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Cram Down Fiscale: no senza accordo con altri creditori

Una società in crisi ha tentato di imporre un piano di ristrutturazione esclusivamente all’Amministrazione Finanziaria, che deteneva l’89% dei crediti, attraverso il meccanismo del cram down fiscale. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il cram down non è una procedura autonoma, ma richiede la preesistenza di un accordo di ristrutturazione, seppur parziale, con altri creditori. Senza il coinvolgimento di una pluralità di creditori, lo strumento perde la sua natura concorsuale e non può essere utilizzato per forzare la mano al solo Fisco.

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Cram Down Fiscale: Non si Può Forzare l’Accordo Senza Altri Creditori

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fissato un paletto fondamentale per l’applicazione del cram down fiscale, uno strumento cruciale per le aziende in crisi. La Corte ha stabilito che non è possibile per un’impresa imporre un accordo di ristrutturazione alla sola Amministrazione Finanziaria, anche se questa è il creditore principale, se prima non ha raggiunto un’intesa con altri creditori. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati.

I Fatti di Causa: Un’Azienda Contro l’Amministrazione Finanziaria

Una società operante nel settore del commercio di rottami, gravata da ingenti debiti, ha avviato una procedura per un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis della legge fallimentare. Il creditore quasi esclusivo era l’Amministrazione Finanziaria, titolare dell’89% del totale dei crediti.

La società ha proposto al Fisco una transazione fiscale, ma l’ente ha manifestato la propria indisponibilità ad accettare. Di fronte a questo rifiuto, l’azienda ha chiesto al Tribunale di omologare forzatamente l’accordo attraverso il meccanismo del cram down fiscale. La tesi difensiva si basava sull’idea che, essendo l’adesione del Fisco ‘decisiva’ per raggiungere la soglia del 60% dei crediti, e sostenendo che la proposta fosse più conveniente dell’alternativa fallimentare, il tribunale potesse ‘surrogare’ il consenso mancante.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la richiesta, ritenendo che mancasse un presupposto essenziale: un accordo di ristrutturazione vero e proprio. La società, infatti, non aveva coinvolto gli altri creditori (titolari del restante 11% dei debiti), ma si era limitata a proporre una transazione al solo Fisco.

La Decisione della Cassazione e i Principi sul Cram Down Fiscale

La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso della società e chiarendo in modo definitivo la natura e i limiti del cram down.

L’Accordo con Altri Creditori: Presupposto Indispensabile

Il punto centrale della sentenza è che il cram down non è una procedura a sé stante, ma un istituto che si inserisce all’interno di un accordo di ristrutturazione già esistente. La legge, infatti, prevede che l’omologazione forzosa possa avvenire quando l’adesione del creditore pubblico è ‘decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale’.

Questo, secondo la Corte, implica necessariamente che un accordo con altri creditori, anche se insufficiente a raggiungere la soglia del 60%, debba già esistere. Il cram down serve a ‘completare’ una maggioranza quasi raggiunta, non a crearla da zero. Tentare di applicarlo al solo Fisco, escludendo tutti gli altri creditori, snatura lo strumento, trasformandolo da meccanismo di superamento del dissenso in un mezzo di coazione unilaterale contro il creditore pubblico. Viene a mancare, in sostanza, la ‘concorsualità’, ovvero il coinvolgimento di una pluralità di interessi creditori che è alla base di queste procedure.

Il Ruolo della Relazione dell’Attestatore

La Corte ha inoltre confermato la correttezza della valutazione dei giudici di merito riguardo alla relazione del professionista attestatore. L’Amministrazione Finanziaria aveva rifiutato la proposta anche a causa delle lacune presenti in tale documento. In particolare, il professionista aveva valutato i beni aziendali in modo ‘atomistico’ (pezzo per pezzo), senza stimare il valore dell’azienda nel suo complesso come entità operativa (‘going concern’), nonostante ne avesse riconosciuto l’operatività in un mercato in crescita.

Questa omissione è stata ritenuta fondamentale, perché impediva di valutare correttamente la convenienza della proposta rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, che potrebbe includere la vendita dell’azienda in blocco. Il tribunale, quando applica il cram down, deve infatti svolgere una valutazione di convenienza economica, surrogando quella del creditore dissenziente, e per farlo necessita di una relazione completa e attendibile.

Le Motivazioni: Perché il Cram Down Non è Uno Strumento di Coazione

La ratio della decisione risiede nella necessità di preservare la natura negoziale e concorsuale degli accordi di ristrutturazione. Consentire a un debitore di isolare il creditore pubblico e forzarlo ad accettare un piano senza il coinvolgimento di nessun altro creditore creerebbe una palese distorsione. L’istituto del cram down è stato concepito per evitare che l’opposizione, talvolta irragionevole, del Fisco possa far fallire un piano di salvataggio altrimenti valido e sostenuto da altri creditori. Non è, e non può diventare, uno strumento per imporre unilateralmente una soluzione predisposta dal solo debitore.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza chiarisce in modo inequivocabile che le imprese in crisi non possono percorrere la ‘scorciatoia’ di un cram down rivolto esclusivamente al Fisco o agli enti previdenziali. Per poter accedere a questo potente strumento, è indispensabile che l’impresa abbia prima costruito un consenso, anche se parziale, con gli altri creditori privati. La procedura richiede la preesistenza di un vero accordo di ristrutturazione, nel quale la forzatura del consenso del creditore pubblico rappresenta l’ultimo tassello per il salvataggio aziendale, e non il punto di partenza.

È possibile utilizzare il cram down fiscale se l’Amministrazione Finanziaria è l’unico creditore con cui si è trattato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il cram down fiscale presuppone l’esistenza di un accordo di ristrutturazione già concluso con altri creditori, anche se le loro adesioni non sono sufficienti a raggiungere la soglia del 60%. Non può essere applicato se l’unico interlocutore del piano è il creditore pubblico.

Qual è il requisito essenziale per poter chiedere l’omologazione forzosa di un accordo contro il Fisco?
Il requisito essenziale è la preesistenza di un accordo con altri soggetti titolari di crediti, il cui ammontare, sommato a quello del Fisco, consenta di raggiungere la maggioranza del 60% richiesta dalla legge. Il cram down serve a superare il mancato raggiungimento della soglia, non a costruire l’accordo da zero.

Perché la relazione del professionista è stata considerata lacunosa in questo caso?
La relazione è stata ritenuta lacunosa perché non conteneva una stima del valore dell’azienda nel suo complesso (come ‘going concern’), ma si limitava a una valutazione ‘atomistica’ dei singoli beni. Questa omissione ha impedito al tribunale di valutare correttamente la convenienza della proposta di ristrutturazione rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, un presupposto fondamentale per applicare il cram down.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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