Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22558 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22558 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20614/2022 R.G. proposto da :
INPS, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, difesa e rappresentata da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA, COMMISSARIO GIUDIZIALE PROCEDIMENTO CONCORDATO PREVENTIVO PROPOSTO DA RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 52722/2021 depositato il 21/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, con decreto depositato il 21.7.2022, ha rigettato il reclamo proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) avverso il decreto del 24.11.2021 con cui il Tribunale di Roma aveva omologato il concordato preventivo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi solo IVU), rigettando l’opposizione dell’INPS.
Il giudice d’appello ha, in primo luogo, disatteso l’eccezione con cui l’INPS ha contestato l’applicabilità, al caso di specie, della versione degli artt. 180,182 bis e 182 ter, nel testo modificato dall’art. 3 comma 1 bis DL 125/2020 conv. nella L. 159(2020, sul rilievo che la domanda di transazione previdenziale era antecedente all’entrata in vigore dell’art. 3 comma 1 ter DL 125/2020.
La Corte d’appello ha quindi disatteso la prospettazione dell’ente ricorrente secondo cui la falcidia dei crediti previdenziali, attuata con l’istituto del cram down, nel caso di concordato in continuità, determinerebbe un trasferimento di risorse ad un’impresa ancora in attività, dando luogo ad un aiuto di stato, e ciò in violazione del
principio di concorrenza e degli artt. 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Il giudice d’appello ha, altresì, disatteso la prospettazione del ricorrente secondo cui la soluzione concordataria comportava l’impossibilità di attingimento al Fondo di accantonamento delle riserve di gestione ex art. 39 L. n. 153/1969, evidenziando, sul punto, che l’attingimento al fondo è comunque una forma di ricorso alle risorse pubbliche e non costituisce un’alternativa economicamente vantaggiosa, non garantendo un risparmio delle risorse pubbliche.
Infine, il giudice di merito ha disatteso le deduzioni con cui l’INPS ha censurato la valutazione di sostenibilità economico-finanziaria del piano concordatario da parte dell’attestatore indipendente e dei Commissari Giudiziali.
Avverso il predetto ha proposto ricorso per cassazione l’INPS affidandolo ad un unico motivo. L’istituto di Vigilanza dell’Urbe RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 180 comma 4° L.F., ultima parte, modificato con il D.L. 125/2020 conv. D.L.
Nella L. 159/2020, ulteriormente modificato dal 118/202120/82 bis, 182 ter, commi 1 e 5 L.F.
Il ricorrente, premettendo che, in sede di adunanza dei creditori, non erano state raggiunte le maggioranze richieste dall’art. 177 L.F. in considerazione del voto contrario espresso dall’INPS e dalla mancanza di voto dell’Agenzia delle Entrate, e che il Tribunale di Bologna aveva omologato il concordato applicando il cram down previsto dall’art. 180 comma 4° L.F., convertendo il voto contrario in voto positivo (valutazione condivisa dalla Corte d’Appello), contesta l’interpretazione della predetta norma effettuata dai giudici di merito, e, segnatamente, come questi ultimi hanno
valutato la condizione, legittimamente l’operatività dell’istituto del cram down, del carattere decisivo dell’adesione della amministrazione ai fini del raggiungimento delle maggioranze.
In particolare, evidenzia che, secondo la dottrina, tale condizione può essere interpretata in due modi diversi. Secondo una prima ipotesi, il credito dell’amministrazione deve essere semplicemente neutralizzato, escludendolo dal computo sia dei votanti e sia dei votanti contrari: se per effetto di tale non computo i voti favorevoli sono superiori rispetto ai voti contrari, l’adesione dell’amministrazione si rileva decisiva e il tribunale, in presenza delle altre condizioni (mancanza di voto o mancanza di adesione dell’amministrazione e superamento del test di convenienza della proposta di soddisfacimento dell’amministrazione) può provvedere nel senso dell’omologa. Secondo altra ipotesi, il credito dell’amministrazione non deve essere escluso dal quorum, ma conteggiato tra i voti favorevoli: per effetto di tale riqualificazione del voto dell’amministrazione, i voti favorevoli ai fini del raggiungimento delle maggioranze sono dati dalla somma dei voti favorevoli effettivamente espressi da altri creditori e dal voto dell’amministrazione. Dunque, le classi composte esclusivamente da crediti fiscali e contributi dovranno essere conteggiate come classi favorevoli.
Ad avviso dell’ente ricorrente, l’interpretazione più aderente alle norme sovraordinate di natura costituzione e comunitaria, nell’ottica di garantire un’autentica tutela ai creditori maggioritari dissenzienti, è quella della mera neutralizzazione del voto contrario espresso dall’amministrazione, piuttosto che della sua conversione in voto favorevole.
In particolare, il ricorrente sostiene che il meccanismo della conversione del voto contrario in voto favorevole si pone in stridenti contrasto con l’art. 11 della direttiva (UE) 2019/1023 che così recita:
‘1. Gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all’articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l’accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se esso soddisfa almeno le condizioni seguenti:
è conforme all’articolo 10, paragrafi 2 e 3;
è stato approvato:
dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti; oppure, in mancanza,
ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale.
assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori; e
nessuna classe di parti interessate può ricevere o conservare in base al piano di ristrutturazione più dell’importo integrale dei crediti o interessi che rappresenta.
In deroga al primo comma, gli Stati membri possono limitare il requisito di ottenere l’accordo del debitore ai casi in cui quest’ultimo è una PMI.
Gli Stati membri possono aumentare il numero minimo di classi di parti interessate, o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio necessario per l’approvazione del piano ai sensi della lettera b), punto ii), del presente paragrafo;
In deroga al paragrafo 1, lettera c), gli Stati membri possono prevedere che i diritti dei creditori interessati di una classe di voto dissenziente siano pienamente soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti se è previsto che una classe inferiore riceva pagamenti o mantenga interessi in base al piano di ristrutturazione.
Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni che derogano al primo comma, qualora queste siano necessarie per conseguire gli obiettivi del piano di ristrutturazione e se il piano di ristrutturazione non pregiudica ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate’.
In particolare espone il ricorrente che posto che il credito dell’amministrazione deve essere obbligatoriamente inserito in una classe separata, a norma dell’art. 182 ter comma 1° L.F., e potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui lo stesso credito sia suddiviso in una pluralità di classi (ove si offrano percentuali diverse per la parte incapiente degradata a chirografo), il meccanismo di conversione del voto contrario in voto favorevole potrebbe comportare l’approvazione della proposta concordataria finanche nell’ipotesi in cui quest’ultima non avesse ricevuto la maggioranza in nessuna delle altre classi (come se, ad esempio, vi fossero tre classi composte da crediti dell’amministrazione conteggiate come favorevoli per il solo effetto della fictio e una classe di creditori chirografari contraria), e tutto ciò in contrasto con la disposizione comunitaria sopra riportata e contenuta al punto ii), ove si richiede che la proposta sia approvata almeno da una delle classi di voto di parti interessate.
Ad avviso del ricorrente, un’ulteriore criticità riguard erebbe la condizione del superamento del test di convenienza della proposta
di soddisfacimento dell’amministrazione. In particolare, la tutela offerta all’amministrazione dall’art. 180 comma 4° L.F. attraverso la possibilità del tribunale di sindacare la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria non è offerta agli creditori dissenzienti che possono contestare la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria solo se si tratta di creditori dissenzienti di classe dissenziente. Si potrebbe quindi verificare la situazione in cui la proposta sia approvata da una minoranza e i creditori dissenzienti non possono nemmeno contestarne la convenienza, il tutto in palese violazione dell’art. 10 par. 2 lett d) della direttiva in oggetto che riconosce a tutti i dissenzienti, senza limitazioni, il diritto di opporsi chiedendo la verifica del miglior soddisfacimento dei creditori.
2. Il ricorso è inammissibile.
Nella parte narrativa è stato appositamente sintetizzato il contenuto del provvedimento impugnato, nonché indicate le questioni su cui la Corte d’Appello si è pronunciata, giusto per evidenziare che non vi è alcuna traccia della questione che forma oggetto del ricorso per cassazione, ovvero l’interpretazione dell’art. 180 comma 4°, ultima parte L.F., e, segnatamente, come deve essere valutata la condizione, legittimamente l’operatività dell’istituto del cram down, del carattere decisivo dell’adesione della amministrazione ai fini del raggiungimento delle maggioranze ex art. 177 L.F.
L’ente ricorrente non ha neppure allegato di aver sottoposto tale questione al giudice di merito, che non è di mero diritto ma per lo meno mista, presupponendo anche accertamenti in fatto.
Sul punto, è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni
nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio e che non richiedono accertamenti in fatto (Cass. n. 22886/2022; Cass. n. 32804/2019; Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018, n. 15430; Cass. n. 28060/2018; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.
Come detto, il ricorrente non ha assolto a tale onere.
Tale considerazione assorbe tutte le censure svolte dal ricorrente in ordine ad un asserito contrasto del meccanismo della conversione del voto contrario dell’amministrazione in voto favorevole alla direttiva europea 2019/1023.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 12.6.2025