Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8305 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8305 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23269/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, e COGNOME NOME elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
CARBONI BRUNERA;
-intimata –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 681/2019 depositata il 26/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di sentir dichiarare l’inesistenza di servitù di attingimento di acqua e/o di passaggio delle acque e/o di realizzazione di acquedotto gravante sul fondo di proprietà attrice (sito in Arezzo, INDIRIZZO individuato al C.F. del Comune di Arezzo sez.B foglio 36p.lla 55 sub29 e 30), e posto a favore del fondo dei convenuti (individuato al C.F. del Comune di Arezzo,sez. B, foglio 36, particella 55 su b. 5 e 11) o, in subordine, sentir dichiarare risolto il contratto costitutivo del relativo diritto di servitù per mancato adempimento degli obblighi incombenti sui convenuti.
Si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice e, in via riconvenzionale, la dichiarazione di costituzione della servitù contestata.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea e accoglieva la riconvenzionale dichiarando la costituzione di servitù di attingimento di acqua dal pozzo n.3 e di passaggio delle relative condutture sul fondo della attrice fino alla proprietà convenuta, nel tragitto più breve giusto il principio del minor aggravio ex art. 1065 cod. civ.
In particolare, risultava costituita per contratto ai sensi del combinato disposto degli art. 1058 – 1350 cod. civ la servitù prediale di attingimento di acqua dal pozzo n.3 posto nel fondo di proprietà attrice e di passaggio delle relative condutture, in favore del fondo di proprietà dei convenuti, avendo prestato le parti in causa il proprio consenso scritto al “cd piano pozzi”che prevedeva la costruzione di tre pozzi ad uso domestico nella lottizzazione Antarese che stabiliva che il pozzo n.3 avrebbe servito la proprietà COGNOME. Il cd ”piano pozzi” oltre alla sua valenza sotto il profilo amministrativo, presentava tutti i requisiti formali necessari alla costituzione di servitù, trattandosi di atto scritto, contenente l’indicazione del fondo dominante e di quello servente, il contenuto della servitù e le caratteristiche necessarie al suo esercizio.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono costituiti in appello chiedendone il rigetto e proponendo appello incidentale condizionato.
La Corte d’Appello di Firenze rigettava il gravame ritenendo preliminarmente sufficientemente specificata la domanda riconvenzionale. Le richieste dei convenuti erano, sulla base della predisposizione del “piano pozzi” e del consenso manifestato dalla sig.ra COGNOME NOME, l’accertamento di una valida costituzione del diritto di servitù di attingimento di acqua in favore del proprio fondo (cfr. p. 3 comparsa di costituzione e risposta).
Pertanto, non vi era alcun vizio di ultrapetizione giacché anche la domanda riconvenzionale formulata dai convenuti era volta a far
dichiarare l’accertamento della già avvenuta costituzione della suddetta servitù.
Inoltre, non vi era alcun difetto di contraddittorio in quanto il pozzo era stato realizzato nella porzione di terreno di proprietà di parte appellante corrispondente alla particella 55 sub 29-30 a seguito di autorizzazione, concessa dal Comune di Arezzo in data 2 febbraio 2004 alla stessa parte appellante, su domanda presentata il 28 ottobre 2003, con la seguente prescrizione ” il pozzo sarà a servizio del lotto di proprietà COGNOME RAGIONE_SOCIALECOGNOME , al l’ interno della lottizzazione “(cfr pag.2 Ctu Tamarindi del 26.11.2008).
Il riferimento a tale provvedimento autorizzativo consentiva di anticipare l’infondatezza anche del quinto motivo di gravame, in quanto il suddetto documento risultava prodotto dai convenuti con la comparsa di costituzione e risposta, con domanda riconvenzionale del 27 ottobre 2004, nonché oggetto di esame da parte del Ctu nella propria relazione del 26 novembre 2008, ancor prima del deposito della relazione del AVV_NOTAIO del 31 marzo 2009 contenente come allegato l’autorizzazione del 2 febbraio 2004.
Infine, era infondata la dedotta natura non negoziale del piano pozzi dovendosi confermare quanto statuito dal primo giudice circa la doppia valenza del piano e quindi anche quella negoziale di costituzione di tre servitù prediali di attingimento. Difatti, esso individuava non solo l’area le proprietà ove i pozzi sarebbero stati realizzati e quindi i fondi serventi, ma conteneva anche precise prescrizioni rivolte ai fondi dominanti che avrebbero acquisito il diritto di servitù di attingimento di acqua ad uso domestico, previa apposizione di una pompa e di idonea tubatura. L’ ubicazione del
terzo pozzo era certa essendo posto nella proprietà COGNOME, così come e la sua destinazione a servizio anche della proprietà COGNOME; di questo l’odierna parte appellante era perfettamente a conoscenza, tanto da aver manifestato positivamente sia la propria partecipazione che il consenso al piano pozzi, apponendo la propria sottoscrizione nell’elenco dei nominativi dei proprietari appositamente predisposto e che espressamente prevedeva la firma, come volta a dare consenso alla formazione delle servitù oggetto di controversia.
Da ultimo la Corte riteneva infondata la censura di omessa pronuncia sulla richiesta di espunzione della documentazione.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 112 cpc per omessa pronuncia sul formulato motivo di impugnazione, circa la natura del “piano pozzi”, cioè dell’assunto titolo costitutivo della servitù.
Secondo la ricorrente il giudice dell’appello non avrebbe dato risposta effettiva al suo motivo di appello circa la natura non negoziale del c.d. piano pozzi e del fatto che non fosse idoneo a costituire la servitù non potendo ritenersi identificato il fondo servente e il fondo dominante e neanche se l’atto dovesse
qualificarsi a titolo gratuito (donazione? Quindi nullo, per difetto di forma) o a titolo oneroso.
La Corte avrebbe omesso la pronuncia, con violazione del disposto dell’art. 112 cpc in relazione alla previsione di cui all’art. 360, n. 4, cpc, pronuncia che, invece, sarebbe stata necessaria, perché l’individuazione dell’atto costitutivo di servitù, meglio, dell’atto in cui specificamente l’esponente, e le altre parti, espressero (?)volontà costitutiva della servitù, con specificazione del luogo di esercizio della servitù, sarebbe stata necessaria, anche ai fini della trascrivibilità dell’atto medesimo, così come ai fini della trascrivibilità della domanda e della annotazione della sentenza.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Deve premettersi che la censura è formulata sotto il profilo dell’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.
Nel ricorso per cassazione deve distinguersi il vizio di omessa pronuncia da quello di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, n. 4, c.p.c., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., applicabile “ratione temporis”,
si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Sez. 2 – , Sentenza n. 1539 del 22/01/2018, Rv. 647081 – 01)
Venendo al caso in esame, la sentenza impugnata fornisce ampia riposta al motivo di appello della ricorrente circa la natura negoziale del c.d. ‘piano pozzi’ . Ne consegue che la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. è infondata , tanto che con i motivi successivi la medesima ricorrente contesta sia la mancanza di motivazione che l’interpretazione data dalla Corte d’Appello .
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto dell ‘ art. 132, nr. 4, c.p.c. e del disposto dell’art.118 d.a.c.p.c.,
Mancherebbe la motivazione delle ragioni della decisione. Più in particolare, la motivazione non recherebbe l’indicazione dell’atto (cioè dei fogli o delle pagine componenti lo stesso), assunto come titolo costitutivo della servitù (il richiamo al così detto “piano pozzi” è generico e privo di significato); non recherebbe l’indicazione della parte dell’atto, cioè l’indicazione di alcun foglio o della pagina del doc. 2 avversario, in cui l’esponente avrebbe espresso volontà di costituire la servitù; non recherebbe l’indicazione delle ragioni per le quali l’interpretazione letterale o di altra natura avrebbe dovuto
e deve condurre a ritenere costituita la servitù (e non, piuttosto, costituito un altro diritto, magari di natura obbligatoria); non recherebbe l’indicazione della parte di testo assoggettata ad interpretazione; non riporterebbe l’espressione della ragione per cui un determinato elaborato grafico o planimetrico dovrebbe intendersi indicativo del luogo di esercizio della servitù; non recherebbe l’espressione della ragione per la quale un determinato elaborato grafico o planimetrico dovrebbe considerarsi collegato al testo letterale (a quale parte del testo letterale?) e dovrebbe considerarsi quale parte integrante dello stesso; non recherebbe la specificazione della ragione per la quale il “piano pozzi” (così astrattamente definito), dovesse configurarsi “atto negoziale di costituzione di servitù prediale di attingimento” (pag. 8 sentenza righe 2 e 3); non recherebbe la specificazione della ragione per la quale l’apposizione della firma dovesse essere intesa “come volta a dare consenso alla formazione delle servitù oggetto di controversia”; non recherebbe l’espressione della ragione per la quale l’apposizione della firma non potesse valere esclusivamente sul piano dell’iter amministrativo.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto degli articoli 1325 e 1326 c.c.
La censura è in parte ripetitiva della precedente sotto il profilo della violazione delle norme indicate in rubrica.
La stessa Corte avrebbe dovuto individuare la natura dei singoli atti, componenti quello che essa ha genericamente qualificato, nell’insieme, come ”piano pozzi”. Se al “piano pozzi” si fosse voluta attribuire -come è stata attribuita -valenza amministrativa e valenza privatistica, almeno la Corte avrebbe
dovuto dire a quale parte del testo dei fogli, costituenti il doc. 2 avversario, si sarebbe dovuta attribuire valenza amministrativa e a quale valenza privatistica.
Infatti, il “piano pozzi'”, prodotto in appello anche dalla esponente e al quale documento è fatto riferimento, avrebbe dovuto essere considerato composto, Vi sarebbe stata, quindi, violazione del disposto dell’art. 1325 e 1326 c.c., perché in nessuna parte dell’atto si rinverrebbe la volontà espressiva della costituzione della servitù.
3.1 Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono infondati.
Il ricorrente lamenta in primo luogo un vizio di carenza assoluta di motivazione ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. che non è dato riscontrare.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014).
Per motivazione apparente la giurisprudenza di questa Corte ricomprende, oltre alla motivazione in tutto o in parte mancante, anche le ipotesi in cui la stessa non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum . Nella specie, invece, il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata è chiaro e consente di comprendere pienamente le ragioni della decisione.
Infatti, la sentenza impugnata interpreta il c.d. piano pozzi attribuendo allo stesso natura negoziale e, a tal fine, il giudice non aveva l’o nere di riportare per esteso il suddetto piano quanto piuttosto quello di spiegare le ragioni per le quali si giustificava una tale interpretazione in relazione anche alla volontà negoziale della ricorrente.
La Corte d’Appello, infatti, ha ritenuto infondata la dedotta natura non negoziale del piano pozzi dovendosi confermare quanto statuito dal primo giudice circa la doppia valenza del piano e quindi anche quella negoziale di costituzione di tre servitù prediali di attingimento. Difatti, il suddetto piano pozzi individuava non solo l’area ove i pozzi sarebbero stati realizzati e quindi i fondi serventi, ma conteneva anche precise prescrizioni rivolte ai fondi dominanti che avrebbero acquisito il diritto di servitù di attingimento di acqua ad uso domestico, previa apposizione di una pompa e di idonea tubatura. L’ ubicazione del terzo pozzo era certa essendo posto nella proprietà COGNOME, così come e la sua destinazione a servizio anche della proprietà COGNOME; di questo l’odierna parte appellante era perfettamente a conoscenza, tanto da aver manifestato positivamente sia la propria partecipazione che il
consenso al piano pozzi, apponendo la propria sottoscrizione nell’elenco dei nominativi dei proprietari appositamente predisposto e che espressamente prevedeva la firma, come volta a dare consenso alla formazione delle servitù oggetto di controversia.
Da quanto riportato risulta evidente che la motivazione contenga una chiara ed effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico compiuto dalla Corte d’Appello e prima ancora dal Tribunale.
Anche la censura di violazione degli artt. 1325 e 1326 c.c. è infondata. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte: «ai fini della costituzione negoziale di una servitù prediale non è necessario l’impiego di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal titolo risulti la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un carico o limitazione ad altro fondo, in vista di una finalità di carattere permanente» (Sez. 2, Sent. n. 3630 del 1984, Rv. 435620 – V 577/82; 4643/81; 4456/81).
Si è anche specificato che: ai fini della costituzione di una servitù prediale non è indispensabile la specifica indicazione nel titolo della volontà delle parti di costituire la servitù, ne’ dei fondi dominante e servente, ne’ della misura del peso e della specifica funzione dell’utilità, essendo sufficiente che dalla ubicazione dei fondi, dalla natura e destinazione degli stessi e da ogni altro utile elemento possa desumersi con certezza la costituzione della servitù
e la individuazione dei fondi da questa interessati. (sez. 2, Sentenza n. 528 del 30/01/1985 rv. 438736, V. 6603/82; 3756/79; 3220/77; conf 3630/84).
Tale orientamento è stato ribadito allorché si è affermato che: L’esigenza che nell’atto costitutivo di una servitù siano specificamente indicati tutti gli elementi di questa non implica la necessità della espressa indicazione ed analitica descrizione del fondo servente e di quello dominante essendo sufficiente che i predetti elementi siano comunque desumibili dal contenuto dell’atto (Sez. 2, Sentenza n. 8802 del 28/06/2000; conforme Sez. 2, Sentenza n. 6680 del 13/06/1995).
In definitiva non si è realizzata alcuna violazione delle norme invocate con i motivi in esame e le censure alla luce di quanto detto si rivelano infondate.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto degli articoli 1350, 1362 e 1371 c.c.
La censura è rivolta alla violazione delle norme di ermeneutica contrattuale. Nell’atto non sarebbe presente alcun riferimento alla costituzione di una servitù e nel silenzio dell’atto, in punto di espressione di volontà, costitutiva della servitù (nessuna delle parti la espresse), l’interprete non potrebbe attribuire all’atto una destinazione intenzionale diversa da quella che gli era funzionalmente propria, nel caso, quella a valenza meramente amministrativa (per ottenere il rilascio della autorizzazione alla esecuzione delle opere).
Anche il comportamento delle parti deporrebbe nel senso della mancanza di volontà costitutiva della servitù. In mancanza dell’ espressione della volontà delle parti di voler attribuire all’atto, oltre che valenza amministrativa. anche valenza privatistica. ed essendo mancata l’espressione della volontà di costituzione della servitù, all’interprete non sarebbe consentito di attribuire all’atto
medesimo una rilevanza contrattuale. Essa, infatti, non emergerebbe, come detto, da nessun elemento intrinseco. Violazione, quindi, del disposto degli artt. 1350 e 1362 c.c .. Più specificamente, l’esponente intende affermare che in nessun caso si sarebbe potuto attribuire all’atto quella valenza che gli ha attribuito la Corte territoriale, la quale non ha spiegato il canone ermeneutico seguito e non ha indicato ove avesse rinvenuto i requisiti del contratto. Tanto più che l’atto (se si volesse seguire la linea di interpretazione della stessa Corte territoriale), avrebbe dovuto, da quest’ultima, essere qualificato come a titolo gratuito, quindi, ai sensi dell’art. 1371 c.c., con gli effetti meno gravosi per l’obbligata. Perciò, non avrebbe potuto ritenersi costitutivo di una servitù, ma, al più, di un diritto a natura obbligatoria, diritto meno gravoso di quello reale.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Costituisce orientamento del tutto consolidato quello secondo il quale nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata l’interpretazione attribuita dal giudice di merito alla volontà negoziale delle parti le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra la volontà dei contraenti così come ritenuta dal ricorrente e quella invece accertata dalla sentenza impugnata, ma debbono essere proposte o sotto il profilo della mancata osservanza, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., delle norme che fissano i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. ovvero, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo in vigore ratione temporis , del vizio di motivazione consistito nell’omesso esame di un fatto decisivo.
L’interpretazione di un atto negoziale, del resto, è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, come accennato, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (non sollevato dalla ricorrente anche perché precluso trattandosi di una c.d. doppia conforme) ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 ss. c.c.. Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701 del 2016). Pertanto, per quanto si è detto con riferimento ai motivi precedenti, nessuna violazione delle regole di ermeneutica contrattuale è possibile riscontrare nell’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello . Ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso che, come quelli in esame, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o il vizio di motivazione, si risolva, in realtà, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito (Cass. n. 24539 del 2009), così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.). In effetti, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in
astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra ( ex plurimis Cass. 16254 del 2012; conf., più di recente, Cass. 27136 del 2017).
Nel caso di specie, si è già detto che la Corte d’Appello ha ritenuto infondata la dedotta natura non negoziale del piano pozzi dovendosi confermare quanto statuito dal primo giudice circa la doppia valenza del piano e, quindi, anche quella negoziale di costituzione di tre servitù prediali di attingimento. Difatti, il suddetto piano pozzi individuava non solo l’area le proprietà ove i pozzi sarebbero stati realizzati e quindi i fondi serventi, ma conteneva anche precise prescrizioni rivolte ai fondi dominanti che avrebbero acquisito il diritto di servitù di attingimento di acqua ad uso domestico, previa apposizione di una pompa e di idonea tubatura. L’ubicazione del terzo pozzo era certa essendo posto nella proprietà COGNOME, così come la sua destinazione a servizio anche della proprietà COGNOME. La ricorrente aveva manifestato positivamente sia la propria partecipazione che il proprio consenso al ‘ piano pozzi ‘ , apponendo la propria sottoscrizione nell’elenco dei nominativi dei proprietari appositamente predisposto, che espressamente prevedeva la firma, come volta a dare consenso alla formazione delle servitù oggetto di controversia.
Sulla scorta dei citati principi, la dedotta violazione dunque non sussiste.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 1032, 1350, 782 c.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nr. 3 cpc. Violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 112, 132 c.p.c. e 118 d.a.c.p.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360, nr. 4, c.p.c. Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 1362 c.c.
Il preteso (e contestato) contratto sarebbe a titolo gratuito e, quindi, essendo una donazione non effettuata con atto pubblico, sarebbe nulla. In caso alternativo il contratto dovrebbe prevedere un corrispettivo, in difetto del quale (come nel caso di specie), mancherebbe il requisito essenziale della causa, con conseguente inesistenza, e/o nullità e/o inefficacia del preteso contratto.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 1325, 1326 e 1350 e 782 c.c. in relazione alla previsione di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360, nr. 4, c.p.c. Violazione del disposto degli artt. 132 nr. 4 e 118 d.a.c.p.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360, nr. 4, c.p.c.
Un contratto costitutivo di un diritto reale avrebbe dovuto avere la forma scritta, ai sensi dell’art. 1350, nr. 4, c.c. e, se da definirsi come donazione anche la forma pubblica, ai sensi dell’art. 782 c.c …
Ove tal forme non avesse avuto, sarebbe stato da qualificarsi come nullo, ai sensi delle norme citate.
Inoltre, in nessuna parte della sentenza, neppure sulle premesse della stessa, è stato fatto richiamo al motivo d’appello con il quale si proponevano le suddette censure, che attiene ad un
fatto pacifico in causa, ex art. 115 cpc, cioè al fatto che il fondo, assunto come dominante, fosse in comproprietà tra COGNOME COGNOME e COGNOME COGNOME e che la sottoscrizione dovesse essere di entrambi.
7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 1453, 1454 e 1455 c.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nr. 3 c.c .. Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 112 cpc, in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nr. 4 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 132, n. 4, e 118 d.a.c.p.c., in relazione alla previsione di cui all’ art. 360, n. 4, c.p.c.
La ricorrente aveva proposto domanda subordinata di COGNOME COGNOME a versare la metà (Euro 2.402,00) delle spese, da lei sopportate, per la realizzazione del pozzo, ed Euro 250,00, per il compenso che ella aveva versato in favore del Geologo, Dr. NOME COGNOME. Diffidò l’COGNOME anche a versare una somma di denaro, a titolo di corrispettivo, per la servitù.
La diffida fu formulata ai sensi dell’art. 1454 c.c., con l’avvertimento che, per il caso in cui l’adempimento non fosse avvenuto entro il termine di 15 giorni, si sarebbe dovuto considerare risolto il contratto costitutivo di servitù, che fosse ritenuto essere venuto ad esistenza l’esponente, formulando l’atto di citazione, rassegnò, in via subordinata, la domanda di risoluzione dello stesso contratto, per inadempimento di NOME COGNOME.
Il Tribunale di Arezzo determinò il dovuto, in favore dell’esponente, nell’ammontare di euro 2.292,00 + euro 244,80. respinse la domanda di risoluzione, motivando nel senso che l’esponente, oltre al rimborso delle spese sostenute, aveva
domandato anche un corrispettivo, per la costituzione della servitù e che, perciò, non potendo qualificarsi come colposo l’inadempimento dell’COGNOME (perché gli erano state chieste somme esorbitanti quelle dovute), non avrebbe potuto essere dichiarata la risoluzione. il capo della sentenza fu fatto oggetto di appello.
Il quinto il sesto e il settimo motivo di ricorso sono fondati.
La Corte d’Appello ha omesso di prendere in considerazione il motivo di appello subordinato, di cui pure ha dato atto nel corpo della sentenza, relativo alla domanda di risoluzione del contratto costitutivo della servitù per inadempimento delle controparti rispetto alla richiesta di pagamento di una somma di denaro, a titolo di corrispettivo, per la servitù. Di riflesso la Corte non ha fornito alcuna risposta all’opposto motivo di appello circa la gratuità della servitù, così come alla mancanza di sottoscrizione da parte di NOME COGNOME.
Ne consegue che, a prescindere dalla fondatezza o meno dei motivi di appello della ricorrente rispetto ai quali sono necessari accertamenti di merito, la sentenza deve essere cassata per l’esame degli stessi da parte del giudice di rinvio (Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione), che in quella sede provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto, sesto e settimo motivo di ricorso, rigetta i restanti, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte