Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5744 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5744 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2729/2018 proposto da:
Provincia di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO ;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME e elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di L’Aquila, n. 678/2017, pubblicata il 6 luglio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 925/2009, ha condannato la Provincia di Pescara a corrispondere a NOME COGNOME la somma di € 1.345.983,31, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento del danno per la revoca anticipata dell’incarico di Direttore generale della Provincia .
La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 861/2010, ha ridotto l’importo di cui sopra in misura pari all’importo delle ultime sei mensilità del trattamento economico, confermando, per il resto, la decisione di primo grado.
La Provincia di Pescara ha proposto ricorso per cassazione che è stato rigettato dalla RAGIONE_SOCIALE.C. con sentenza n. 7751/2012.
NOME COGNOME ha agito per l’ottemperanza davanti al TAR Abruzzo, che ha dichiarato il suo difetto di giurisdizione.
Nelle more, la Provincia di Pescara ha pagato la somma di 931.904,89.
NOME COGNOME ha notificato precetto alla Provincia di Pescara, avente ad oggetto l’ammontare di € 323.851,34, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
La Provincia di Pescara ha proposto opposizione che il Tribunale di Pescara, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1066/2016, ha rigettato.
La Provincia di Pescara ha presentato appello che la Corte d’appello di L’Aquila, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 678/2017, ha in parte accolto, dichiarando che la sorte capitale era stata integralmente corrisposta e che interessi e rivalu tazione dovevano essere computati, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., dal 1° gennaio 2005 al 16 ottobre 2012.
La Provincia di Pescara ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo la Provincia di Pescara deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 36, legge n. 724 del 1994 e dell’art. 429 c.p.c. in quanto la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che la natura risarcitoria del credito di NOME non avrebbe impedito l’applicazione dei criteri vigenti in materia per i crediti di lavoro pubblici.
Ciò perché le somme riconosciute al controricorrente erano strettamente commisurate al trattamento retributivo che egli avrebbe avuto se al contratto fosse stata data esecuzione.
Ad avviso di parte ricorrente la Corte d’appello di L’Aquila non avrebbe considerato che il Tribunale di Pescara non aveva rilevato due errori presenti nel precetto opposto:
gli interessi erano stati calcolati sul capitale rivalutato e non su quello nominale;
gli interessi e la rivalutazione monetaria erano stati computati sul capitale lordo e non su quello al netto delle ritenute di legge.
Il credito vantato dal controricorrente sarebbe stato del tutto assimilabile ad un ordinario credito di lavoro del pubblico impiego e, quindi, avrebbe dovuto essere assoggettato al principio nominalistico.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Innanzitutto, si osserva che la Corte territoriale ha basato la propria decisione sulla circostanza che la sentenza del la Corte d’appello di L’Aquila n. 861/2010, sulla quale è fondato il precetto opposto, ha riconosciuto, con statuizione passata
in giudicato, che il credito oggetto di causa ha natura risarcitoria e che va escluso il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione.
Questo passaggio della decisione impugnata non è stato specificamente contestato.
Pertanto, il credito azionato nella presente sede, benché abbia natura lavorativa, va trattato come un ordinario credito di valore , con l’effetto che, sullo stesso, è possibile il cumulo di rivalutazione ed interessi.
Ne deriva che, per liquidare la somma dovuta al controricorrente, sul capitale andranno riconosciuti gli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al detto capitale, rivalutato anno per anno, un saggio individuato in via equitativa (Cass., Sez. 2, n. 1627 del 19 gennaio 2022).
Qualora, poi, il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, il computo del danno deve avvenire:
devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito;
detraendo l’acconto dal credito;
calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e, quindi, sulla s omma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva (Cass., Sez. 3, n. 16027 del 18 maggio 2022).
A diverse conclusioni deve giungersi, però, in ordine alla questione delle ritenute di legge.
Infatti, sul punto non vi è alcuna pronuncia passata in giudicato nella sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 861/2010.
Al riguardo, quindi, deve trovare applicazione l’art. 3, comma 2, del d.m. n. 352 del 10 settembre 1998, il quale ha stabilito che, in caso di ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici in attività di servizio o in quiescenza, gli accessori di legge sono calcolati sulle somme dovute al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali.
