta del consumatore contro il finanziatore si aggiunge alle azioni che il consumatore può già esercitare sulla base delle disposizioni applicabili ad ogni rapporto contrattuale. Si deduce che la domanda dei ricorrenti odierni, diretta alla risoluzione del contratto di finanziamento, non poteva essere respinta in ragione dell’eccezione di decadenza dell’azione di risoluzione del contratto di fornitura, posto che il cit. art. 125quinquies t.u.b. si limita a prevedere la costituzione in mora del fornitore e l’inadempimento dello stesso, purché di non scarsa importanza.
Il motivo è infondato.
L’art. 125quinquies t.u.b. prevede che , nell’ipotesi di contratti di credito collegati, a fronte del l’inadempimento del fornitore dei beni e dei servizi, il consumatore che abbia effettuato la costituzione in mora del fornitore ha il diritto di ottenere la risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura ricorrono le condizioni di cui all’art. 1455 c.c.. La risoluzione del contratto di finanziamento discende, così, dall’essere il contratto di fornitura a sua volta suscettibile di risoluzione, per risultare l’ inadempimento del fornitore di non scarsa importanza.
Il legislatore italiano ha però inteso avvalersi della facoltà, accordata agli Stati membri dall’art. 5, paragrafo 2, dir. 1999/44/CE, di subordinare l’esercizio dei diritti attribuiti al consumatore all’onere di denunciare il difetto di conformità al venditore (nel termine di due mesi dalla scoperta), optando, così, per una soluzione in linea con la nostra
tradizione giuridica. In ragione di tale scelta legislativa la risoluzione del contratto di beni di consumo in tanto è attingibile in quanto il consumatore abbia denunciato il difetto di conformità nel termine di due mesi dalla scoperta (art. 132, comma 2, c. cons.): sempre che, naturalmente, sia stata proposta la relativa eccezione, posto che nella fattispecie è operante una decadenza, insuscettibile, come tale, di rilievo officioso (art. 2969 c.c.).
Il discorso non muta ove si dibatta del rimedio previsto d all’art. 125quinquies t.u.b..
Come si è detto, il giudice investito della domanda di risoluzione del contratto di credito collegato a quello di fornitura è tenuto ad accertare se questo possa essere risolto per inadempimento. Tale operazione, tuttavia, impone preliminarmente di verificare, nel caso sia stata proposta la relativa eccezione, se il difetto di conformità del bene sia stato tempestivamente denunciato: e ciò proprio in quanto, in presenza della decadenza, la domanda risolutoria non potrebbe essere accolta.
Una diversa soluzione sarebbe, del resto, priva di ragionevolezza: non si vede, infatti, perché mai la disciplina della decadenza debba operare quando il contratto di vendita venga in considerazione isolatamente e non, invece, quando lo stesso sia collegato a un contratto di finanziamento; non si coglie, cioè, sul piano logicogiuridico, il motivo per cui chi eroga il credito, ed è perciò estraneo alla dinamica attuativa del contratto di fornitura, debba risentire delle conseguenze pregiudizievoli di un inadempimento che, per non essere stato tempestivamente denunciato al fornitore, non sarebbe opponibile a quest ‘ultimo .
In conclusione, dunque, la decadenza prevista dall’art. 132, comma 2 c. cons. deve ritenersi operante anche ai fini della speciale tutela elargita dall’art. 125 -quinquies t.u.b..
Col secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 128, 129, 130, 131, 132 e 135 c. cons. e il difetto di motivazione in ordine alla corretta applicazione dell’art. 132 cit. per l’omesso esame di fatti i documenti decisivi per il giudizio. Assumono i ricorrenti che la Corte di appello, nel ragionamento logico seguito per giungere a ritenere fondata l’eccezione di decadenza dei ricorrenti dalla garanzia fatta valere, avrebbe erroneamente applicato al caso di specie la normativa di diritto comune relativa al contratto di compravendita e non quella speciale consumeristica. Si deduce che la Corte di merito «avrebbe dovuto accertare se il vizio fosse stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità». Si rileva, infine, che la sentenza impugnata sarebbe inficiata da errori con riguardo all’acquisita conoscenza, in capo agli acquirenti, dei vizi dell’impianto.
Il motivo è inammissibile, in quanto non si correla, anzitutto, alla decisione impugnata.
La Corte di merito ha infatti ritenuto fondata la censura della banca, secondo cui la disposizione dell’art. 125 -quinquies doveva «essere raccordata con le norme dettate dal codice del consumo in tema di decadenza del consumatore dal diritti di domandare la risoluzione del contrato di vendita» (sentenza impugnata, pag. 14). E’ escluso, quindi, che il Giudice del gravame abbia reputato che la fattispecie fosse regolata dalla disciplina generale in tema di compravendita.
Né appare concludente l’evocazione dell’art. 132, comma 3, c. cons., nel testo vigente ratione temporis , a norma del quale « alvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità »: la Corte di merito non ha fatto
applicazione di tale norma in quanto ha reputato assorbente il dato della mancata tempestiva denuncia delle difformità.
Involgono poi un accertamento di fatto, precluso in questa sede, le restanti doglianze, svolte nel motivo, circa il momento di scoperta dei vizi, da cui decorre il termine per effettuare la denuncia.
3. Il terzo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 , comma 2, c.c. e la carenza di motivazione in ordine alla corretta applicazione della norma stessa , stante l’ omesso esame di documenti decisivi per il giudizio. Ci si duole che la Corte territoriale, omettendo di prendere in considerazione le circostanze dedotte dai ricorrenti e le prove da queste fornite, non abbia considerato che i vizi erano stati occultati anche e soprattutto attraverso la pratica commerciale ingannevole posta in essere dalla fornitrice RAGIONE_SOCIALE pratica che era stata sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame di documenti non rientra tra i vizi di cui all’art. 360 c.p.c.. Né sul punto può ritenersi ritualmente articolata la censura di omesso esame di fatto decisivo, indirettamente richiamata da parte ricorrente con l’indicazione, in rubrica, dell’art. 360, n. 5, c.p.c.. . A tal fine, infatti, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, n. 6, e 369, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività» (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054); nel caso in esame l’istante non ha spiegato se e come la questione relativa alla pratica commerciale scorretta fosse stata sottoposta al Tribunale e alla Corte di appello. E’ del tutto eviden te, in proposito, che la produzione documentale non surroga la deduzione difensiva, dal momento che altro è il «dato» che comprova l’esistenza del fatto storico , altro il «come» e
il «quando» tale fatto sia entrato a far parte del dibattito processuale. Mette conto di aggiungere, poi, che la stessa menzione dei documenti deve ritenersi non rispettosa del principio di autosufficienza: infatti, l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi deve avvenire alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481), oltre che fornendo indicazioni quanto alla loro localizzazione nei fascicoli di causa (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28184).
4. Col quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 183, comma 6, c.p.c. per carenza della motivazione in ordine la mancata ammissione dei mezzi istruttori ritualmente dedotti. Si deduce che ove la Corte di appello avesse ammesso le prove in questione «i ricorrenti avrebbero potuto dimostrare le modalità in cui si erano svolti i fatti, dimostrando dettagliatamente quando iniziarono a percepire l’esistenza dei vizi».
Il motivo è inammissibile, in quanto totalmente carente di specificità.
Il ricorso manca infatti di alcuna identificazione delle prove su cui è incentrata la censura: qualora in sede di ricorso per cassazione si deduca un vizio circa l’ammissione di un mezzo istruttorio, incombe alla parte ricorrente l’onere di indicare in modo adeguato e specifico il contenuto del cennato mezzo, poiché, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito al giudice di legittimità sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 16 marzo 2004, n. 5369).
5. – Il ricorso è respinto.
6. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al
pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione