Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 333 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 333 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29949/2017 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (p.iva: P_IVA), con sede in Cesena (FC), INDIRIZZO, INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME, presso il cui studio in Cesena, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione Coatta Amministrativa (p.iva: P_IVA), in persona del Commissario Liquidatore dott. NOME COGNOME, con sede in Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia), con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME.
–
contro
ricorrente – avverso il decreto del TRIBUNALE di REGGIO EMILIA, depositato in data 25.10. 2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato il Tribunale di Reggio Emilia, nella causa di opposizione allo stato passivo promossa da RAGIONE_SOCIALE contro la Liquidazione Coatta Amministrativa di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato la proposta opposizione, confermando il provvedimento di diniego adottato dal commissario liquidatore, con cui quest’ultimo aveva ammesso il credito insinuato da ll’istante per complessivi euro 351.467,75 , ma in via chirografaria.
L’opponente aveva domandato, a modifica dell’impugnato stato passivo, il riconoscimento della natura prededucibile del proprio credito «trattandosi di credito sorto in esecuzione del contratto di vendita di tubi concluso in data 20.03.2013 ovvero in epoca successiva al deposito (avvenuto in data 06.02.2013) di domanda di concordato ‘in bianco’ ex art. 161/6° co. l. fall. e, quindi, atto legalmente compiuto a norma del comma 7° dell’art. 161 appena citato e come tale in prededuzione ex lege», esponendo in fatto: che in data 06/02/2013 RAGIONE_SOCIALE aveva depositato avanti al Tribunale di Reggio Emilia domanda prenotativa, ai sensi dell’art. 161 co. 6 della legge fallimentare; – che, con decreto in date 13-15/02/2013, il Tribunale aveva concesso il richiesto termine; – che, con comunicazione trasmessa ai creditori in data 16/02/2013, RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato, tra l’altro, che «tutti i crediti che dovessero nascere verso la Cooperativa per consegna di materiali e prestazioni di servizio intervenute successivamente al 6 febbraio 2013, saranno considerati, a tutti gli effetti, ai sensi di quanto previsto dall’art. 161 L.F., crediti in ‘prededuzione’»; – che in data 20/03/2013 Coopsette e Assotubi avevano concluso «un contratto di vendita relativo a tubi in acciaio, regolarmente eseguito dalla alienante, da ultimo tramite le forniture di cui alle fatture non pagate»; che all’esito del procedimento in precedenza avviato con ricorso ex art. 182 bis l. fall., depositato in data 06/06/2013, Coopsette aveva chiesto l’omologa di una pluralità di accordi di ristrutturazione dei debiti conclusi con i propri creditori; – che con decreto in data 19/07/2013 il Tribunale aveva omologato tali accordi; – che in data
27/05/2015 RAGIONE_SOCIALE, stante l’incapacità di adempiere agli accordi di ristrutturazione predetti, aveva depositato una seconda domanda ai sensi dell’art. 161 co. 6 della legge fallimentare, cui aveva fatto seguito la concessione da parte del Tribunale di un ulteriore termine per il deposito della proposta concordataria, del piano e della documentazione di cui all’art. 160.
Il Tribunale ha rilevato ed osservato che: (i) non poteva essere
riconosciuta, nel caso di specie, una consecuzione tra procedure concorsuali; (ii) affinché possa esservi consecuzione tra più procedure è di regola necessario che, con una valutazione condotta a posteriori, la seconda possa dirsi espressione della medesima crisi economica sottesa alla prima: elemento sintomatico della continuazione poteva essere rappresentato dalla coincidenza, in termini qualitativi e quantitativi, delle masse passive delle due procedure; l’esistenza di uno iato temporale tra la prima e la seconda procedura, quand’anche non valga ad escluderne l’accertamento, può tuttavia incidere in termini negativi, posto che tanto più ampio sarà tale intervallo, tanto più difficile sarà desumere l’esistenza dell’identità della crisi ; (iii) nella fattispecie in esame, erano trascorsi circa due anni tra la chiusura del ‘ concordato 1 ‘ (25/06/2013) e la proposizione del ‘ concordato 2 ‘ (27/05/2015); (iv) in questo intervallo di tempo Coopsette, dopo avere rinunciato al termine concesso ex art. 161 co. 6, aveva chiesto l’omologa di 1375 accordi di ristrutturazione dei debiti ed aveva proseguito nell’attività di impresa, continuando a contrarre nuove obbligazioni e acquisendo nuove commesse per svariati milioni di euro e di conseguenza aveva modificato, in maniera significativa, anche il proprio stato passivo; (v) nel periodo considerato l’indebitamento di Coopsette verso i terzi era aumentato di 187 milioni di euro, con una riduzione del patrimonio netto di 297 milioni di euro, di cui 56 milioni dovuti proprio a perdite di gestione; (vi) considerato il tempo trascorso e la prosecuzione dell’attività di impresa da parte della debitrice non era possibile attribuire una ‘ connotazione unitaria ‘ alle due procedure concorsuali avviate da Coopsette, tale per cui la crisi – che aveva portato alla proposizione del ‘ concordato 2 ‘, poi sfociato nella l.c.a. – potesse considerarsi la stessa che, due anni addietro, aveva determinato la società a proporre il primo ricorso per il ‘ concordato 1’; (vii) non poteva neanche fondatamente
obiettarsi che la debitrice, per tutto il periodo di tempo considerato – tra il febbraio 2013 e l’ottobre 2015 – fosse sempre stata assoggettata ad una procedura concorsuale e che, pertanto, non vi fosse stata soluzione di continuità tra il ‘ concordato 1 ‘ e ‘ il concordato 2 ‘, posto che la natura prevalentemente privatistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti impediva di accogliere una siffatta conclusione; (viii) con la conseguenza che la mancanza di un ‘ collegamento causale ‘ tra la prima e la seconda procedura concorsuale avviata da RAGIONE_SOCIALE impediva il riconoscimento nella liquidazione coatta della natura prededucibile di tutti quei crediti sorti «in occasione o in funzione» del ‘ concordato 1 ‘ , ancorché tali crediti fossero «sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore»; (ix) comunque i crediti dell’opponente non pot evano considerarsi prededucibili nella liquidazione coatta amministrativa di RAGIONE_SOCIALE, neppure riconoscendo loro una diversa collocazione, non potendo neanche in questo caso considerarsi sorti «in occasione» di una procedura concorsuale, dovendosi aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale che attribuisce natura prevalentemente privatistica agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Il decreto, pubblicato il 25.10.2017, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa ha resistito con controricorso.
La società in RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 69 bis, 2 comma, 111, 2 comma e 161, 7 comma, l. fall., sul rilievo che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non sussistente il requisito della consecutività delle procedure solo alla stregua ‘del tempo trascorso’ e della ‘prosecuzione dell’attività di impresa da parte della debitrice’, fornendo in tal modo rilevanza decisiva a circostante a cui la normativa positiva tale importanza non conferisce e non prendendo invece in considerazione quella che deve ritenersi pacificamente la circostanza dirimente, e cioè che le due procedure abbiano o meno come presupposto la medesima insolvenza.
1.1 Le doglianze così articolate sono in realtà inammissibili.
1.1.1 In primo luogo, non corrisponde al vero che il profilo cronologico fosse stato considerato dal Tribunale come il solo elemento di apprezzamento idoneo a stabilire se vi fosse stata o meno la consecuzione tre le procedure, ed in particolare tra il ‘concordato 1’ ed il ‘concordato 2’, in una prospettiva, pertanto, in cui la crisi che aveva portato alla proposizione del ‘concordato 2’, poi sfociato nella l.c.a. – potesse considerarsi la stessa che, due anni addietro, aveva determinato la società a proporre il primo ricorso per il ‘concordato 1’. In realtà, il Tribunale ha considerato, invece, la dipendenza o meno delle predette procedure concorsuali proprio dalla medesima insolvenza, svolgendo sul punto un apprezzamento in fatto che non può essere qui più sindacato, per lo meno sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360 , primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
1.1.2 Sul punto, giova infatti ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (v. anche Cass. n. 25166/2024), il riscontro della discontinuità dell’insolvenza ovvero dell’identità della crisi sottesa alle procedure concorsuali susseguitesi si risolve senza dubbio in un giudizio ‘di fatto’, devoluto al giudice ‘del merito’, incensurabile in cassazione se non infici ato da errori di diritto ovvero da ‘anomalie motivazionali’ rilevanti nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle Sezioni Unite (cfr. anche Cass. n. 12044/2018).
1.1.3 A ciò va anche aggiunto che la prededuzione per gli atti di straordinaria amministrazione, quale è sicuramente quello per cui discorriamo, postula, ai sensi dell’art. 167, comma 7, l. fall., l’autorizzazione del Tribunale che, nel caso di specie, neppure è stata dedotta, con ciò rendendo il motivo di censura viepiù generico e dunque inammissibile in questa sede di giudizio.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di ‘omesso esame di un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti’, sul rilievo che il Tribunale non avrebbe rilevato e considerato che RAGIONE_SOCIALE, dalla presentazione della prima domanda prenotativa di concordato del 2013 alla liquidazione coatta del 2015 era stata sempre insolvente, senza mai tornare in bonis .
2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile, perché ancora una volta articolato in fatto e volto ad un nuovo apprezzamento delle circostanze
fattuali già scrutinate dai giudici del merito che, con motivazione adeguata e scevra da aporie argomentative, hanno in realtà escluso una ‘ continuità della insolvenza ‘ sottesa alle varie procedure concorsuali sopra descritte (e poi conclusesi con l’ammissione della società alla l.c.a ). E ciò senza neanche considerare che – al di là del profilo della natura concorsuale o meno della procedura degli accordi di ristrutturazione (che, nel caso di specie, si era frapposta tra le due procedure di concordato preventivo con riserva), profilo che peraltro non è stato oggetto di specifica impugnazione e che, dunque, esula dal thema decidendum del presente giudizio l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, dopo la concessione del primo termine di cui al ‘concordato 1’, aveva determinato comunque il ritorno in bonis della società poi dichiarata insolvente nella procedura di l.c.a., con la conseguenza che risulta anche ontologicamente improprio discorrere nel caso in esame di una continuità nell’insolvenza.
2.2 A ciò va ulteriormente aggiunto che nel motivo di ricorso oggetto qui di esame neanche si articola in senso proprio un ‘fatto storico’ ex art. 360, 1 comma, n. 5, cod. proc. civ., nel cui omesso esame sarebbe incorso il giudice del merito (secondo il paradigma applicativo delineato dalle Sezioni Unite nel noto arresto n. 8053/2014), se si esclude invero il solo riferimento alla circostanza fattuale del ‘ mancato ritorno in bonis della società ‘ , che costituisce invece solo l’approdo conclusivo di un diver so ragionamento in punto di fatto delle circostanze allegate e dedotte innanzi ai giudici del merito e che peraltro riguarda circostanza non decisiva ai fini del decidere, in quanto, per quanto già sopra osservato, l’omologazione degli accordi di ristrutturazione tra le due procedure di concordato preventivo aveva definitivamente reciso la continuità del l’insolvenza relativa alla società poi posta in l.c.a., la quale, proprio tramite la predetta omologazione, era sostanzialmente tornata in bonis .
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 111, 2 comma, e 161, 7 comma, l. fall.
3.1 Il motivo, così articolato, è inammissibile, in quanto dalla sua esposizione non si comprendono quali fossero le preposizioni argomentative e le
statuizioni giudiziali che si ponevano in contrasto con il dettato normativo di cui si denunciava la violazione.
3.2 Sul punto, non può essere dimenticato che, secondo gli insegnamenti di questa Corte di legittimità, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016 ; Sez. L., Ordinanza n. 17570 del 21/08/2020).
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura
del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12.12.2024