Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8940 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15650/2020 proposto da: COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ;
– controricorrente –
e
COGNOME NOME; COGNOME NOME;
-intimati – avverso la sentenza n. 10/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 07/01/2020.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Massa, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, esponendo: a) di essere proprietaria di un terreno in Montignoso pervenutole in forza di atto di divisione dell’eredità materna stipulato con la sorella COGNOME NOME in data 16.11.2007; b) di essere venuta a sapere, solamente dopo la stipula dell’atto pubblico, che il terreno in questione era attraversato dalle tubature dello scarico fognario a servizio dell’immobile assegnato a COGNOME NOME; circostan za, questa, appresa in occasione dei lavori di pulitura del fondo, che all’epoca della divisione si presentava ricoperto di detriti e sterpaglie, quando erano stati proprio la sorella e il cognato ad avvertirla di prestare attenzione a non danneggiare con i mezzi le condotte interrate nel suolo; c) di aver scoperto, a seguito delle opportune verifiche, che le tubature correnti nel proprio terreno servivano anche gli appartamenti di proprietà di COGNOME NOME e dei coniugi COGNOME–
COGNOME, titolari di unità abitative nel medesimo edificio della sorella; d) che non esisteva alcun titolo che legittimasse l’asservimento così di fatto imposto al proprio fondo.
Sulla scorta di tali deduzioni, l’attrice esperiva actio negatoria servitutis , chiedendo l’accertamento della libertà del proprio terreno da qualsivoglia peso in favore dei fondi dei convenuti, con condanna di questi ultimi alla rimozione delle tubature.
COGNOME NOME resisteva alla domanda, deducendo che l’attrice , la quale era a conoscenza del tracciato dello scarico fognario da prima della stipula dell’atto di divisione , aveva accettato l’immobile in questione nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, con tutte le servitù attive e passive , giusta clausola n. 3 dell’accordo divisorio.
COGNOME NOME si costituiva con separata comparsa e, nel dichiararsi comunque disposta ad una soluzione bonaria della vicenda, si opponeva alla domanda, facendo proprie le difese della convenuta COGNOME NOME.
I coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME si dichiaravano invece disponibili allo spostamento delle tubature dal terreno attoreo e, nel rimettersi al giudice, chiedevano solamente di essere tenuti indenni dalle spese di lite in caso di accoglimento della domanda.
Istruita la causa con l’assunzione della prova per testi e l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Massa accoglieva l ‘ actio negatoria servitutis , ordinando ai convenuti la rimozione delle tubature dal fondo attoreo: il giudice di prime cure motivava la propria decisione osservando che la clausola di cui all’art. 3 dell’atto di divisione doveva essere ritenuta di mero stile,
come tale inidonea a costituire una servitù prediale, e che a tal fine era irrilevante anche la dedotta (e peraltro non provata) conoscenza da parte dell’attrice dell’interramento delle condotte nella propria porzione di fondo; escludeva, inoltre, che la servitù si fosse costituita per destinazione del padre di famiglia, ritenendo insussistente il requisito dell’apparenza.
2. Sul gravame interposto da COGNOME NOME, cui COGNOME NOME e COGNOME NOME resisteva, e nella contumacia dei coniugi COGNOMENOME, la Corte d’Appello di Genova, c on la sentenza di cui in epigrafe, n. 10/2020, riformava integralmente la decisione di primo grado e respingeva l’ actio negatoria servitutis , rilevando che la clausola n. 3 dell’atto notarile, pur nella sua dizione generica, assumeva un particolare significato alla luce delle circostanze di fatto emerse dall’istruttoria , in relazione alle quali doveva ritenersi provato che COGNOME NOME avesse avuto effettiva conoscenza già da prima della stipula dell’atto di divisione dell’interramento delle tubature nella porzione di fondo oggetto di giudizio. La Corte d’Appello traeva tale convincimento dalla circostanza , riferita da più testi escussi, che nel terreno in questione era stato ricoverato un motoscafo di COGNOME NOME, di cui si era reso necessario lo spostamento per consentire lo scavo della fognatura. Su tale punto in particolare, il giudice di seconde cure avvalorava le deposizioni del teste COGNOME NOME, marito dell’odierna ricorrente, il quale , pur non confermando la richiesta di spostamento, aveva dato atto della presenza dell’ imbarcazione nella porzione di fondo per cui è causa; del teste COGNOME NOME, esecutore dei lavori, che aveva riferito della necessità di spostare un motoscafo per permettere l’interramento delle tubature , nonché dei testi COGNOME NOME e
COGNOME NOME, mariti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali avevano confermato che lo spostamento del natante era stato richiesto proprio a COGNOME NOME, per il tramite della madre COGNOME NOME, all’epoca ancora vivente. Ad avviso della Corte territoriale, la consapevolezza da parte di COGNOME NOME, nel momento in cui aveva sottoscritto l’atto di divisione, dell’esistenza dello scarico fognario nel terreno a lei assegnato, conferiva contenuto effettivo alla clausola secondo cui il bene veniva acquisito nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava. Donde il rigetto della domanda attorea.
Per la cassazione di detta decisione ha proposto ricorso COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi COGNOME NOME e COGNOME NOME. COGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti invece intimati.
In prossimità dell’adunanza , COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno depositato memoria illustrativa, insistendo nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: « Violazione dell’art. 1350 n. 4 c.c.; previsione della forma scritta a pena di nullità in materia di costituzione di servitù prediali ». La ricorrente osserva che l’atto pubblico di divisione del 16.11.2007 – in forza del quale la Corte distrettuale ha ritenuto costituita la servitù di scarico fognario – è intercorso solamente tra le sorelle COGNOME NOME e NOME; deduce che l’accertamento del la costituzione della predetta servitù anche in favore dei fondi ‘ COGNOME ‘ e ‘ COGNOMECOGNOME ‘ , sulla scorta dell’affermata conoscenza da parte dell’originaria attrice dell’interramento delle condotte nel la propria
porzione di terreno, si risolverebbe in una evidente violazione dell’art. 1350 n. 4 cod. civ., in quanto il giudice di seconde cure non si sarebbe preoccupato di verificare l’esistenza di un valido titolo avente forma scritta attestante la costituzione del diritto reale anche in favore delle proprietà delle suddette parti convenute.
2. Il secondo motivo è così rubricato: « Violazione degli artt. 1362 comma 1 e 2 c.c., 1363 c.c. e 1366 c.c. in materia di interpretazione contrattuale relativamente all’interpretazione dell’atto pubblico di divisione del 16.11.2007 N. Rep. NUMERO_DOCUMENTO a cura del AVV_NOTAIO e specificamente anche dell’art. 3 in cui si prevede che: ‘la divisione comprende anness i e connessi, infissi ed impianti, adiacenze e pertinenze, usi e servitù attive e passive attribuendosi reciprocamente le condividenti gli immobili nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano’ ». La ricorrente deduce che la Corte distrettuale avrebbe disatteso plurimi canoni di ermeneutica contrattuale nel ritenere l’art. 3 dell’atto di divisione , ancorché generico, idoneo alla costituzione di una servitù prediale. In particolare, il giudice di merito avrebbe violato il criterio dell’interpretazione soggettiva letterale, poiché nella fattispecie, dal tenore della clausola, non sarebbe in alcun modo possibile desumere né la manifestazione di una precisa volontà delle parti diretta a costituire la servitù de qua agitur , né l’individuazione di tutti gli elementi atti ad individuarla (fondo dominante e servente, natura del peso imposto, relativa estensione). Il Collegio genovese avrebbe inoltre violato il criterio dell’interpretazione sistematica ex art. 1363 cod. civ., in quanto la generica dicitura della clausola in questione, riferita indistintamente alla pluralità di immobili oggetto di divisione e priva di qualsivoglia specifico riferimento al terreno
che si vorrebbe gravato dalla servitù di scarico fognario, non sarebbe altro che una formula di chiusura, ricorrente nei rogiti notarili, priva di effettivo contenuto negoziale. Del pari disattesi, infine, sarebbero il canone dell’interpretazione secondo buona fede e il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento dei contraenti, in quanto il giudice di seconde cure avrebbe ignorato il contegno tenuto da COGNOME NOME, la quale, pur essendone a conoscenza, non avrebbe informato la condividente dell’esistenza delle condotte nel fondo oggetto di divisione.
2.1. I due motivi di ricorso, che stante la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Il collegio ritiene preliminare esaminare il secondo motivo di ricorso relativo alla violazione delle regole di interpretazione contrattuale.
R ileva il Collegio che la clausola di cui all’art. 3 dell’atto di divisione del 16.11.2007, come riportata nella rubrica del motivo, non possa ritenersi avere un contenuto di mero stile e che l’interpretazione che ne ha dato la Corte d’Appello sia plausibile e, in quanto tale, sottratta al sindacato di legittimità.
In proposito è utile richiamare i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in tema di ermeneutica contrattuale e, in primo luogo, quello secondo cui: l’ interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo o per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.).
In secondo luogo, deve richiamarsi l’insegnamento secondo cui: né la censura ex n. 3 né la censura ex n. 5 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ. possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’alt ronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).
Nel solco delle enunciate indicazioni giurisprudenziali l’interpretazione patrocinata dalla corte di merito secondo cui la clausola indicata in rubrica non è di mero stile ma espressione di una concreta ed effettiva volontà negoziale di costituire la servitù non viola alcun criterio legale di interpretazione e rientra nel novero delle interpretazioni possibili della clausola n. 3 dell’accordo di divisione. Infatti, con riferimento alla costituzione di una servitù per via negoziale, questa Corte ha precisato che: «non è necessario l’impiego di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal titolo risulti la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un carico o limitazione ad altro fondo, in vista di una finalità di carattere permanente» (Sez. 2, Sent. n. 3630 del 1984, Rv. 435620 – V 577/82; 4643/81; 4456/81). Si è anche specificato che: ai fini della costituzione di
una servitù prediale non è indispensabile la specifica indicazione nel titolo della volontà delle parti di costituire la servitù, né dei fondi dominante e servente, né della misura del peso e della specifica funzione dell’utilità, essendo sufficiente che dalla ubicazione dei fondi, dalla natura e destinazione degli stessi e da ogni altro utile elemento possa desumersi con certezza la costituzione della servitù e la individuazione dei fondi da questa interessati. (sez. 2, Sentenza n. 528 del 30/01/1985 rv. 438736, V. 6603/82; 3756/79; 3220/77; conf 3630/84). Tale orientamento è stato ribadito allorché si è affermato che: L’esigenza che nell’atto costitutivo di una servitù siano specificamente indicati tutti gli elementi di questa non implica la necessità della espressa indicazione ed analitica descrizione del fondo servente e di quello dominante essendo sufficiente che i predetti elementi siano comunque desumibili dal contenuto dell’atto (Sez. 2, Sentenza n. 8802 del 28/06/2000; conforme Sez. 2, Sentenza n. 6680 del 13/06/1995).
Alla luce dei principi sopra riportati, l’interpretazione della clausola da parte della Corte d’Appello si rivela conforme alle regole ermeneutiche che governano l’interpretazione d ella volontà negoziale. In particolare il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di contratti, il giudice di merito, anche a fronte di una clausola estremamente generica ed indeterminata, deve comunque presumere che sia stata oggetto della volontà negoziale, sicché deve interpretarla in relazione al contesto (art. 1363 cod. civ.) per consentire alla stessa di avere qualche effetto (art. 1367 cod. civ. ) e, solo se la vaghezza e la genericità siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa un
qualsivoglia rilievo nell’ambito dell’indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto (art. 1325 cod. civ.), ovvero siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti, può negare ad essa efficacia qualificandola come clausola di “stile”. (Sez. 1, Sentenza n. 13839 del 31/05/2013, Rv. 626766 – 01).
D’altra parte la accertata consapevolezza in capo alla ricorrente della esistenza delle tubature, consapevolezza negata sin dalla domanda originaria e invece provata in giudizio, è elemento determinante nella attività interpretativa del più volte citato articolo 3 dell’accord o di divisione, essendo invece contrario al criterio della buona fede ex art. 1366 c.c. ritenere che a seguito dell’accordo di divisione la sorella della ricorrente doveva rimuovere le tubature senza alcun accordo espresso in tal senso e in presenza della clausola in oggetto. In fatti, nell’ interpretazione del contratto, l’elemento letterale va integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui la buona fede ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e, quindi, alla relativa causa concreta. L’obbligo di buona fede oggettiva si specifica in particolare nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte.
La sentenza impugnata, dunque, è immune dalle censure prospettate con il secondo motivo anche con riferimento a tali ulteriori criteri interpretativi. Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di interpretazione del contratto, la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata avendo
riguardo al senso letterale delle parole da verificare alla luce dell’intero contesto negoziale ai sensi dell’art. 1363 c.c., nonché ai criteri d’interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c., e volti, rispettivamente, a consentire l’accert amento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere – mediante comportamento improntato a lealtà ed a salvaguardia dell’altrui interesse – interpretazioni cavillose deponenti per un significato in contrasto con gli interessi che le parti hanno voluto tutelare mediante la stipulazione negoziale (Sez. 2, Sentenza n. 7927 del 28/03/2017, Rv. 643530 – 01).
2.2 Una volta rigettato il secondo motivo e ritenuta plausibile l’interpretazione operata dalla Corte d’Appello circa la costituzione della servitù mediante l’accordo di divisione può esaminarsi il primo motivo con il quale la ricorrente lamenta il fatto che l’accordo non poteva valere a costituire la servitù nei confronti di NOME COGNOME terza rispetto al negozio.
Anche questa censura si rivela infondata, essendo possibile la costituzione di una servitù prediale anche mediante contratto a favore dei terzi, in base al combinato disposto degli artt. 1058 e 1411 cod. civ., atteso che non sussistono limiti qualitativi o quantitativi per la prestazione da rendersi al soggetto estraneo alla stipulazione, che ben può essere il beneficiario del trasferimento o della costituzione di un diritto reale.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di contratto a favore del terzo, ai sensi dell’art. 1411 cod. civ., la relativa stipulazione non incontra il limite dell’effetto reale del negozio concluso tra stipulante e promittente,
sicché è consentita sia la costituzione di una servitù a favore del terzo, che l’estinzione della servitù che gravi sul fondo di quest’ultimo ( ex plurimis : Sez. 2, Sent. n. 14180 del 27/06/2011, Sez. 2, Sent. n. 23343 del 30/10/2006 (Rv. 592953 – 01).
Con il terzo e il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia, rispettivamente, « Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in causa (art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.) » e « Violazione del c.d. ‘minimo costituzionale’ richiesto in materia di provvedimenti giurisdizionali e violazione dell’art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. con conseguente nullità della sentenza per ‘mancanza di motivazione’, ‘motivazione apparente’, ‘motivazione perplessa od incomprensibile’ ».
3.1 Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione, sono inammissibili.
Quanto alla censura proposta come vizio di motivazione, questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); -nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello, come si è visto in relazione al secondo motivo di ricorso, ha sufficientemente motivato sulle ragioni per le quali l’art. 3 dell’accordo di divisione non potesse ritenersi una mera clausola di stile.
Quanto alla censura di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, la stessa è parimenti inammissibile perché la ricorrente in realtà tende ad un’inammissibile rivalutazione degli elementi di fatto emersi nel corso dell’istruttoria sempre al fine di giungere ad una diversa interpretazione dell’accordo di divisione.
Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare soprattutto in riferimento alla conoscenza dell’esistenza delle tubature da parte della ricorrente al momento della stipula dell’atto di divisione dinanzi al AVV_NOTAIO.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^