Ancora prima dell’adozione d i tale d.m. n. 352 del 1998, già la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 54 del 19 gennaio 1993) aveva affermato che il conteggio degli accessori (interessi legali e rivalutazione monetaria) del credito principale andava eseguito sulla somma netta liquidata, in considerazione che il ritardo nel pagamento danneggiava l’avente diritto con specifico riferimento a tale somma netta, che avrebbe dovuto essere corrisposta alla scadenza di legge, e non alla somma lorda idealmente comprensiva delle ritenute a vario modo operate dall’Amministrazione; dette ritenute erano effettuate prima ancora che il credito fosse percepito dal titolare, sicché l’integrazione rappresentata dalla rivalutazione e dagli interessi non p oteva che riguardare il credito netto.
In seguito, Cass., Sez. L, n. 27521 del 10 dicembre 2013 ha evidenziato che, in relazione ai criteri e alle modalità per la corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, per ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici in a ttività di servizio o in quiescenza, l’art. 3, comma 2, del d.m. n. 352 del 10 settembre 1998, secondo il quale detti accessori sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali, si applica anche agli interessi e alla rivalutazione che conseguono ad una sentenza di condanna al pagamento di somme a titolo di differenze retributive, sempre che la sentenza non abbia quantificato essa stessa l’ammontare di tali accessori del credito principale o abbia determinato, in modo diverso, le modalità di calcolo dei medesimi.
La circostanza che il credito abbia natura risarcitoria e sia caratterizzato dalla cumulabilità fra rivalutazione ed interessi non dovrebbe allora incidere, così come non dovrebbe rilevare il fatto che la giurisprudenza sopra citata concerna emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale e non il risarcimento del danno.
Infatti, il risarcimento è calcolato sulla base delle somme che sarebbero state percepite a titolo di retribuzione.
Risulterebbe incoerente, dunque, se gli interessi e la rivalutazione determinati su detto risarcimento fossero computati in misura superiore a quanto sarebbe avvenuto se le medesime somme fossero state ottenute a titolo non risarcitorio.
Le stesse Sezioni unite di questa Suprema Corte n. 14429 del 9 giugno 2017, intervenendo per risolvere un contrasto di giurisprudenza, hanno ritenuto che non vi siano valide ragioni per le quali il giudice ordinario possa disapplicare, in generale, la norma speciale rappresentata dal citato art. 3, comma 2, del d.m. n. 352 del 10 settembre 1998.
Ciò in quanto la regola dell’utilizzo dell’importo netto anziché di quello lordo, così come prevista dal menzionato comma 2 dell’art. 3 del d.m. n. 352 del 1998, non interviene sul meccanismo del cumulo: invero, il sistema prefigurato per il calcolo degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme spettanti al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali non è altro che uno dei possibili criteri applicabili per individuare la base di calcolo degli accessori di legge, utilizzabile a prescindere dal divieto di cumulo, come provato anche dal fatto che tale metodo di computo era stato già adottato dalla giurisprudenza amministrativa.
Pertanto, se l’applicabilità della disciplina del d.m. n. 352 del 1998 in ambito lavorativo prescinde dall’esistenza o meno di un divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione, deve affermarsi che, ai fini della quantificazione dell’importo spettante al controricorrente nella specie, gli interessi e la rivalutazione dovevano essere calcolati sul capitale al netto delle ritenute di legge.
A conclusioni simili è sostanzialmente giunta, in motivazione, anche Cass., Sez. L, n. 13624 del 2 luglio 2020, non massimata sul punto, che ha espresso il principio per il quale i crediti risarcitori rientrano nella più ampia locuzione di crediti di lavoro, come richiamata dall’art. 429, comma 3, c.p.c., che, con tale locuzione, ha inteso riferirsi a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli strettamente retributivi.
Sostiene il controricorrente, nelle sue note conclusive, che, però, il Tribunale di Pescara – Sezione Lavoro, alle pagine 35 e 36 della sentenza n. 925 del 2009 avrebbe statuito che ‹‹ il danno risarcibile in favore del ricorrente, per le voci in esame, viene in conclusione determinato nella somma complessiva di Euro
1.345.983,31 (risultante dalla detrazione delle suddette somme di € 30.000 e di € 56.678,00 dall’ammontare complessivo dei compensi stimati, pari a € 1.432.661,41). Sull’importo così determinato vanno corrisposti gli interessi legali ed il risarcimento del danno da svalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c. (espressamente richiesti dal ricorrente già nell’atto introduttivo del giudizio) e sul punto l’amministrazione convenuta ha eccepito (anche a tal riguardo solo in corso di causa) il divieto di cumulo di tali oneri accessori ex art. 22 L. n. 724/1994. In contrario è sufficiente rilevare (a prescindere da ogni altra considerazione) che la norma in esame (a differenza di quella prevista dall’art. 429 c.p.c., avente ad oggetto i crediti di lavoro a qualsiasi titolo dovuti) si applica (in ambito di pubblico impiego) solo e specificamente agli emolumenti di natura retributiva (nonché previdenziale ed assistenziale) e perciò non è applicabile alle somme dovute (come nel caso in esame) per risarcimento del danno (cfr., in una fattispecie in parte analoga in tema di equo indennizzo, Cass. N. 2202/1993 e Cass. N. 7307/2007). È da aggiungere che, trattandosi di una somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, essa è esente da ritenute previdenziali ›› .
La Corte d’Appello di L’Aquila, poi, in sede di impugnazione della menzionata sentenza, avrebbe evidenziato, con la sentenza n. 861/2010, in ordine alla non applicazione dell’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 ed ai criteri stabiliti per il calcolo degli interessi e della rivalutazione monetaria, che ‹‹ è infondato anche il motivo relativo al riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme dovute al AVV_NOTAIO, poiché le stesse non hanno natura retributiva (nel caso era si applicabile l’art. 22 comma 36 l. n. 724/1994 che esclude il cumulo per gli emolumenti di natura retributiva), ma risarcitoria ›› .
In ordine a questa affermazione della Corte d’appello di L’Aquila e a quella, analoga, del Tribunale di Pescara, si sarebbe formato il giudicato.
Conclude il controricorrente che queste ultime due sentenze avrebbero stabilito che non sarebbe possibile applicare al caso di specie l’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, ossia il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione, e, quindi, neanche il d.m. n. 352 del 1998, con il quale erano stati stabiliti i criteri e le modalità di applicazione di tale comma 36, ma solo la
disciplina generale prevista dall’art. 429 c.p.c., per avvenuta formazione del giudicato sul punto.
Questa osservazione non può, tuttavia, essere integralmente condivisa.
Infatti, il Tribunale di Pescara e la Corte d’appello di L’Aquila hanno escluso che la controversia fosse regolata dalla legge n. 724 del 1994, ma ciò hanno fatto con riferimento alla problematica del cumulo, mentre nulla hanno detto in ordine alla rilevanza o meno delle ritenute di legge.
Ciò è perfettamente comprensibile perché il profilo della determinazione dell’ammontare della somma capitale sulla quale computare gli accessori in esame prescinde del tutto dal riconoscimento del cumulo e dalla natura risarcitoria o meno del credito azionato.
Il ricorso è accolto nei termini di cui in motivazione.
La sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari nuovi accertamento di fatto, la causa è decisa nel merito ex art. 384, comma 2, c.p.c., applicando il seguente principio di diritto:
‹‹In ipotesi di ritardato pagamento di somme di natura risarcitoria ai dipendenti pubblici, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria vanno calcolati, a prescindere dalla loro cumulabilità, sugli importi dovuti al netto delle ritenute di legge››.
Il precetto opposto è annullato, disponendosi che, per il periodo indicato (e non contestato) nella sentenza impugnata, ossia dal 1° gennaio 2005 al 16 ottobre 2012, la somma spettante al controricorrente sia calcolata applicando gli interessi sul capitale, rivalutato anno per anno, al netto delle ritenute di legge.
Le spese dell’intero giudizio sono compensate, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., in ragione dell’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla il precetto opposto, disponendo che, per il periodo dal 1° gennaio 2005 al 16 ottobre 2012,
il credito del controricorrente sia calcolato applicando gli interessi sul capitale, rivalutato anno per anno, al netto delle ritenute di legge;
compensa le spese di tutto il processo..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 6