Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6639 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6639 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36/2021 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CAGLIARI n. 221/2020 depositata il 07/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. – Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Cagliari ha riformato la decisione del Tribunale di Oristano che aveva accolto l’opposizione proposta da NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME contro il decreto ingiuntivo emesso su ricorso di RAGIONE_SOCIALE (poi Banca MPS) per l’importo di euro 30.908,20 a titolo di saldo del contratto di finanziamento concluso con gli opponenti per l’acquisto di un impianto fotovoltaico fornito dalla società RAGIONE_SOCIALE
Gli opponenti – per quanto qui ancora interessa – avevano contestato il diritto della banca di agire nei loro confronti assumendo il grave inadempimento della società fornitrice dell’impianto fotovoltaico in quanto questo non aveva la capacità produttiva o la potenza di 6KW come indicato dalla fornitrice, bensì quella di 3,84/4 KW; inoltre il c.d. IV Conto Energia era scaduto il 30.8.2012, e la RAGIONE_SOCIALE, non presentando la pratica nei termini concordati, non aveva reso loro possibile accedere al predetto IV Conto Energia, con conseguente perdita di gran parte degli incentivi statali senza i quali non sarebbero stati in grado di coprire le rate del finanziamento, che mai avrebbero sottoscritto se avessero saputo di dover pagare le relative rate con i propri capitali; avevano fatto, inoltre, presente che l’AGCM aveva irrogato alla RAGIONE_SOCIALE una sanzione amministrativa per pratiche commerciali ingannevoli. Quindi con lettera raccomandata del 27.5.2013 avevano costituito in mora la società fornitrice e l’avevano diffidata ad adempiere con lettera del 25.7.2013 con cui avevano preannunciato che, sussistendo le condizioni di cui
all’articolo 1455 c.c., avrebbero agito per la risoluzione del contratto.
La RAGIONE_SOCIALE si era costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposizione e delle domande riconvenzionali, eccependo la decadenza degli opponenti dal diritto a far valere la garanzia per i vizi ai sensi dell’articolo 132 del codice del consumo contestando, in ogni caso, la sussistenza del grave inadempimento, stante la regolare installazione dell’impianto, il suo collaudo, la sua accettazione ed il fatto che esso era tuttora in funzione.
– Il Tribunale, accertato il grave inadempimento della società fornitrice, ai sensi dell’articolo 1455 c.c., ha dichiarato la risoluzione del contratto di finanziamento ai sensi dell’articolo 125 quinquies Tub, revocato il decreto ingiuntivo opposto e condannato la Consum.It alla restituzione delle somme versate dagli opponenti, respingendo l’eccezione di decadenza ai sensi dell’articolo 132 del codice del consumo, poiché non applicabile al caso in esame in quanto disposizione di stretta interpretazione riferita in modo specifico ai diritti di cui articolo 130 comma 2 codice del consumo.
– La Corte d’Appello nel riformare la decisione ha osservato che:
premesso che il contratto con la RAGIONE_SOCIALE doveva qualificarsi come di fornitura di un bene e non di appalto, stante il collegamento tra detto contratto e quello intercorso con la banca configurabile come mutuo di scopo -andava confermata l’applicabilità nella fattispecie dell’articolo 125 quinquies Tub;
nella specie il consumatore aveva assolto l’onere di costituire in mora il fornitore con la raccomandata del 27.5.2013; tuttavia, qualificato il contratto come compravendita, risultava fondata la censura dell’appellante relativa al rigetto della eccezione di decadenza, in quanto la disposizione dell’articolo 125 quinquies Tub doveva essere raccordata con le norme dettate dal codice di consumo in tema di decadenza del consumatore dal diritto di
domandare la risoluzione del contratto di vendita, non potendosi considerare la citata disposizione avulsa dall’impianto sistematico di riferimento, poiché, altrimenti, si sarebbe determinata una elusione della previsione normativa, rendendo suscettibile di risoluzione il contratto di finanziamento «a valle» pur nell’impossibilità di risolvere quello di fornitura «a monte» per l’inutile decorso dei termini per la denuncia dei vizi o dei termini di prescrizione;
pertanto, considerato che le azioni volte a far valere i vizi redibitori, nell’ipotesi di acquisto di beni di consumo, sono soggette ai termini più favorevoli per l’acquirente previsti dall’articolo 132 del codice del consumo (due mesi dalla scoperta dei vizi), stante la tempestività dell’eccezione di decadenza sollevata dalla banca, era onere degli acquirenti provare di aver denunciato in detto termine i vizi e le difformità del bene;
premesso che detti vizi, nella fattispecie, non potevano considerarsi occulti – come preteso dagli appellati – l’inizio della decorrenza del termine predetto doveva collocarsi non già nel mese di aprile 2013, come preteso, allorché avevano iniziato a ricevere i primi versamenti degli incentivi e si erano resi conto della riduzione del valore dell’impianto fornito; bensì, al più tardi, nei mesi immediatamente successivi al dicembre 2012, giacché le difformità dell’impianto contestate con la raccomandata del maggio 2013 (anche a non volere ritenere che avessero potuto essere rilevate fin dall’installazione, collaudo e consegna dell’impianto che risalivano al mese di giugno 2012 in ragione della relativa documentazione attestante le caratteristiche e la potenza del medesimo) certamente dovevano ritenersi rilevabili quando l’impianto era entrato in funzione (nel mese di dicembre 2012), quando era già scaduto il termine ultimo per poter accedere al c.d. IV Conto Energia (30.8. 2012) e si era già verificata l’impossibilità di accedere agli incentivi più favorevoli secondo il programma energetico promesso dalla venditrice, dunque un inadempimento
essenziale alla luce dello specifico sinallagma contrattuale; già da tale momento, invero, gli acquirenti ben avrebbero potuto e dovuto rendersi conto delle difformità dell’impianto fornito e della sua minor redditività rispetto a quanto concordato; sicché la diffida del 27.5.2013, che denunciava che l’impianto non aveva le qualità (anche di reddittività) promesse non producendo energia sufficiente a pagare le rate di mutuo, risultava tardivamente inoltrata;
i vizi derivanti dall’ imperfetta installazione del bene anch’essi considerati difetti di conformità secondo la previsione dell’articolo 129 n. 5 del codice del consumo allorché l’installazione compresa nel contratto di vendita – accertati solo in sede di consulenza tecnica, in ragione dell’entità, non potevano certamente ritenersi di per sé soli connotati dal carattere della gravità di cui all’articolo 1455 c.c.;
quanto alla domanda subordinata di annullamento del contratto per vizio del consenso (fondata sulle pratiche commerciali ingannevoli accertate dall’AGCM) – ferma l’astratta possibilità che l’annullamento per vizio del consenso del contratto di fornitura si ripercuota sul funzionalmente collegato contratto di finanziamento – nella fattispecie, in difetto di una di una previsione analoga a quella di cui all’articolo 125 Tub per l’ipotesi di risoluzione per grave inadempimento del fornitore, l’acquirente non poteva chiedere in via diretta l’annullamento del contratto di finanziamento «a valle», bensì avrebbe dovuto domandare nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (che tuttavia neppure era parte del giudizio) l’annullamento del contratto di fornitura «a monte», non potendo la caducazione del contratto di finanziamento costituire altro che un effetto di detto previo annullamento;
infondata era infine l’ulteriore domanda subordinata circa la natura usuraria degli interessi di mora (stante la presenza della c.d. clausola di salvaguardia) e il corretto computo degli stessi, essendo la relativa clausola contrattuale in linea con l’articolo 3
della Delibera CICR del 9.2.2000, nella versione vigente ratione temporis.
– Contro la sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi di cassazione.
Ha resistito RAGIONE_SOCIALE quale società beneficiaria della scissione parziale di RAGIONE_SOCIALE, cui era stato trasferito un compendio di attività e passività comprendente il credito già vantato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei due ricorrenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della notifica dello stesso: nullità in tesi derivante dalla mancanza, nella relata di notificazione eseguita telematicamente, dell’attestazione di conformità di cui all’articolo 16 undecies comma 3 del d.l. n. 179/2012, adempimento prescritto dall’articolo 3 bis commi 2 e 5 lett. g) della l. n. 53/94.
1.1. – L’eccezione va respinta.
L’articolo 3 -bis comma 2 l. n. 53 del 1994 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali) prevede che: « Quando l’atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l’avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell’atto formato su supporto analogico, attestandone la conformità con le modalità previste dall’articolo 16 -undecies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221. La notifica si esegue mediante allegazione dell’atto da notificarsi al messaggio di posta elettronica certificata »; il comma 5 prevede, inoltre, che: « L’avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata. La relazione deve contenere: (….); g) l’attestazione di conformità di cui al comma 2».
Il menzionato articolo 16undecies prevede, poi, al comma 2 che: « Quando l’attestazione di conformità si riferisce ad una copia informatica, l’attestazione stessa è apposta nel medesimo documento informatico »; ed aggiunge al successivo comma che: « Nel caso previsto dal comma 2, l’attestazione di conformità può alternativamente essere apposta su un documento informatico separato … Se la copia informatica è destinata alla notifica, l’attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione ».
L’articolo 11 della stessa legge l. n. 53 del 1994 prevede, infine, che: « Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica ».
1.2. – In fatto si rileva che nella specie non si tratta – come afferma la resistente – di omessa attestazione di conformità « delle copia informatica al cartaceo cui è riferita », invero dagli atti prodotti il ricorso notificato (e poi depositato) risulta predisposto in PDF testuale firmato digitalmente (ovvero risulta documento informatico nativo digitale, predisposto con software di videoscrittura, trasformato in PDF (senza scansione) e poi firmato digitalmente.
1.3. – Il ricorso per cassazione così predisposto è stato poi notificato telematicamente, previa estrazione di copia informatica di esso, oltre che della procura, senza la prescritta attestazione di conformità inserita nella relata di notificazione, il 12.12.2020, ed è stato depositato, nei 20 giorni dalla notifica, in cartaceo e non in via telematica, essendo stata detta modalità di deposito estesa al giudizio di legittimità – unitamente alla disciplina del processo civile telematico – a far data dal 31.3.2021 (in virtù del
provvedimento 27.1.2021 della DGSIA del Ministero della Giustizia emanato in base all’art. 221, comma 5 del d.l. n. 34/2020 conv. con modificazioni nella l. n. 77/2020) e reso obbligatorio solo dal 1° gennaio 2023.
Tale deposito cartaceo, operato dai ricorrenti, è poi corredato in calce – secondo il dettato dell’articolo 9, comma 1 bis , e 6, comma 1, della l. n. 53/1994 e successive modificazioni (« 1-bis. Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 ») di attestazione di conformità « che il ricorso per Cassazione riprodotto nel presente documento con relativa relazione di notificazione ricevute di accettazione e di consegna di notificazione tramite pec è stato estratto dalla propria casella di posta elettronica certificata ed è conforme al corrispondente atto contenuto nella casella di posta elettronica certificata ».
Invero l’art. 23 del d.lgs. n. 82/2005 che costituisce il codice dell’amministrazione digitale – contiene le seguenti disposizioni relative alle copie analogiche dei documenti informatici: « 1. Le copie su supporto analogico di documento informatico (…) hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. 2. Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico (…) » .
1.4. – Ciò premesso in fatto e richiamata la normativa di riferimento, si osserva che come già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. Sez. Un. n. 22438/2018), l’originale del ricorso nativo digitale sottoscritto con firma digitale quale atto processuale è unico; « l’atto così formato e sottoscritto è, quindi, l’atto che l’avvocato provvede a notificare, a mezzo p.e.c., all’indirizzo p.e.c., risultante da pubblici registri, della controparte. La parte destinataria della notificazione sarà, quindi, in possesso proprio dell’originale del ricorso notificato, sottoscritto con firma digitale, sicché sarà posta nella condizione di operare una verifica di conformità all’originale (in suo possesso) della copia analogica del ricorso che è stata già depositata in cancelleria » ( v. Cass.Sez. Un. cit.).
Dunque, rispetto a detto atto non è prevista la attestazione di conformità della «copia» analogica, della cui mancanza nella relata di notifica si duole la parte resistente, essendo piuttosto prevista la attestazione di conformità della copia analogica di detto originale informatico depositata in cancelleria laddove non era ancora possibile procedere al deposito telematico non essendo ancora operante nel giudizio di cassazione il c.d. processo telematico, e non essendo la Corte in grado di verificare, essa stessa, la conformità all’originale nativo digitale della copia analogica del ricorso depositata.
