Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25067 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20612/2023 R.G. proposto da : NOME, NOME, NOME, NOME e NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE presso il quale sono domiciliati in modalità elettronica
-ricorrente-
contro
ORDINE NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 942/2023 depositata il 24 luglio 2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2025 dal Presidente NOME COGNOME:
Rilevato che:
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano NOME COGNOME davanti al Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, perché fosse condannato ai sensi dell’articolo 2058 c.c. a rimuovere opere da lui compiute e fosse altresì condannato a risarcire danni ex articolo 2043 c.c.; il convenuto si costituiva, resistendo.
Il Tribunale, con sentenza n. 540/2020, condannava il convenuto al ripristino.
NOME COGNOME proponeva appello principale; proponevano appello incidentale NOME COGNOME in proprio e quale erede della deceduta NOME COGNOME nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali ulteriori eredi di NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 942/2023, in parziale riforma, riduceva la condanna “alla realizzazione della corretta impermeabilizzazione dell’abbaino” costruito da Ordine, per il resto rigettando le domande dei Clarizia.
I NOME hanno presentato ricorso, composto di sei motivi, da cui Ordine si è difeso con controricorso.
Considerato che:
Di tutti i sei motivi veicolati nel ricorso assorbente è il terzo, da vagliare subito costituendo ragione liquida.
Il motivo è rubricato come violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., degli articoli 115, 116, 132, secondo comma, n.4 c.p.c., 847 e 877 c.c.
1.1 Si sostiene, in primis , che sarebbe denunciabile come violazione dell’articolo 115 c.p.c. “l’errore di percezione del giudice” qualora fosse decisivo (si invoca Cass. 13918/2022).
Si osserva che il giudice d’appello, nelle pagine 10-11 della sentenza, afferma che il consulente tecnico d’ufficio del primo grado, rispondendo al quesito “il CTU accerti se la copertura del vano scala realizzato dal sig. NOME … sia stata realizzata nel muro comune e non in quello di esclusiva proprietà dei sigg. COGNOME e COGNOME“, aveva dichiarato quel che segue: “… la copertura del vano scala … poggia da un lato sul muro delimitante il fabbricato di proprietà dei sigg. COGNOME e COGNOME, ma tale muro è in comune fra i due corpi di fabbrica e quindi vale quanto previsto dall’art. 884 c.c. … Allo stesso modo vale però quanto previsto dall’art. 880 c.c. … quindi relativamente al caso in questione si può affermare che il muro cui si aggancia la copertura del vano scala è un muro in comune fra i due corpi di fabbrica, però, non esistendo originariamente tale copertura e l’abbaino, quella porzione di muro, per quanto precisato nell’art. 880 c.c., risulta di proprietà esclusiva dei sigg. COGNOME e NOME“.
La corte territoriale continua, così osservando: “Nel caso di specie, avendo gli edifici altezza diseguale, il muro divisorio deve ritenersi comune alle parti sino all’altezza dell’edificio di Ordine Domenico, mentre la rimanente parte di muro più alta è di proprietà esclusiva degli appellati”; e in seguito, a pagina 12 della sentenza, la corte territoriale ancora afferma che “il manufatto realizzato dall’appellante deve ritenersi una costituzione in aderenza (e non in appoggio) al muro di proprietà degli appellati” giacché “si tratta di un abbaino dotato di propria autonomia”, per cui l’opera sarebbe “legittima”.
1.2 Il motivo prosegue rimarcando che “non si comprende da quale elemento la Corte d’appello abbia evinto che trattasi di costruzione in aderenza”, la quale non può sussistere qualora vi sia muro comune, come emergerebbe dalla consulenza tecnica d’ufficio.
Si argomenta sulla disciplina della costruzione in aderenza rispetto alla disciplina, diversa, della costruzione in appoggio, come
ricavabile dall’articolo 877 c.c., lamentando poi che la corte territoriale dell’accertamento come opera costruita in aderenza non avrebbe dato “alcuna dimostrazione”.
Premesso che, ictu oculi , non si è dinanzi ad un errore di percezione, come dimostra l’effettivo contenuto del motivo appena riassunto, si deve invece riconoscere la sostanza del vizio motivazionale che la censura denuncia in relazione all’articolo 132, secondo comma, n.4 c.p.c. I ricorrenti, invero, evidenziano l’assoluta contraddittorietà della motivazione della sentenza, per cui, allo scopo di accertare la fondatezza o meno di tale denuncia, occorre scrutinare la struttura motivazionale della pronuncia impugnata.
Il giudice d’appello, a pagina 10 della sentenza, dichiara “necessario … esaminare le singole lesioni addotte dagli attori nel giudizio di primo grado”, e al riguardo si riferisce, in primis , all’utilizzo di un muro che sarebbe stato esclusivamente degli attuali ricorrenti, e non comune. Il consulente tecnico d’ufficio, poi, nella parte della sua relazione riportata dalla sentenza alle pagine 10-11, si esprime in modo non del tutto lineare, risultando però assolutamente chiaro laddove afferma: “… la copertura del vano scala realizzata dal sig. NOME poggia … sul muro delimitante il fabbricato” dei Clarizia.
La corte territoriale, allora, risolve la questione della proprietà ovvero muro comune “fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto (art. 880 c.c.)” -, ma aderisce alla consulenza tecnica d’ufficio anche laddove questa afferma che a tale muro “si aggancia”, cioè “poggia” – come poco prima la relazione aveva dichiarato e la corte riportato – la copertura del vano scala.
Il passo della relazione del consulente, in effetti, come si è visto dichiara che “… la copertura del vano scala realizzata dal sig. NOME NOME poggia … sul muro delimitante il fabbricato” dei Clarizia. Il giudice d’appello, poi, in toto lo ribadisce così: “In altre
parole, sulla base di quanto accertato dal CTU e dai rilievi fotografici, l’appellante realizzava un manufatto … agganciandolo al muro confinante con la proprietà degli appellati” (sentenza, pagina 11). Dopodiché, però, intraprende una via opposta, argomentando per giungere ad affermare che il manufatto non fu costruito in appoggio, bensì in aderenza rispetto al muro divisorio, avendo “autonomia costruttivo-strutturale”, e, pur avendo poi inserito un argomento relativo all’appoggio (sentenza, pagine 12-13), conclude chiaramente (pagina 13) escludendo che l’appoggio vi sia, essendovi solo aderenza, così proprio da escludere la fondatezza della pretesa attorea: “In conclusione, la costruzione realizzata dall’appellante in aderenza al muro di proprietà degli appellati deve ritenersi legittima e non lesiva dei diritti” dei Clarizia.
La motivazione, qui, è pertanto assolutamente contraddittoria e ciò conduce all’accogliere il motivo, assorbiti gli altri, e a cassare la sentenza con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa sezione e diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza e rinvia, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2025