Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32954 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 32954 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8634/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende per legge
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di MILANO in R.G. n. 1125/2022 depositato il 16/03/2023 al n. cron. 932/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli avvocati COGNOME e COGNOME
Fatti di causa
La società RAGIONE_SOCIALE unipersonale, operante nel settore del commercio di rottami (ferrosi e non) e dello smaltimento di rifiuti, ha proposto ricorso per cassazione contro il decreto della Corte d’appello di Milano che ne ha respinto il reclamo avverso il diniego di omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fall.
(violazione ed erronea applicazione delle -bis, 182-ter legge fall.) dipanato in quattro censure.
Ha prospettato un solo motivo in iure norme di cui all’art. 182 L’Agenzia delle entrate ha replicato con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
– In punto di fatto emergono dal decreto le seguenti circostanze:
(a) la società aveva chiesto al tribunale, ai sensi dell’ art. 182-bis, sesto comma, legge fall., la tutela inibitoria quanto alle possibili azioni esecutive e cautelari nei confronti del patrimonio, al fine di proseguire nelle trattative avviate con l’Agenzia delle entrate per la formalizzazione di una proposta di transazione fiscale;
(b) tale proposta avrebbe dovuto costituire il nucleo di un accordo di ristrutturazione, essendo l’amministrazione finanziaria titolare del l’89% de i crediti complessivi;
(c) il tribunale , fissata l’udienza e disposto il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, sul patrimonio della società, aveva assegnato alla medesima un termine di 60 giorni per depositare l’accordo di ristrutturazione dei debiti;
(d) l’Agenzia delle entrate aveva depositato una memoria contenente la propria motivata indisponibilità ad accettare la proposta di transazione fiscale e a concludere un accordo di ristrutturazione;
(e) la società aveva quindi insistito per l’omologazione dell’accordo invocando l’art. 182 -bis, quarto coma, (cd ‘cram down’), essendo l’assenso da parte
dell’Amministrazione finanziaria decisivo al fine del raggiungimento della maggioranza del 60% dei crediti (essa sola rappresentandone l’89%) ; non aveva di conseguenza coinvolto gli altri creditori.
– Nelle circostanze date, il tribunale ha negato l’omologazione p erché la società non aveva in effetti provveduto a formalizzare nessun accordo di ristrutturazione previdente la transazione con l’Amministrazione finanziaria . Ha aggiunto che la società non poteva avvalersi dello strumento d i cui all’art. 182-ter legge fall. mancando il presupposto dell’esistenza di trattative col ceto creditorio, e che in ogni caso la relazione del professionista attestatore in punto di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria si era rivelata lacunosa.
-La corte d’appello ha confermato tali valutazioni, ulteriormente osservando che la questione di costituzionalità degli artt. 182-bis e 182-ter, prospettata dalla reclamante in relazione all’interpretazione datane dal tribunale, era priva di rilevanza (anche al netto della sua manifesta infondatezza) . L’assunto si era difatti sostanziato in ciò: che la detta interpretazione avrebbe dato luogo a un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imprenditore in stato di crisi avente come unico creditore concorsuale l’Agenzia delle entrate e quello avente invece creditori diversi. Ma la questione mai avrebbe potuto superare il vaglio di rilevanza, considerato che la RAGIONE_SOCIALE aveva in effetti anche altri debiti venutisi a formare in data antecedente al deposito del ricorso ed era stata una sua scelta quella di non coinvolgere i restanti creditori nella ristrutturazione.
– La ricorrente impugna la decisione della corte territoriale prospettando quattro censure, tutte sotto l’egida della violazione degli artt. 182-bis, 182-ter legge fall.
In particolare:
(i) la decisione sarebbe errata nella parte in cui ha assunto non potersi applicare il cram down in mancanza di un accordo con altri creditori, titolari di crediti pari all’11 % dell’ammontare complessivo (creditori qualificati come non aderenti e destinatari di soddisfacimento integrale), oltre che con l’Agenzia delle entrate; in tal senso la corte d’appello avrebbe mancato di rispondere al quesito circa la rilevanza dei casi in cui l’unico creditore destinatario dell’accordo sia l’Erario , al cui atteggiamento sia da attribuire la causa del naufragio delle trattative;
(ii) la decisione sarebbe errata altresì nella parte in cui ha ritenuto inesistente un interesse concorsuale in funzione del quale la volontà del fisco dovesse essere sacrificata alla volontà del debitore: difatti il tenore letterale delle norme evocate non esclude l’applicazione del cram down nel caso in cui il Fisco neghi immotivatamente il consenso alla proposta e, tuttavia, sia l’unico creditore concorsuale, e neppure stabilisce che sia necessario avere raggiunto l’accordo con altri creditori concorsuali al fine di poter ottenere il cram down; in particolare, secondo la ricorrente, la locuzione ‘ nell’ambito delle trattative ‘ non escluderebbe affatto le trattative intercorrenti anche con un solo creditore, e gli artt. 182-bis e 182-ter non disciplinano due differenti e antitetiche procedure, ma un’unica procedura che prevede il necessario trattamento dei crediti erariali all’interno della procedura concorsuale : quindi, diversamente da quanto sostenuto dalla corte d’appello, l’interesse concorsuale, nel caso di unico creditore, potrebbe essere perseguito mediante la falcidia del suo solo credito, salvo non si voglia giungere alla conclusione che qualora l’impresa sia in crisi o in stato di insolvenza a causa di un rilevantissimo credito con un unico creditore non possa accedere agli strumenti legislativamente previsti per superare la crisi e debba quindi inesorabilmente fallire;
(iii) la decisione sarebbe errata anche nella parte in cui ha negato la rilevanza della questione di legittimità costituzionale;
(iv) la decisione sarebbe errata, infine, nella parte in cui ha ritenuto non essere la proposta più conveniente per l’Erario rispetto all’alternativa fallimentare in considerazione di lacune dell’ attestazione.
V. -I primi tre motivi di ricorso, connessi e suscettibili di unitario esame, sono infondati per l’essenziale ragione che segue.
In base all’ art. 182-bis, quarto comma, legge fall. il tribunale omologa l’accordo di ristrutturazione di debiti anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale necessaria per l’approvazione dell’accordo e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è convenie nte rispetto all’alternativa liquidatoria.
Requisito essenziale, anche ai fini del cram down , è dunque, per l’appunto , l’esistenza di ulteriori creditori, i quali a loro volta abbiano concluso accordi con l’imprenditore , ancorché in termini percentuali insufficienti ai fini di legge. Nel caso concreto emerge dallo stesso ricorso che il piano di ristrutturazione dei debiti proposto dalla società si era fondato sul mero fatto della non adesione dell’amministrazione finanziaria a una proposta di transazione fiscale . In questa medesima prospettiva, secondo la ricorrente, l’ adesione sarebbe stata surrogabile nell’ambito della omologazione forzosa , poiché l ‘Agenzia delle entrate era il solo creditore potenzialmente aderente, visto che tutti gli altri erano stati considerati come creditori estranei, da soddisfare integralmente.
VI. -Ora, i termini della fattispecie rendono ragione del rilievo della corte territoriale, visto che è ovvio che nelle condizioni date non può dirsi che la transazione si sia inserita (e si inserisca) in un preesistente accordo da omologare.
È difatti chiaro che quel che la ricorrente definisce come ‘accordo’ altro non è, nella sua personalissima ottica, che il surrogato della valutazione giudiziale di maggiore convenienza delle condizioni offerte in favore dell’amministrazione finanziaria nell’ambito della proposta (mera) di transazione fiscale, rispetto all’alternativa liquidatoria.
Ma una fattispecie del genere di quella prospettata -vale a dire una fattispecie di omologazione di una (mera) transazione fiscale mediante cram down -finisce per rappresentare una figura ‘altra’ rispetto a quella disciplinata dalla legge.
La legge fallimentare presuppone la necessità della preesistenza di un accordo di ristrutturazione nel quale inserire la percentuale, ascrivibile al creditore forzosamente considerato, necessaria al raggiungimento della soglia minima di legge. Per tale ragione non ha fondamento discorrere di presunte disparità nascenti dalla interpretazione della norma. La verità è che, a seguire la tesi della ricorrente, lo strumento offerto per la regolamentazione della crisi verrebbe privato del fine concorsuale nella misura in cui ipotizza che nessun altro creditore tranne l’erario sia da coinvolgere nell’ accordo.
E ciò, peraltro, con un effetto distorsivo evidente, tale da trasformare l’ istituto in un mezzo di coazione del creditore pubblico alla soluzione unilaterale predisposta dal debitore.
Tutt’al contrario, d eve essere affermato il principio per cui l’art. 182 -bis, quarto comma, legge fall. richiede come precondizione del cram down fiscale la presenza di un accordo con i soggetti titolari di crediti di ammontare tale da non raggiungere il 60% di cui al primo comma della stessa norma, donde l’estensione al creditore pubblico (in presenza dei presupposti di legge) si riveli tale da consentire di ovviare, sempre nell’ottica della concorsualità, al mancato raggiungimento della richiesta maggioranza ; con l’ulteriore conseguenza che in mancanza di accordo con uno o più creditori nel senso dianzi indicato non può discorrersi di una ipotesi di transazione fiscale mediante cram down.
VII.
–
Il quarto motivo è inammissibile.
La corte d’appello ha svolto due considerazioni per disattendere il reclamo. Da un lato, ha condiviso l’assunto del tribunale secondo cui RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto l’omologazione di un accordo di ristrutturazione solo auspicato e non ancora sottoscritto da alcuno, e da ciò ha tratto la già vista considerazione a proposito della inesistenza di un interesse concorsuale presidiabile mediante l’eventualità del cram down.
Dall’altro, ha sottolineato che il cram down si poteva giustificare solo dinanzi a un rifiuto irragionevole della proposta, mentre nel caso concreto l’ Agenzia delle entrate aveva ben spiegato le ragioni di non convenienza, facendo leva sulla lacunosità dell ‘attestazione del professionista incaricato dalla proponente.
A tal riguardo la corte d’appello ha rilevato che il professionista, nell’indicare i possibili esiti della liquidazione, aveva considerato i beni aziendali atomisticamente, senza stimare il valore dell’azienda nel suo complesso, pur avendone riferito l’operatività in un settore di mercato con prevedibile ‘andamento in costante risalita’. Cosicché andava in effetti confermata l’esistenza di una lacuna tale da rendere inattendibili le conclusioni dell’ attestatore sulla convenienza della proposta.
VIII. – La ricorrente denunzia che il perimetro di valutazione del giudice è in tal senso circoscritto esclusivamente all’ambito giuridico e pertanto esula da considerazioni in ordine alla convenienza economica. Lamenta inoltre che la corte d’appello avrebbe valutato con superficialità la memoria in replica al diniego espresso dall’Agenzia dell e entrate, oltre che le note di udienza depositate ‘ nel grado di appello ‘ ( rectius , nella fase di reclamo), essendo stata assolutamente irrealizzabile l’ipotesi di cessione dell’intera azienda non solo in considerazione dell’obsolescenza dei macchinari e attrezzature , ma anche e
soprattutto perché impedita dalla normativa di settore, attesa la decadenza delle autorizzazioni quale immediata conseguenza dell’ingresso nella procedura di liquidazione giudiziale.
La censura non coglie l’effettivo significato della ratio decidendi , che si concretizza in una condivisa affermazione di non irragionevolezza del diniego opposto da ll’amministrazione alla transazione fiscale per la lacunosità della relazione del professionista in ordine ai valori aziendali.
L’art. 182 -bis, quarto comma, legge fall. prevede che il tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie in due concordanza di due condizioni: ‘ quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma ‘ e ‘ quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria ‘ .
Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, per l’omologazione della proposta transattiva e per la conseguente produzione dei relativi effetti in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria il tribunale è pur sempre chiamato a valutare direttamente l’aspetto della convenienza economica rispetto all’alternativa liquidatoria . E la ragione è ovvia, visto che è questo il presupposto essenziale per l’omologazione forzosa.
In altre parole, l ‘attività valutativa è svolta dal giudice in surrogazione dell’amministrazione dissenziente (cioè non aderente), ed è svolta sempre in base alle risultanze della relazione del professionista.
IX. L’attività valutativa c ostituisce espressione di un giudizio di fatto, che nel concreto la corte d’appello come anche il tribunale -ha realizzato motivatamente, rimarcando (al netto della prima ratio decidendi ) che la relazione del professionista era lacunosa perché era mancata la stima del valore aziendale nel suo complesso, punto di partenza di ogni possibile riferimento del cram down. L ‘o missione era stata infondatamente svalutata dalla ricorrente nel momento cui essa aveva di contro insistito sulla irrealizzabilità della cessione unitaria dell’azienda (dato il settore di attività e l’obsolescenza dei macchinari posseduti ). Invero nessun dato oggettivo era stato offerto a riscontro di tale irrealizzabilità.
Si tratta di una valutazione coerente col margine di potere attribuito al giudice del merito, e non sindacabile in cassazione se non per vizio di motivazione, nei limiti in cui una tale tipologia di vizio è ancora deducibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
È decisivo constatare che una censura di tal genere non è stata neppure prospettata.
X. -Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in 12.000,00 EUR oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile, addì 11