Di qui, pertanto, l’applicazione dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 della legge n. 53 del 1994 (e successive modificazioni), quali disposizioni che, proprio nell’ipotesi in cui non si possa depositare l’atto processuale originale telematico notificato, affidano alla parte l’onere di attestare la conformità all’originale della copia analogica depositata
Peraltro, in detta sentenza le Sezioni Unite hanno affermato- a proposito dell’applicazione della sanzione di improcedibilità per l’ipotesi di mancanza di detta attestazione di conformità – « che il
punto di equilibrio può spostarsi in avanti, tenendo conto dello stesso comportamento concludente della parte destinataria della notificazione, che esprime una saldatura concettuale, in termini di affidamento nella verifica della condizione di procedibilità, con la condotta asseverativa imposta al notificante (ciò che, del resto, costituisce orizzonte traguardato anche da Cass., 20 agosto 2018, n. 20818 e da Cass., S.U., 11 settembre 2018, n. 22085). E questo proprio perché il destinatario della notificazione è in possesso dell’originale del ricorso in formato digitale e, quindi, è in grado di valutarne appieno la conformità alla copia analogica informe (ossia priva di attestazione ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) che sia stata tempestivamente depositata (nei venti giorni prescritti dall’art. 369 c.p.c.) dal ricorrente, attestando l’esito di una siffatta verifica tramite il mancato disconoscimento di detta conformità », trovando in tal senso « peculiare valorizzazione l’art. 23, comma 2, del c.a.d., quale norma che, pur non essendo richiamata dall’art. 9, comma 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 (…), in quanto opera – già ora, nel contesto della disciplina del giudizio di legittimità non ancora inserito nel sistema del p.c.t. – da norma di chiusura sul duplice presupposto (anzitutto materiale, prima ancora che giuridico) della impossibilità per la Corte di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale e della possibilità, invece, della parte destinataria dell’atto processuale nativo digitale, debitamente sottoscritto con firma digitale, di poterne operare, o meno, il disconoscimento rispetto alla copia analogica che non sia stata autenticata dal difensore autore dell’atto notificato, in quanto in possesso proprio del suo originale ». Sicché, in mancanza di disconoscimento, non rileverà – agli effetti della procedibilità del ricorso l’assenza dell’ attestazione di conformità di cui all’art. 9 comma 1 bis , e 6, comma 1, della l. n. 53/1994 -qui peraltro presente, mentre nella diversa ipotesi in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale rimanga,
invece, solo intimato, « il ricorrente potrà depositare, in base all’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma dello stesso art. 372), l’asseverazione di conformità all’originale (ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata) sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis, 380 bis.1 e 380 ter c.p.c.). In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile » (Cass. Sez.. Un. cit.); parimenti sarà onere del ricorrente – ove il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata) – nei termini anzidetti (sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio), depositare l’asseverazione di legge di conformità della copia analogica all’originale notificato, pena l’improcedibilità del ricorso
1.5 -In ogni caso, giova aggiungere, che anche la prospettata nullità della notifica e inammissibilità del ricorso è doglianza infondata, poiché va fatta applicazione dell’insegnamento, condiviso e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui « il principio, sancito in via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni » (v. Sez. Un. n. 7665/2016, principio confermato successivamente da innumerevoli pronunce), così come di quello per cui « la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola
processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte » (v. ancora Sez. Un. n. 7665/2016): ed è importante sottolineare che detto principio è stato in generale ribadito anche da Sez. Un. n. 36596/2021, la quale, nel confermare che « l’esattezza del rito non è mai suscettibile di essere considerata come fine a sé stessa, donde può essere invocata solo per riparare a una precisa e apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, si sia determinata (per la parte) “sul piano pratico processuale” », ha però condivisibilmente circoscritto l’ambito di operatività del principio, precisando che, come è del resto intuitivo, esso non può essere enfatizzato al punto da farne applicazione « al ben diverso caso della dedotta lesione dei diritti processuali essenziali, come il diritto al contraddittorio e alla difesa giudiziale ». Sicché, per conseguenza, deve tenersi tuttora per fermo, in materia di ricorso per cassazione, che « l’eventuale nullità della notificazione è sanata dalla predisposizione (e notifica) del controricorso ad opera della parte resistente, la quale si sia difesa nel merito, in virtù del generale principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali del raggiungimento dello scopo ex articolo 156, comma 3, c.p.c. » (Cass. n. 18402/2018).
Nella specie, da un lato, è stato raggiunto « il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di PEC del difensore » (così la decisione da ultimo citata); dall’altro, il controricorrente – pur sollevando la questione della nullità – non adduce alcuno specifico pregiudizio al suo diritto di difesa, che ha, invero, esplicato con difese nel merito ampiamente articolate nel controricorso, e, soprattutto, vista la natura specifica del vizio lamentato, non adduce l’eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente e quello depositato in cancelleria e attestato conforme a quello notificato, né revoca in dubbio la provenienza e
riferibilità dello stesso al difensore che dal testo e dalla sottoscrizione appariva esserne l’autore, pacificamente munito di procura speciale. In altre parole, costituendosi e assumendo difese nel merito rispetto all’atto di gravame ricevuto e non contestato conforme a quello depositato, il controricorrente ha chiaramente palesato che l’atto, pur difforme dallo schema legale, ha raggiunto il suo scopo di instaurare un effettivo contraddittorio su una domanda rivolta ad un giudice per l’ottenuto di una pronuncia di merito sulla res controversa .
2. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 121 e 125 quinquies del d.lgs. n. 385/93 (Tub) ai sensi dell’articolo 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. in quanto la Corte d’appello, dopo aver qualificato il contratto di fornitura dell’impianto fotovoltaico come vendita e l’applicabilità della disciplina prevista dall’articolo 125 quinquies predetto per la sussistenza del collegamento negoziale tra detto contratto di vendita e il contratto di finanziamento, avrebbe erroneamente accolto l’eccezione sollevata dalla banca di decadenza dei ricorrenti dal diritto di far valere la garanzia per vizi e per mancanza delle qualità del bene venduto ex articolo 129 e 132 del codice del consumo.
Osservano i ricorrenti che:
a) in caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi l’azione diretta del consumatore contro il finanziatore prevista dalla predetta norma si aggiunge alle azioni che il consumatore può già esercitare sulla base delle disposizioni applicabili ad ogni rapporto contrattuale, avendo la norma – in attuazione della direttiva eurounitaria- innovato la disciplina abrogata assicurando una maggior tutela del consumatore nel senso – tra l’altro – di ritenere sufficiente per l’esercizio di detta azione diretta la messa in mora del fornitore nonché la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 1455 c.c.;
nella specie, perciò, sarebbe stata sufficiente la costituzione in mora effettuata con la raccomandata del 27.5.2013 con cui avevano lamentato la mancata esecuzione delle obbligazioni derivanti dal contratto d’acquisto dell’impianto fotovoltaico, tra cui l’impossibilità di accedere al c.d. Quarto Conto Energia e l’omessa consegna della documentazione relativa ai pannelli installati e all’ inverter, la mancata indicazione della reale capacità produttiva e potenza dell’impianto;
le risultanze della CTU disposta in primo grado avevano confermato l’inadempimento posto in essere da RAGIONE_SOCIALE e la notevole differenza tra ritorno economico indicato nelle disposizioni contrattuali e quello effettivamente ritraibile dell’impianto installato, dunque l’alterazione significativa dell’equilibrio posto a fondamento del sinallagma contrattuale;
l’eccezione di decadenza dall’azione di risoluzione del contratto di finanziamento avrebbe dovuto essere respinta in quanto la domanda non presupponeva la dichiarazione giudiziale di risoluzione del contratto di fornitura, ma solo la costituzione in mora del fornitore e l’inadempimento dello stesso di non scarsa importanza.
2.1. – Il motivo è infondato.
2.1.1. – L’operazione di fornitura dell’impianto in questione è un’operazione di credito al consumo caratterizzata da un collegamento funzionale tra il contratto di compravendita del bene e il contratto di finanziamento, soggetta alla disciplina dell’articolo 121 e ss. del Tub, nel testo introdotto dal d.lgs. n. 141/2010, dedicato, nel testo attuale, al « credito ai consumatori » , dando attuazione della direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito «ai consumatori», e, quindi, riconoscendo espressamente il collegamento negoziale tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di fornitura di beni o servizi di cui all’art. 3, lett. n, (che individua le condizioni per la sussistenza del
«contratto di credito collegato», e all’art. 15 (che fissa le conseguenze di tale collegamento, relativamente al caso di recesso del consumatore dal contratto finanziato e – per quanto qui più rileva – al caso di inadempimento da parte del fornitore).
Detto « contratto di credito collegato » è definito, dall’art. 121, comma 1, lett. d), come « contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito », disciplina che esonera il giudice di merito dall’affrontare il tema della riconducibilità della figura tipica di credito al consumo al «mutuo di scopo » (operazione ermeneutica pur compiuta nel caso di specie dal giudice di merito), poiché è la legge stessa a configurare un collegamento negoziale a carattere funzionale per il quale, a determinate condizioni contratto di credito e contratto di acquisto vengono ad essere unitariamente considerati sotto il profilo giuridico (e non solo economico), onde tutelare la parte comune ai due contratti, cioè il consumatore, finanziato ed acquirente. (v. Cass. n. 20477/2014); in altre parole, poiché, le norme richiamate delineano un collegamento di fonte legale tra contratti, per definizione, non è necessario alcun intervento giudiziale di individuazione di un’ (ulteriore) volontà dei contraenti volta a “collegare” il contratto di credito al consumo al contratto di compravendita, ogniqualvolta il contratto di credito al consumo, stipulato per iscritto, contenga, oltre i requisiti di cui all’art. 121 T.U.B.
2.1.2. – La tutela specifica, nell’ipotesi del detto collegamento negoziale di fonte legale, è assicurata dall’art. 125 quinquies (rubricato «Inadempimento del fornitore » ), che consente l’azione diretta del consumatore nei confronti del finanziatore in caso di
inadempimento del fornitore di beni e servizi (di cui all’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102/CE), che costituisce una protezione supplementare offerta al consumatore nei riguardi del creditore, che si aggiunge alle azioni che il consumatore può già esercitare sulla base delle disposizioni nazionali applicabili ad ogni rapporto contrattuale.
Prevede invero la norma che: « 1. Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso».
Nei primi due commi la norma in questione innova la disciplina abrogata assicurando una maggiore tutela del consumatore (tra l’altro escludendo la necessità del patto di esclusiva per l’azione diretta e prevedendo il diritto del finanziatore di ripetere l’importo del finanziamento direttamente dal fornitore) ma mantiene il meccanismo della sussidiarietà – in via attenuata rispetto a quanto previsto nella direttiva – in quanto per l’esercizio di detta dell’azione diretta è necessaria e sufficiente la messa in mora del fornitore e la sussistenza, rispetto al contratto di fornitura, delle condizioni di cui all’art. 1455 c.c., ovvero che l’inadempimento del fornitore sia connotato dalla gravità necessaria a determinare la risoluzione del contratto; ciò significa che non è necessario l’esercizio dell’azione di risoluzione del contratto per
inadempimento nei confronti del fornitore, bensì che i presupposti di detta risoluzione siano accertati incidenter tantum dal giudice adito con azione diretta verso il fornitore per la «risoluzione » del contratto di finanziamento.
2.1.3. – Il fatto che detta azione diretta nei confronti del finanziatore si «aggiunga » alle azioni che il consumatore può già esercitare sulla base delle disposizioni applicabili ad ogni rapporto contrattuale, significa solo che – a sua maggior tutela – il consumatore non è costretto ad agire anche contro il fornitore per ottenere una declaratoria di risoluzione del relativo contratto di acquisto da cui far derivare – in ragione del collegamento negoziale funzionale con il contratto di finanziamento – la caducazione anche di quest’ultimo, come sarebbe necessario secondo la normativa interna in assenza della specifica disposizione del TUB in esame, ma non vale – come pretendono i ricorrenti ad alterare le condizioni cui deve, comunque, sottostare l’accertamento incidentale delle condizioni di risoluzione del contratto di fornitura secondo la normativa codicistica integrata da quella di maggior favore prevista dal d.lgs. n. 26/2005 ( c.d. codice del consumo), poiché – come correttamente ritenuto dal giudice di secondo grado nella specie la disposizione dell’art. 125 quinquies Tub non può considerarsi avulsa dall’impianto sistematico a cui fa riferimento richiamando l’art. 1455 c.c., dunque con le norme che disciplinano la prescrizione e la decadenza dell’azione redibitoria, che va raccordata con le norme dettate dal codice di consumo, che in tema di decadenza del consumatore dal diritto a domandare la risoluzione del contratto di vendita prevede una disciplina più favorevole e dunque un termine più ampio per la denuncia dei vizi o della non conformità del bene acquistato da quello promesso. Il senso dell’affermazione secondo cui la speciale tutela apprestata dall’articolo 125 quinquies si aggiunge agli altri strumenti di cui il consumatore può avvalersi, sta proprio in ciò, che il rapporto è
regolato dalla normativa complessivamente ad esso applicabile. Del resto, diversamente ragionando, si conseguirebbe un risultato non solo elusivo – come afferma la Corte d’appello – della previsione normativa in questione, ma impeditivo della sua operatività, poiché, ove si consentisse la risoluzione del contratto di finanziamento «a valle» pur dopo l’inutile decorso dei termini per la denuncia dei vizi idonei a determinare un inadempimento grave del fornitore, si renderebbe impossibile la risoluzione di quello di fornitura «a monte» (che è, invece, il presupposto logico giuridico della caducazione del primo) ben potendo il fornitore opporre l’eccezione di decadenza al finanziatore che agisse – ai sensi del comma 2 dell’art. 125 quinquies -per « ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso ».
Dovendo, dunque, la norma poter trovare attuazione nella sua completezza, non può che interpretarsi nel senso che, sebbene non sia necessario che il consumatore – per ottenere gli effetti della caducazione del contratto di finanziamento e, quindi, la restituzione di quanto corrisposto per la restituzione di quanto ricevuto ottenga una declaratoria di risoluzione del contratto di fornitura esercitando la relativa azione nei confronti del fornitore, è, tuttavia, necessario che ottenga l’accertamento incidentale dei suoi presupposti, come regolati dalla disciplina codicistica integrata da quella consumeristica più favorevole, e, quindi, metta in mora il fornitore – unica condizione dell’esercizio dell’azione diretta – nel rispetto dei termini di decadenza e prescrizione.
2.1.4. – Perciò va respinto in quanto infondato il motivo di cassazione che denuncia nella specie la falsa applicazione degli artt. 121 e 125 quinquies del d.lgs. n. 385/93, nella specie correttamente applicati.
– Il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 128, 129, 130, 131, 132, 135 del codice del consumo ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c.
nonché la violazione dell’articolo 132 del codice del consumo per omesso esame di fatti e documenti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
3.1. – Anche a prescindere dalla formulazione – che mescola senza ben individuarne la specificità, vizi tipici di natura diversa e logicamente incompatibili – il motivo è inammissibile per diverse ragioni che seguono.
3.2 – Il motivo si articola in profili diversi di censura:
i ricorrenti sottolineano che, in materia di garanzie per i vizi dei beni oggetto di vendita, valgono le norme di maggior tutela del consumatore dal cui combinato disposto si desume: (i) una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità che si palesi entro il termine di due anni dalla consegna; (ii) l’onere del consumatore di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo, difetto che, ai sensi dell’art. 132 comma 3, si presume sussistesse già alla consegna del bene laddove si manifesti entro sei mesi dalla consegna del bene stesso, salvo che la presunzione in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto; nella specie entro i sei mesi dalla messa in funzione (tramite l’allacciamento alla rete elettrica) dell’impianto, avvenuta nel dicembre 2012, i ricorrenti, con una raccomandata dell’aprile 2013, avevano denunciato al venditore la mancanza di documenti indispensabili per l’ottenimento delle detrazioni fiscali; e nel maggio 2013 la non conformità dell’impianto a quanto convenuto; sicché, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, la Corte avrebbe dovuto applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore.
3.2.1. -Il motivo è inammissibile perché i ricorrenti, confondendo la questione della distribuzione dell’onere probatorio relativamente alla sussistenza dei vizi dell’impianto fotovoltaico
fornito con la questione della tempestività della loro denuncia, non si confrontano con la ratio decidendi della pronuncia aggravata: è ben vero, infatti, che secondo la disciplina consumeristica richiamata, i vizi che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene si ritengono sussistenti già al momento della consegna stessa, ma non è su questo che il giudice di merito si è pronunciato, bensì sul fatto che l’utile denuncia di tale vizi attraverso la messa in mora del fornitore -foss’anche avvenuta con la raccomandata dell’aprile piuttosto che del maggio 2013 era, comunque, tardiva rispetto al termine di due mesi di cui all’art. 132 del codice del consumo, dal momento che i vizi – secondo l’accertamento del giudice di merito non sindacabile in questa sede se non sotto il profilo del vizio motivazionale che denunci un’anomalia incompatibile con il minimo costituzionale garantito ( v. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014) – si erano palesati al più tardi all’atto della messa in funzione dell’impianto, nel dicembre 2012. Quindi è del tutto irrilevante il fatto che la Corte di merito non abbia preso in considerazione la presunzione invocata nel motivo.
b) I ricorrenti osservano che la Corte di merito avrebbe omesso di prendere in considerazione tutti gli elementi e tutti i documenti di causa e tutte le circostanze dedotte dai ricorrenti nel giudizio di primo grado e nel giudizio di secondo grado (doc. n. 4, 7, 8, 10, 11, 14, 16, 17, 19) e, così, ritenuto erroneamente che la denuncia risultasse tardivamente inoltrata in quanto gli acquirenti si sarebbero dovuti rendere conto della produttività e della redditività dell’impianto dal momento (o quantomeno nei mesi immediatamente successivi) in cui lo stesso era stato allacciato alla rete elettrica, cioè dal mese di dicembre 2012. In altre parole la sentenza non avrebbe tenuto conto che gli acquirenti, stante la natura dei vizi, non potevano avere avuto una conoscenza completa degli stessi e della loro gravità prima del mese di aprile, allorché iniziarono a ricevere i primi versamenti degli incentivi
statali e a rendersi conto della riduzione del valore dell’impianto fornito. Né la corte avrebbe tenuto conto che l’impianto era entrato in funzione nell’autunno 2012 (dunque in condizioni di luce limitata e di clima piovoso, mentre per verificare l’effettiva potenzialità e redditività dell’impianto occorreva attendere la primavera) e che la potenza di un pannello fotovoltaico non è una caratteristica fissa definita a priori ma dipende da molti fattori (come la posizione geografica l’inclinazione del modulo e il suo orientamento): caratteristiche tecniche complesse in ragione delle quali la conoscenza dei vizi denunciati e dell’inadempimento della società avrebbe dovuto ritenersi acquisita – anche in termini di gravità solamente a seguito dell’espletamento della CTU.
3.2.2. – Il motivo è evidentemente inammissibile, poiché i ricorrenti sottopongono alla Corte con il vizio motivazionale di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. che – come noto – deve attenere a un «fatto storico», principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo ma non sia stato preso in considerazione dal giudice – non un «omesso esame», bensì la ricognizione che in concreto il giudice ha fatto delle risultanze istruttorie per giungere alle proprie conclusioni di merito a proposito dell’accertamento della di decorrenza del termine di decadenza, ovvero del momento in cui i ricorrenti avevano preso (o avrebbero potuto/dovuto) prendere conoscenza dei vizi denunciati. Sicché con il mezzo in esame essi intendono, in realtà, sottoporre alla Corte di legittimità una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: « in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza –
fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione » (Cass. n. 14953/2000).
4. – Il terzo motivo denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 1495 comma 2 c.c. ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e carenza di motivazione in ordine alla corretta applicazione dell’art.1495 comma 2 c.c. per omesso esame di documenti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe ritenuto i ricorrenti decaduti dalla garanzia omettendo di considerare che il venditore aveva occultato i vizi; invero omettendo di prendere in considerazione tutti gli elementi tutte le circostanze dedotte dai ricorrenti nel giudizio di primo in secondo grado (doc. n. 4, 7, 8, 10, 11, 14, 16, 17, 19) non solo non aveva considerato che i vizi erano stati occultati attraverso la pratica commerciale ingannevole posta in essere dai venditori della RAGIONE_SOCIALE, circostanza rispetto alla quale la decisione sarebbe carente di motivazioni non avendo la Corte di merito effettuato alcuna delibazione in proposito.
5. – Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 183 comma VI c.p.c. ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. nonché carenza di motivazione in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori ritualmente dedotti, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
Con tale motivo i ricorrenti si dolgono che la sentenza abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta di ammissione dei mezzi istruttori senza indicare le ragioni del diniego, cosicché il ragionamento decisorio sarebbe incompleto laddove se la Corte d’appello avesse ammesso le prove già dedotte in primo grado i
ricorrenti avrebbero potuto dimostrare quando avevano iniziato a percepire l’esistenza dei vizi, con opposto esito del giudizio.
6. – I due emotivi possono essere esaminati insieme in quanto evidentemente connessi e sono entrambi inammissibili per le ragioni già dette (v. punto 3.2.2) poiché anche in questo caso i ricorrenti invocano impropriamente la violazione di legge e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riguardo ad aspetti argomentativi che riguardano un accertamento in fatto che spetta esclusivamente al giudice di merito, quale la natura palese o occulta dei vizi del bene fornito e, quindi, l’accertamento del momento in cui i ricorrenti ne avrebbero potuto e dovuto avere contezza agli effetti di considerare tempestiva relativa denuncia; potendosi solo aggiungere con riguardo alla pretesa omessa considerazione della pratica commerciale ingannevole dei venditori di RAGIONE_SOCIALE – dedotta sempre agli effetti della censura della motivazione circa la natura occulta dei vizi – che il motivo è inammissibile anche per difetto di specificità poiché non indica dove (in quali atti) e come detta questione fosse stata sottoposta al contraddittorio nei termini detti, risultando, invero, dalla sentenza che la questione è stata ampiamente considerata ai fini del rigetto della domanda subordinata di caducazione del contratto di finanziamento per effetto dell’annullamento per vizio di consenso di quello di fornitura.
7. – Il ricorso in conclusione va respinto. Quanto alle spese il collegio reputa che le stesse vadano compensate in ragione della novità della questione sottoposta alla Corte attinente all’interpretazione dell’articolo 125 quinquies Tub in relazione alla disciplina codicistica e consumeristica citata. Sussistono i presupposti per il versamento, a i sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª