Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21254 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21254 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente
SERVITÙ
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 16/05/2024
Dott. NOME COGNOME
NOME. Consigliere
R.G.N. 19816/2019
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19816/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2842/2019 depositata il 02/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto di tutti i motivi di ricorso;
uditi gli avvocati NOME COGNOME per le parti ricorrenti e NOME COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietaria di un ‘ unità immobiliare sita in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma, NOME AVV_NOTAIO, deducendo che il convenuto aveva posto mano, all’interno della sua proprietà, alla realizzazione abusiva di un corpo di fabbrica finalizzato ad ampliare l ‘ appartamento int.2 con inclusione di parte della chiostrina condominiale e chiedendo che venisse condannato al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni quantificati complessivamente in €.100.000,00.
L’attrice assumeva che l’opera violava le norme in materia di distanze legali, era priva delle necessarie autorizzazioni amministrative, ostacolava la sua visuale, era esteticamente sgradevole ed alterava il decoro architettonico.
Si costituiva NOME COGNOME, il quale contestava la domanda; spiegava riconvenzionale diretta ad accertare l’installazione abusiva, da parte dell’attrice, nella sua proprietà di una tubazione per lo smaltimento delle acque reflue e chiedeva la
condanna al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento del danno conseguente al deprezzamento economico dell’appartamento.
3. Il Tribunale di Roma, espletata consulenza tecnica, rigettava la domanda attorea e accoglieva la domanda riconvenzionale con condanna di NOME COGNOME al pagamento della somma di €.8.000,00 . La CTU aveva accertato la legittimità dell’opera realizzata dal convenuto, atteso che il manufatto realizzato nella chiostrina coincideva con quello preesistente, già accatastato, e risultante dalla planimetria del 1940. I lavori eseguiti, di conseguenza, non determinavano aumento di volumetria o superficie e non richiedevano la concessione di alcun permesso di costruire. Il manufatto, peraltro, non limitava la veduta dall’appartamento dell’attrice . Quest’ultima, invece, non aveva contestato i fatti posti a fondamento della domanda riconvenzionale e, in particolare, la circostanza secondo cui, a seguito di lavori eseguiti nel suo appartamento 15 anni prima, era stata installata, senza alcuna autorizzazione del proprietario, una tubazione per lo scarico delle acque reflue. Il convenuto, che aveva acquistato l’immobile nel 2001, non aveva mai autorizzato l’installazione della tubazione che creava una indebita servitù senza che fosse maturato il ventennio per l’eventuale acquisto della servitù per usucapione. Il danno patito dal convenuto derivante dall’incidenza della servitù sul valore economico del bene doveva liquidarsi equitativamente in €.8.000,00 .
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Resistevano NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Corte d’Appello di Roma accoglieva il gravame limitatamente alla condanna della COGNOME al risarcimento del danno e confermava nel resto la sentenza appellata.
Preliminarmente la Corte territoriale rigettava l’ eccezione di inammissibilità dell’appello per essere stato evocato in giudizio in sede di gravame NOME COGNOME, al quale era stato notificato l’atto di appello presso il difensore costituito nel giudizio di primo grado, nonostante che all’udienza del 14-10-2010 ne fosse stato dichiarato il decesso.
L’eccezione era respinta perché l’atto di citazione introduttivo del giudizio di impugnazione aveva raggiunto il proprio scopo, atteso che gli eredi di NOME COGNOME si erano costituiti regolarmente in giudizio e avevano svolto compiutamente le loro difese.
6.1 Nel merito la Corte d’Appello rigettava i primi due motivi aventi ad oggetto la necessità del permesso di costruire in capo al COGNOME e violazione della normativa urbanistica perché riteneva che la rilevanza giuridica delle autorizzazioni amministrative si esaurisse nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e soggetto richiedente senza estendersi ai rapporti tra privati, che restavano disciplinati dalle disposizioni dettate dal codice civile. Di conseguenza non assumeva alcuna rilevanza, sotto il profilo civilistico, la mancanza di permesso di costruire o di denunzia di inizio attività riferita ai lavori eseguiti da NOME COGNOME, al pari delle prescritte autorizzazioni afferenti alla compatibilità paesaggistica delle opere, di competenza della RAGIONE_SOCIALE. La consulenza tecnica espletata in primo grado aveva accertato la corrispondenza della costruzione contestata
“con quanto già accatastato e risultante dalla planimetria redatta il 20-1-1940”, trattandosi di rifacimento di una struttura preesistente, inoltre erano destituiti di fondamento i rilievi riguardanti la violazione delle norme in materia di distanze e la doglianza circa la limitazione della veduta.
6.2 La Corte rigettava anche il terzo e quarto motivo di appello che riguardavano alcune omissioni della CTU in particolare quanto alla violazione dell’art 16 della Legge Regionale n.15/2008 .
La consulenza tecnica espletata, in ragione della analiticità e completezza delle verifiche conAVV_NOTAIOe in totale aderenza ai quesiti posti e con metodica immune da vizi, si prestava ad un positivo apprezzamento ai fini del decidere mentre con riferimento alle omissioni lamentate dall’appellante circa la violazione delle prescrizioni urbanistiche contenute nella succitata legge regionale valeva quanto osservato relativamente al primo motivo di gravame in riferimento alla loro irrilevanza in ambito privatistico.
I successivi sei motivi di gravame aventi ad oggetti vizi procedurali della CTU erano infondati.
Il giudizio di primo grado infatti risaliva all’anno 2007 prima dell’introduzione della legge 18-9-2009 n.69 che aveva modificato l’art.195 c.p.c., prevedendo la concessione dei termini per il deposito di osservazioni delle parti all’elaborato peritale. Inoltre, quanto all’eccepita violazione del principio del contraddittorio, dal verbale di sopralluogo tenutosi in data 21-10-2009, emergeva che il consulente di parte dell’appellante aveva partecipato regolarmente alle operazioni peritali.
6.3 Secondo il giudice del gravame era fondato, invece, il motivo relativo all’ erronea applicazione, da parte del giudice di
primo grado, del principio di non contestazione in riferimento alla domanda riconvenzionale spiegata in primo grado da NOME COGNOME. Infatti, doveva escludersi che la conAVV_NOTAIOa in questione, in ragione delle sue peculiari caratteristiche emergenti dalle fotografie allegate alla relazione peritale, potesse essere stata realizzata senza il consenso del proprietario dell’appartamento sito al piano inferiore e acquistato successivamente, nel 2001, da NOME COGNOME. Infatti, la posa in opera della tubazione di scarico, che correva lungo il muro di un vano di rappresentanza coperta da un contenitore in muratura realizzato dal nuovo proprietario, non avrebbe potuto essere eseguita qualora il titolare del diritto dominicale sul bene non avesse prestato il suo consenso e consentito l’accesso all’appartamento.
Alla luce di tale valutazione, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, doveva essere disattesa la richiesta risarcitoria conseguente alla diminuzione di valore dell’immobile avanzata in primo grado da NOME COGNOME.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, con due distinti atti hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nelle sue richieste.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve osservarsi che i ricorsi riuniti in questo giudizio sono proposti autonomamente dagli eredi di NOME
AVV_NOTAIO e hanno un contenuto sostanzialmente sovrapponibile, sicché saranno trattati unitariamente.
1.1 Sempre in via preliminare deve esaminarsi l’eccezione sollevata dalla controricorrente circa la mancanza di legittimazione di NOME COGNOME per aver rinunciato all’eredità di NOME COGNOME.
1.2 L’eccezione è fondata.
Risulta dagli atti che la COGNOME ha rinunciato all’eredità e , infatti, non ha partecipato al giudizio di appello senza che se ne dichiarasse la contumacia.
Di conseguenza il suo ricorso è inammissibile con conseguente liquidazione delle spese in favore della controparte vista la sua soccombenza.
2.1 Il collegio ritiene preliminare l’esame del terzo e quarto motivo di entrambi i ricorsi e del quinto motivo di NOME COGNOME e del settimo motivo di NOME COGNOME, motivi che possono tutti esaminarsi congiuntamente stante la loro evidente connessione e che, essendo fondati, determinano l’assorbimento dei restanti .
2.2 Con i motivi in esame entrambi i ricorrenti lamentano che la presunzione semplice di un consenso all’installazione della tubatura da parte del precedente proprietario del fondo servente che neanche abitava nell’immobile non avrebbe potuto avere ingresso nel procedimento ostandovi i divieti previsti per i casi in cui occorre la forma scritta ad substantiam. Peraltro, la COGNOME non aveva ritualmente contestato il fatto che l’opera era esistente da circa 15 anni sicché la sentenza avrebbe errato nel non accogliere la negatoria servitutis posto che non c ‘ era nella specie alcun modo, tra l’altro neanche deAVV_NOTAIOo da controparte, di
costituzione della pretesa servitù oltre l’eventuale, usucapione, inesistente dato il mancato decorso del termine ventennale.
Inoltre, si censura anche la assoluta carenza di motivazione sul punto cruciale dell’esistenza o meno di una servitù per usucapione escluso e non deAVV_NOTAIOo alcun altro fatto costitutivo, comunque nella specie inesistente.
Come si è detto i motivi sono fondati.
Deve premettersi che la costituzione di una servitù negoziale richiede un patto avente la forma scritta ad substantiam. In proposito è utile richiamare il seguente principio di diritto: Ai fini della costituzione convenzionale di una servitù prediale non si richiede l’uso di formule sacramentali o di espressioni formali particolari, essendo sufficiente che dall’atto scritto si desuma la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario, sempre che l’atto abbia natura contrattuale, che rivesta la forma stabilita dalla legge ad substantiam e che da esso la volontà delle parti di costituire la servitù risulti in modo inequivoco, anche se il contratto sia diretto ad altro fine (Sez. 2, Ordinanza n. 10169 del 27/04/2018, Rv. 648318 – 01).
Nel caso di specie, il Tribunale, conformemente al suddetto principio, aveva accolto la domanda riconvenzionale di COGNOME perché la COGNOME non aveva contestato la circostanza secondo cui, a seguito di lavori eseguiti nel suo appartamento 15 anni prima, era stata installata, senza alcuna autorizzazione del proprietario una tubazione per lo scarico delle acque reflue e il COGNOME, che aveva acquistato l’immobile nel 2001, non aveva mai autorizzato
l’installazione della tubazione che creava una indebita servitù. Inoltre, non era maturato il ventennio per l’eventuale acquisto della servitù per usucapione e il danno patito dal convenuto derivante dall’incidenza della servitù sul valore economico del bene doveva liquidarsi equitativamente in € 8.000,00.
La Corte d’Appello , invece, nell’accogliere il motivo di appello relativo alla suddetta condanna al risarcimento non ha fornito alcuna motivazione in ordine alla domanda di negatoria servitutis formulata dal COGNOME e ha fondato la decisione unicamente sulla presunzione di consenso all’istallazione dei tubi nell’appartamento di quest’ultimo. In tal modo non risultano percepibili quale siano le ragioni della decisione, in quanto le argomentazioni offerte sono obiettivamente inidonee a far comprendere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consentono alcun controllo sull’esattezza, logicità e congruenza del ragionamento inferenziale del giudice (in tal senso tra molte: Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; n. 4488 del 2014; sezioni unite n. 8053 e n. 19881 del 2014).
Nella motivazione non vi è alcun riferimento, infatti, alle ragioni che giustificano la riforma della sentenza di primo grado circa il fatto che l’istallazione aveva cre a to un’indebita servitù che non poteva essere usucapita non essendo trascorso il necessario ventennio. Sicché la decisione si pone anche in contrasto con i principi sopra riportati in ordine alla forma necessaria per la costituzione della servitù e per la sua opponibilità ai successori nella proprietà del fondo servente – censure sollevate con i motivi terzo e quarto. Inoltre, non risulta svolta alcuna motivazione in ordine
alla natura del diritto della COGNOME e al tempo necessario per l’eventuale usucapione della servitù.
Il mero riferimento al consenso del precedente proprietario, se sul piano della prova presuntiva può condividersi e non è comunque sindacabile in questa sede, non è sufficiente a fondare la decisione di accoglimento del motivo della COGNOME.
Si impone pertanto l’accoglimento dei motivi terzo, quarto e quinto di entrambi i ricorsi e del settimo motivo di NOME COGNOME con assorbimento dei restanti che per ragioni di sintesi si riportano solo nella rubrica indicata dai ricorrenti.
Il primo motivo di entrambi i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME è così rubricato: Nullità della sentenza e del procedimento per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, primo comma, 101, 112 e 183 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, c.p.c.
Il secondo motivo di entrambi i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 1350, primo comma n. 4, 2645 e 2644 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, c.p.c.
Il sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME è così rubricato: Omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio “della decorrenza del termine ventennale” che è stato oggetto della discussione tra le parti per l’ usucapione della servitù in riferimento all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, c.p.c.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di entrambi i ricorsi e il quinto motivo di NOME COGNOME e il settimo motivo di NOME COGNOME, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza
impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Dichiara, inoltre, inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della controricorrente liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di NOME COGNOME di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di entrambi i ricorsi e il quinto motivo di NOME COGNOME e il settimo motivo di NOME COGNOME, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità;
dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della controricorrente NOME COGNOME liquidate in euro 1500, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge.
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di NOME COGNOME di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione