Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22415 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22415 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16849/2022 R.G. proposto da : INPS, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE (-) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 213/2022 depositato il 25/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Bologna, con decreto depositato il 25.5.2022, ha rigettato il reclamo proposto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) avverso il decreto n. 22/2022 del 25.1.2022 con cui il Tribunale di Bologna aveva omologato il concordato preventivo proposto da COGNOME, rigettando l’opposizione proposta da INPS e dall’Agenzia delle Entrate.
In particolare, il Tribunale di Bologna, con riferimento all’opposizione proposta dall’INPS, per quanto ancora rileva, aveva ritenuto che i voti contrari di INPS e dell’Agenzia delle Entrate fossero decisivi e che il giudizio positivo di cram down li convertisse in favorevoli, non neutri (da non considerare ex art. 177 L.F.) come invocato dall’Ente Previdenziale.
Il giudice d’appello, nel confermare il provvedimento di primo grado, per quanto ancora rileva, ha osservato che l’espressione ‘anche in mancanza di adesione’, prevista dall’attuale formulazione dell’art. 180 comma 4° L.F., consenta il giudizio positivo di cram down sia nel caso in cui l’Ente previdenziale non sia espresso in ordine alla proposta concordataria, sia nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia espresso voto contrario, consentendo al giudice, attraverso un difforme giudizio di convenienza di ‘trasformare’ il diniego in un voto positivo ( e non in un non voto). Tale interpretazione si impone in relazione alla ratio legis e per l’evidente favore del legislatore per la soluzione concordataria della crisi di impresa, oltre che dei lavori parlamentari relativi al disegno di legge di conversione del D.L. 125/2020.
Avverso il predetto ha proposto ricorso per cassazione l’INPS affidandolo ad un unico motivo.
L’intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 180 comma 4° L.F., ultima parte, modificato con il D.L. 125/2020 conv. D.L.
Nella L. 159/2020, ulteriormente modificato dal 118/202120/82 bis, 182 ter, commi 1 e 5 L.F.
Il ricorrente, premettendo che, in sede di adunanza dei creditori, non erano state raggiunte le maggioranze richieste dall’art. 177 L.F. in considerazione del voto contrario espresso dall’INPS e dall’Agenzia delle Entrate, e che il Tribunale di Bologna aveva omologato il concordato applicando il cram down previsto dall’art. 180 comma 4° L.F., convertendo il voto contrario in voto positivo (valutazione condivisa dalla Corte d’Appello), contesta l’interpretazione della predetta norma effettuata dai giudici di merito, e, segnatamente, come questi ultimi hanno valutato la condizione, legittimamente l’operatività dell’istituto del cram down, del carattere decisivo dell’adesione della amministrazione ai fini del raggiungimento delle maggioranze.
In particolare, evidenzia che, secondo la dottrina, tale condizione può essere interpretata in due modi diversi. Secondo una prima ipotesi, il credito dell’amministrazione deve essere semplicemente neutralizzato, escludendolo dal computo sia dei votanti e sia dei votanti contrari: se per effetto di tale non computo i voti favorevoli sono superiori rispetto ai voti contrari, l’adesione dell’amministrazione si rileva decisiva e il tribunale, in presenza delle altre condizioni (mancanza di voto o mancanza di adesione dell’amministrazione e superamento del test di convenienza della proposta di soddisfacimento dell’amministrazione) può provvedere nel senso dell’omologa.
Secondo una seconda ipotesi, il credito dell’amministrazione non deve essere escluso dal quorum, ma conteggiato tra i voti favorevoli: per effetto di tale riqualificazione del voto
dell’amministrazione, i voti favorevoli ai fini del raggiungimento delle maggioranze sono dati dalla somma dei voti favorevoli effettivamente espressi da altri creditori e dal voto dell’amministrazione. Dunque, le classi composte esclusivamente da crediti fiscali e contributi dovranno essere conteggiate come classi favorevoli.
Ad avviso dell’ente ricorrente, l’interpretazione più aderente alle norme sovraordinate di natura costituzione e comunitaria, nell’ottica di garantire un’autentica tutela ai creditori maggioritari dissenzienti, è quella della mera neutralizzazione del voto contrario espresso dall’amministrazione, piuttosto che della sua conversione in voto favorevole.
In particolare, il ricorrente sostiene che il meccanismo della conversione del voto contrario in voto favorevole si pone in stridenti contrasto con l’art. 11 della direttiva (UE) 2019/1023 che così recita:
‘1. Gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all’articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l’accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se esso soddisfa almeno le condizioni seguenti:
è conforme all’articolo 10, paragrafi 2 e 3;
è stato approvato:
dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti; oppure, in mancanza,
ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra
classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale.
assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori; e
nessuna classe di parti interessate può ricevere o conservare in base al piano di ristrutturazione più dell’importo integrale dei crediti o interessi che rappresenta.
In deroga al primo comma, gli Stati membri possono limitare il requisito di ottenere l’accordo del debitore ai casi in cui quest’ultimo è una PMI.
Gli Stati membri possono aumentare il numero minimo di classi di parti interessate, o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio necessario per l’approvazione del piano ai sensi della lettera b), punto ii), del presente paragrafo;
In deroga al paragrafo 1, lettera c), gli Stati membri possono prevedere che i diritti dei creditori interessati di una classe di voto dissenziente siano pienamente soddisfatti con mezzi uguali o equivalenti se è previsto che una classe inferiore riceva pagamenti o mantenga interessi in base al piano di ristrutturazione.
Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni che derogano al primo comma, qualora queste siano necessarie per conseguire gli obiettivi del piano di ristrutturazione e se il piano di ristrutturazione non pregiudica ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate’.
In particolare -espone il ricorrente che – posto che il credito dell’amministrazione deve essere obbligatoriamente inserito in una
classe separata, a norma dell’art. 182 ter comma 1° L.F., e potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui lo stesso credito sia suddiviso in una pluralità di classi (ove si offrano percentuali diverse per la parte incapiente degradata a chirografo), il meccanismo di conversione del voto contrario in voto favorevole potrebbe comportare l’approvazione della proposta concordataria finanche nell’ipotesi in cui quest’ultima non avesse ricevuto la maggioranza in nessuna delle altre classi (come se, ad esempio, vi fossero tre classi composte da crediti dell’amministrazione conteggiate come favorevoli per il solo effetto della fictio e una classe di creditori chirografari contraria), e tutto ciò in contrasto con la disposizione comunitaria sopra riportata e contenuta al punto ii), ove si richiede che la proposta sia approvata almeno da una delle classi di voto di parti interessate.
Ad avviso del ricorrente, un’ulteriore criticità riguarda la condizione del superamento del test di convenienza della proposta di soddisfacimento dell’amministrazione.
In particolare, la tutela offerta all’amministrazione dall’art. 180 comma 4° L.F. attraverso la possibilità del tribunale di sindacare la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria non è offerta agli creditori dissenzienti che possono contestare la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria solo se si tratta di creditori dissenzienti di classe dissenziente. Si potrebbe quindi verificare la situazione in cui la proposta sia approvata da una minoranza e i creditori dissenzienti non possono nemmeno contestarne la convenienza, il tutto in palese violazione dell’art. 10 par. 2 lett d) della direttiva in oggetto che riconosce a tutti i dissenzienti, senza limitazioni, il diritto di opporsi chiedendo la verifica del miglior soddisfacimento dei creditori.
Il ricorso presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
Va, in primo luogo, osservato che l’interpretazione dell’art. 180 comma 4° , ultima parte, L.F., invocata dalla ricorrente, si pone in palese contrasto con il tenore testuale della predetta norma. L’espressione ‘Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177’ è inequivocabile nell’escludere che il legislatore abbia inteso affermare la mera neutralizzazione del voto contrario espresso dall’amministrazione, senza che lo stesso voto possa essere conteggiato nel quorum sia costitutivo che deliberativo.
L’inciso ‘ l’adesione’ non può che essere intesa nel senso che l’eventuale ‘voto favorevole’ dell’Amministrazione sarebbe stato determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza e che questo perciò implica che lo stesso voto sia conteggiato nel quorum deliberativo (oltre che costitutivo) e non certo neutralizzato.
Va, inoltre, osservato che la stessa espressione di cui alla parte iniziale del primo comma dell’art. 177 L.F., secondo cui’ il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi …’ presuppone che la maggioranza, anche delle classi, debba essere calcolata conteggiando i voti di tutti i creditori ammessi al voto, sia che siano stati inseriti in un’unica classe, sia in più classi.
Ne consegue che il meccanismo della neutralizzazione del voto contrario dell’amministrazione non trova alcun fondamento normativo, sebbene sia improprio esprimersi nel senso che tale voto negativo venga tecnicamente ‘convertito’ in un voto positivo. Il giudice non provvede, propriamente, ad una ‘conversione’ del voto dell’Amministrazione, ma, una volta verificato che la mancata
adesione della stessa era decisiva ai fini del raggiungimento delle maggioranze, svolge l’attività valutativa di convenienza in sostituzione del creditore dissenziente. In sostanza, il voto (negativo) che sarebbe stato decisivo per raggiungere la maggioranza non rileva più, sostituendosi il giudice alla valutazione di convenienza riservata al creditore-amministrazione.
Inammissibili (oltre che infondate) sono, inoltre, le censure svolte dal ricorrente in ordine ad un asserito contrasto del meccanismo della conversione del voto contrario dell’amministrazione in voto favorevole alla direttiva europea 2019/1023.
Tali censure si fondano su situazioni del tutto ipotetiche che il ricorrente neppure allega che si siano verificate nel caso di specie (ovvero che i voti favorevoli di altri creditori siano inferiori a quelli contrari, che il credito della stessa amministrazione venga suddiviso in più classi, addirittura 3, e che nessuna altra classe abbia approvato la proposta), essendosi limitato a dare atto, come risulta dal decreto impugnato, che INSP e Agenzia delle Entrate sono state inserite in apposite classe, seconda e terza, ed hanno votato contro l’approvazione del concordato, mentre nulla è stato precisato in ordine al voto espresso dalle altre classi.
Non si liquidano le spese di lite, non essendo il debitore costituito in giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 12.6.2025